In merito al 5G, i Paesi del Golfo sono incastrati nella guerra fredda digitale tra Usa e Cina. La scelta è tra sicurezza politica o economica
La diatriba sul 5G e il ruolo del Partito comunista cinese dietro l’azienda tecnologica Huawei è stato negli ultimi quattro anni il refrain del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Mettendo in guardia Paesi alleati, partner politici ed economici dall’utilizzo della componentistica del colosso cinese, l’inquilino della Casa Bianca è riuscito a convincere realtà importanti come Regno Unito, Australia e Svezia allo stop o allo smantellamento delle infrastrutture 5G realizzate dalla società con quartier generale a Shenzhen.
Lo stesso discorso pare non funzionare linearmente con i Paesi del Golfo. Sempre più dipendenti dal punto di vista della sicurezza dagli Stati Uniti — con l’Iran nemico comune — e politicamente vicini a Washington, i membri del Gulf Cooperation Council sono, d’altro canto, legati economicamente alla Cina, principale cliente nell’acquisto di petrolio mediorientale. Il momento della scelta si avvicina sempre più: definire i rapporti con gli Usa e perdere i ricavi generati dalla Repubblica popolare, o rischiare un salto nel vuoto cambiando partner di riferimento che però ha tassi di crescita positivi già nel periodo post Covid-19?
Il dilemma del Gulf Cooperation Council
I Paesi del Golfo si ritrovano, ancora una volta, nel mezzo delle politiche di attori terzi. Se è vero che l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti hanno amplificato enormemente le loro relazioni con gli States — tra gli avvenimento noti, gli Accordi di Abramo tra Uae, Bahrein e Israele —, è anche vero che la tecnologia 5G di Huawei diviene di fondamentale importanza per una regione che sta portando avanti una digitalizzazione necessaria e finalizzata allo sviluppo industriale ed economico.
Ad esempio, già dal 2019 Huawei ha sottoscritto una partnership con la società telefonica saudita Zain per la costruzione di 2000 torri con tecnologia 5G in 20 città del Regno, che al momento possiede la rete più ampia di tutta la regione del Golfo. Il progetto rientra all’interno della strategia Vision 2030, che punta a trasformare l’Arabia Saudita in un grande digital hub.
Anche gli Emirati, che ospiteranno il prossimo Exporimandato di un anno a causa della pandemia da coronavirus, si è accordata con Huawei per lo sviluppo della tecnologia 5G. Nel Paese emiratino (e nel quadro della National Agenda 2021), l’azienda di Shenzhen ha firmato dei contratti con i provider di telefonia locali du e Etisalat, tanto che quest’ultimo ha potuto realizzare lo scorso ottobre la prima chiamata 5G end-to-end di tutta l’area Mena (Middle East and North Africa).
Proposizione valida anche per il Qatar e la sua National Development Strategy che, avendo la responsabilità di ospitare — e trasmettere — i campionati mondiali di calcio nel 2022, sarà la prima nazione organizzatrice di un evento Fifa — la federazione calcistica internazionale — in 5G. Se il coronavirus lo permetterà, quasi 2 milioni di visitatori si recheranno a Doha e la velocità di connessione sarà decisiva per la qualità delle immagini trasmesse. In questo caso, il mercato di Huawei potrebbe ridursi, visto che nel Paese del Golfo uno dei due operatori è Vodafone, azienda britannica e dunque proveniente da una nazione che non utilizza la componentistica cinese per le infrastrutture della rete veloce.
Quale futuro per il 5G nella regione?
Quella del 5G è stata enfaticamente ribattezzata Digital Cold War, una guerra fredda digitale che vedrebbe due blocchi politici contrapposti per il dominio tecnologico. D’altro canto, più pragmaticamente bisognerebbe parlare di convenienza economica o riposizionamento settoriale a medio e lungo termine, visto che i Paesi del Golfo sono capaci di dialogare in molteplici contesti, dimostrando di saper superare anche ostacoli ideologici quali il riconoscimento dello Stato d’Israele.
La questione palestinese, non più dogma per il mondo arabo o musulmano, è la cartina di tornasole che rende l’idea di quanto possano modificarsi le strategie degli Stati a seconda della situazione da affrontare.
Nel caso del 5G, sarà sicuramente complicato per gli States proporre un aut aut ai membri del Gulf Cooperation Council, così come sarebbe difficile per le nazioni dell’area rinunciare allo scudo statunitense. Di converso, la Cina sarà ancora dipendente dal petrolio (che rappresenta il 28% del totale utilizzato dalla Repubblica popolare) dei Paesi del Golfo, regione che ha assistito a investimenti importanti di Pechino fin dal 2013 e che entro il 2030 svilupperà, nel solo settore dell’intelligenza artificiale, cifre pari a 320 miliardi di dollari.
In merito al 5G, i Paesi del Golfo sono incastrati nella guerra fredda digitale tra Usa e Cina. La scelta è tra sicurezza politica o economica
La diatriba sul 5G e il ruolo del Partito comunista cinese dietro l’azienda tecnologica Huawei è stato negli ultimi quattro anni il refrain del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Mettendo in guardia Paesi alleati, partner politici ed economici dall’utilizzo della componentistica del colosso cinese, l’inquilino della Casa Bianca è riuscito a convincere realtà importanti come Regno Unito, Australia e Svezia allo stop o allo smantellamento delle infrastrutture 5G realizzate dalla società con quartier generale a Shenzhen.
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