Dopo la visita della segretaria Usa al Tesoro, l’Ue mette in pausa il lavoro sulla tassazione delle Big Tech. E anche il prelievo sul carbonio alla frontiera potrebbe non avere vita facile
Web tax no (almeno per il momento), carbon border tax forse (ma non subito).
È stata una settimana di alterne fortune per le nuove risorse proprie che dovrebbero contribuire a foraggiare Next Generation EU, il maxi piano di rilancio dal valore di oltre 800 miliardi che l’Unione europea mette in campo da qui al 2026. Nella prima metà dell’anno, Parlamenti e Governi dei 27 Stati membri sono stati impegnati in una maratona da record che ha portato alla ratifica più rapida nella storia dell’integrazione europea di una decisione sull’aumento delle risorse proprie, che porta il massimale al 2% del reddito nazionale lordo dell’Unione. Con l’incremento delle risorse proprie, Bruxelles ha le garanzie economiche per l’emissione di Eurobond sui mercati finanziari (tra giugno e luglio le prime tre distinte operazioni hanno consentito di raccogliere oltre 45 degli 80 miliardi previsti entro fine 2021) e cominciare a erogare i primi finanziamenti agli Stati membri i cui Pnrr sono stati già approvati (finora 12, tra cui Italia, Germania, Francia e Spagna, ma altri 5 si aggiungeranno il 26 luglio).
La web tax
Eppure, se il treno del Recovery va spedito, quello delle risorse proprie sembra indugiare. Cominciamo dalla web tax, la nuova imposta sui giganti del digitale che, secondo un documento di lavoro della Commissione che accompagna l’architettura di Next Generation EU, varrebbe all’erario comunitario circa 1,3 miliardi in più all’anno. Dopo una serie di incontri ad alto livello con la segretaria Usa al Tesoro Janet Yellen, però, Bruxelles ha tirato il freno. L’annuncio della proposta, inizialmente previsto il 20 luglio, è stato rinviato all’autunno: un’apertura da parte dell’esecutivo Ue nel quadro della ritrovata sintonia transatlantica e che viene incontro alle pressioni di Washington per lo stop a un’iniziativa che avrebbe nel mirino pressoché esclusivamente le Big Tech d’Oltreoceano. La battuta d’arresto alla web tax europea ha come dichiarato obiettivo quello di consentire il perfezionamento dell’accordo su una imposta minima globale del 15% per le multinazionali – che, per inciso, riguarderebbe pure i colossi tech della Silicon Valley -, dopo le fumate bianche all’Ocse e al G20 economico-finanziario di Venezia.
Prima con i toni aspri di Trump, quindi con la diplomazia multilaterale di cui s’è rappropriata l’amministrazione Biden, la web tax non è stata mai gradita negli Stati Uniti: se l’iniziativa andasse fino in fondo, infatti, potrebbe inquinare il dibattito americano sulla global minimum tax e mettere a rischio l’iter parlamentare al Congresso, dove i democratici hanno una fragile maggioranza.
La carbon border tax
Sorte diversa per la carbon border tax, annunciata come parte del pacchetto Fit for 55 per dare esecuzione agli obiettivi del Green Deal. Il Carbon Border Adjustment Mechanism (Cbam) – questo il nome completo – è un prelievo sul carbonio alle frontiere che sarà applicato alle importazioni di beni extra-Ue provenienti da Paesi che non hanno lo stesso set di norme a tutela dell’ambiente, così da contrastare – secondo l’intenzione di Bruxelles – il fenomeno del carbon leakage, la pratica della delocalizzazione delle imprese per evadere le norme sulle emissioni. La nuova misura sarà applicata in via sperimentale tra 2023 e 2025 solo ad alcuni settori energivori (fertilizzanti, cemento, alluminio e acciaio) e senza il balzello fiscale; dal 2026 sarà invece a regime. Secondo i calcoli contenuti nei documenti della Commissione, però, porterebbe al bilancio comunitario “appena” 10 miliardi in più entro il 2030.
Durante la conferenza stampa di presentazione della Cbam, il 15 luglio, il Commissario all’Economia Paolo Gentiloni ha detto che la proposta è stata “complessivamente accolta bene” dai Paesi del G20; e uno schema simile sarebbe allo studio pure fra i democratici Usa. Eppure, l’iniziativa europea non ha mancato di generare irritazione fra vari partner del blocco, che accusano la carbon border tax di gettare nuovo scompiglio nei commerci internazionali e di essere incompatibile con le regole del Wto. Senza contare un dato poco politico e ben più pratico, mettono in guardia gli osservatori: la difficoltà a determinare l’effettivo prezzo del carbonio da imputare a un bene importato.
Next Generation EU è partito, ma le “sue” risorse proprie arrancano.
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