Stop alla proposta di Pechino che avrebbe drammaticamente modificato l’assetto geopolitico dell’area. Il Presidente della Micronesia: “Sarebbe un pericoloso ritorno all’era della Guerra fredda, rischio Guerra mondiale”
Non un viaggio a vuoto quello di Wang Yi nelle Fiji ma certamente un ritorno che lascia l’amaro in bocca al Ministro degli Esteri della Cina, arrivato nei giorni scorsi a Suva per l’incontro con le nazioni delle isole del Pacifico e per presentare un progetto di cooperazione sulla sicurezza e, in forma più ampia, sul commercio, definito China-Pacific Islands Countries Common Development Vision.
L’idea di Pechino non è piaciuta a numerosi Paesi dell’area, su tutti la Micronesia, portando il Segretario Generale del Pacific Island Forum, Henry Puna, a fermare le trattative visto il mancato consenso tra gli Stati sulla parte prettamente legata alla sicurezza.
Quanto si sta verificando in quell’area di mondo è a dir poco sensazionale, con la competizione tra Stati Uniti e Cina spostata proprio in Asia-Pacifico e l’attenzione della geopolitica mondiale sempre più rivolta alle dinamiche diplomatiche che vanno dall’India al Giappone, passando per Taiwan, Australia e Isole Salomone. Il fronte occidentale è molto attivo tra Quad, Aukus e l’Indo-Pacific Economic Framework, iniziativa portata avanti da Washington allettante per numerose realtà tra le quali le stesse Fiji, che hanno annunciato la loro partecipazione proprio nei giorni scorsi, prima nazione tra le isole del Pacifico ad aderire.
In questo contesto fa dunque scalpore l’esito degli incontri con le PICs (le Pacific Island Countries) del Ministro Wang, che ha chiesto alle nazioni di “non essere troppo ansiose né troppo nervose” sugli obiettivi del Partito comunista cinese, perché “lo sviluppo e la prosperità comune della Cina e degli altri Paesi in via di sviluppo significherebbe semplicemente maggiore armonia, maggiore giustizia e maggiore progresso per tutto il mondo”.
Parole che non hanno convinto alcune delle isole partecipanti all’incontro col diplomatico cinese, tanto che lo stesso Ambasciatore di Pechino alle Fiji, Qian Bo, ha notato che “il piano in cinque punti proposto dal suo Paese sarebbe stato discusso finché un accordo non si fosse trovato”. Ma sul China-Pacific Islands Countries Common Development Vision le PICs cercano un consensus non trovato, probabilmente minato dalla posizione della Micronesia e del suo Presidente, David Panuelo, che con una lettera del 20 maggio invitava i colleghi a non procedere sull’accordo perché, a suo dire, l’obiettivo cinese è quello di conquistare “accesso e controllo alla nostra regione, col risultato di creare una frattura nella pace regionale, alla sicurezza e alla stabilità”. Panuelo ha poi aggiunto che questo porterebbe, “nella migliore delle ipotesi, al rischio di una nuova Guerra fredda, a una Guerra Mondiale nella peggiore”.
Un accordo di massima si sarebbe trovato su altre tematiche relative agli aiuti economici post pandemia da Covid-19, sull’agricoltura, sui disastri naturali. Non sulla sicurezza. Ciononostante, Wang porta a casa una serie di accordi bilaterali: con le Isole Salomone (dopo l’accordo sulla sicurezza inviso da Stati Uniti e Australia) sul trasporto aereo civile; con Kiribati, un accordo in 10 punti che unisce la cooperazione economica e la costruzione di infrastrutture; con Samoa un contratto per la costruzione di un laboratorio di rilevamento d’impronte digitali per la polizia. Nei prossimi giorni Wang visiterà Tonga, Vanuatu, Papua Nuova Guinea e Timor Est. Quella cinese una presenza di peso, che stimola i Paesi del Pacifico e che, allo stesso tempo, intimorisce e preoccupa. Quale sia il giusto compromesso lo decideranno gli esponenti governativi delle nazioni dell’area, dovendo soppesare alacremente pro e contro dei loro rapporti futuri con le potenze globali.