La Cina è uscita per prima dalla crisi sanitaria dovuta al Covid-19 ed è ripartita proprio nell’anno della pandemia. Ma non tutto è come sembra
Più 2,3. Si nasconde dietro questo aumento percentuale un anno di (stra)ordinaria follia per la Cina. Il 2020 si era aperto con la diffusione del coronavirus a Wuhane il Covid-19 che sembrava poter persino essere il “cigno nero” del Partito comunista. Il 2021 si apre con la certificazione di quello che appare chiaro già da tempo: la Cina è uscita per prima dalla crisi sanitaria ed è ripartita. Risultato che rappresenta non solo un buon segnale economico, ma anche un successo a livello geopolitico. Dalle modalità di questa ripartenza si evince, però, che esistono diversi problemi e che l’agognata trasformazione del Dragone da fabbrica del mondo a economia basata sui consumi interni è ancora lontana dall’essere completata.
I dati
Partiamo dai numeri. Secondo i dati diffusi dall’ufficio nazionale di statistica, il Pil è cresciuto del 2,3% su base annua: in Asia orientale crescono anche Taiwan e Vietnam, ma l’economia cinese è l’unica tra quelle principali ad avere un segno positivo alla fine del 2020. Si tratta del tasso di crescita più basso mai registrato negli ultimi 45 anni, cioè da prima che il “piccolo timoniere” Deng Xiaoping lanciasse la stagione delle riforme e dell’apertura. Per trovare una performance peggiore bisogna infatti andare al 1976, ultimo anno della Rivoluzione Culturale di Mao Zedong, quando il Pil si contrasse dell’1,6%. Pechino preferisce comunque concentrarsi su un altro dato, vale a dire il superamento (per la prima volta) della quota di centomila miliardi di yuan (circa 15 miliardi e mezzo di dollari) del volume del prodotto interno lordo.
Dato ancora più incoraggiante quello sul quarto trimestre, che segna un parziale del +6,5%. Si tratta di un aumento sopra le attese (si prevedeva un +6,1%) e superiore al +6% dell’ultimo trimestre del 2019. Ciò significa che, negli ultimi tre mesi dell’anno, la Cina è cresciuta a un ritmo persino più rapido del pre Covid. È cresciuta sopra le attese anche la produzione industriale, +2,8% su base annua e +7,1% nel quarto trimestre, trainata dal settore manifatturiero (+3,4%).
La narrativa di Pechino
I risultati economici, resi possibili da una gestione sanitaria dura ma efficace, garantiscono a Pechino la possibilità di proseguire la linea narrativa portata avanti negli scorsi mesi e che presenta la Cina come il Paese più adatto a fronteggiare le emergenze pandemiche, potenza responsabile e irrinunciabile partner commerciale. Una narrativa che si basa su alcuni episodi ed elementi chiave. Primo: 10 marzo 2020, il Presidente Xi Jinping si recò a Wuhan per dichiarare la prima vittoria sul “demone” virale. Un viaggio che dimostra, ai cinesi e al mondo, la velocità di reazione del Governo. Secondo: rimodulazione sanitaria della Belt and Road con l’esportazione di mascherine e altro materiale medico in Paesi di tutto il mondo, compresa l’Italia, e lancio della “diplomazia del vaccino” che sta portando risultati in particolare nel Sud-est asiatico, dove il Presidente indonesiano Joko Widodosi è fatto iniettare la prima dose di SinoVac. Terzo: l’annuncio dell’eliminazione della povertà assoluta, obiettivo inaggirabile del 2020 per il raggiungimento dello status di “società moderatamente prospera” nel 2021, centenario della fondazione del Partito comunista cinese. Obiettivo raggiunto, almeno ufficialmente, nonostante la pandemia. Da ultimo, appunto, i dati positivi sul Pil mentre il mondo occidentale vedrà solo segni meno. “In un anno straordinario, la Cina è riuscita in risultati straordinari. Una performance raggiunta mentre il mondo ci guarda e che può essere registrata negli annali di storia”, ha dichiarato Ning Jizhe, direttore dell’Istituto nazionale di statistica.
Punti deboli
Tutto bene dunque? Non proprio. La crescita del Pil si poggia su due pilastri dai quali il Governo stava cercando di affrancarsi: infrastrutture ed export. Quando è entrata in crisi per la pandemia, la Cina ha reagito nel modo che conosce meglio: lanciando un maxi pacchetto di stimoli fiscali. La naturale conseguenza è stata quella di avviare nuovi investimenti infrastrutturali e immobiliari. Anche a costo di aumentare l’indebitamento delle amministrazioni locali, tanto che il debito pubblico cinese continua a salire. Con la produzione industriale aumenta quella di acciaio, che ha superato il miliardo di tonnellate, e l’estrazione mineraria.
Nel frattempo, l’export è aumentato del 3,6% su base annua e addirittura del 18,1% a dicembre, mentre l’import è diminuito dell’1,1%. I livelli record del surplus commerciale sono stati sostenuti, come accennato, dal lancio della Via della Seta sanitaria. Basti pensare che nel 2020 il Dragone ha esportato materiale sanitario per circa 67,82 miliardi di dollari e un numero pari a circa 40 mascherine a persona in tutto il mondo al di fuori della Cina.
Soffrono invece i consumi, che sembrano palesare una ripresa diseguale. Le vendite al dettaglio sono aumentate solo del 4,6% a dicembre (ben sotto il previsto +5,5%), non riuscendo a evitare il calo del 3,6% su base annua. Segnale che le incertezze sulla situazione sanitaria non si sono ancora del tutto spente.
Secondo i dati ufficiali, il tasso didisoccupazione resta invariato al 5,2% ma nel 2020 circa un terzo dei lavoratori delle aree rurali ha guadagnato meno che nel 2019. Durante il V Plenum di fine ottobre, lo stesso partito ha riconosciuto gli squilibri nello sviluppo tra province costiere e province interne. Un problema cronico, al quale si è aggiunta la sperequazione tra nord e sud: solo Pechino entra tra le prime dieci città cinesi per dimensioni economiche. Alla Conferenza centrale del lavoro sull’economia il Governo ha d’altronde avvertito che le basi della ripresa “non sono ancora solide”, mentre Xi, in un discorso alla scuola centrale del partito, ha ribadito che la contingenza economica presenta “sia opportunità sia incertezze” e che serve superare la “diseguaglianza” a livello sociale e geografico.
La visione del Partito
Se i dati generali sul Pil dimostrano ancora una volta la grande capacità di Pechino di adattarsi alle situazioni, se si guarda all’andamento economico sorgono alcune preoccupazioni sugli squilibri esistenti e sembrano andare in senso contrario agli obiettivi economici di lungo termine.
La contesa con gli Stati Uniti, le minacce di decoupling, la dipendenza dalle esportazioni, la crescita del debito, le disegueglianze interne. E, infine, la pandemia. Con un mondo esterno che va improvvisamente più lento. Tutti questi elementi hanno portato la Cina ad accelerare sul suo processo di svolta che, nelle intenzioni, la dovrebbe trasformare da “fabbrica del mondo” a società di consumi. Durante un simbolico viaggio nel Guangdong (sud della Cina) alla vigilia del V Plenum, Xi ha enunciato la teoria della “doppia circolazione“, secondo la quale il sistema economico del Dragone deve restare aperto al flusso esterno (commercio globale) ma deve soprattutto basarsi sul flusso interno (consumi). Con altre due parole d’ordine in mente: autosufficienza tecnologica, visti i muri eretti ai colossi cinesi dagli Usa, e sostenibilità ambientale, vedi l’annuncio dell’obiettivo della neutralità carbonica da raggiungere entro il 2060. Risultati da centrare limitando i rischi finanziari e aumentando la presenza dello stato (alias partito) nell’economia, compreso il fintech, come dimostra il caso di Ant Group. Il tutto con un focus su una crescita più qualitativa che quantitativa, come dimostra anche l’assenza di un target specifico sul Pil nel piano quinquennale che sarà approvato a marzo.
I dati economici del 2020 ci dicono che la strada da fare per rendere più equilibrata la crescita e raggiungere gli obiettivi di lungo termine è ancora parecchia.
Ombre pandemiche
La Cina, che secondo le stime dovrebbe crescere del 7,9% nel 2021, deve ora fare i conti anche con nuove preoccupazioni sanitarie. Da una settimana i nuovi contagi superano quota cento. Numeri risibili se raffrontati a quelli italiani ed europei, ma comunque significativi in un Paese che sembrava ormai “coronavirus free”. I casi si sono diffusi dalla provincia dello Hebei a quelle dello Jilin e dello Heilongjiang, con milioni di persone tornate in lockdown. A distanza di otto mesi si è registrato anche il primo decesso ufficiale per Covid. I focolai e i nuovi timori potrebbero incidere anche sul settore turistico, che nelle prossime settimane vivrà il suo picco con il periodo del Capodanno cinese, in calendario il 12 febbraio. Se fossero introdotte restrizioni agli spostamenti la crescita del primo trimestre potrebbe risentirne.
La Cina è uscita per prima dalla crisi sanitaria dovuta al Covid-19 ed è ripartita proprio nell’anno della pandemia. Ma non tutto è come sembra
Più 2,3. Si nasconde dietro questo aumento percentuale un anno di (stra)ordinaria follia per la Cina. Il 2020 si era aperto con la diffusione del coronavirus a Wuhane il Covid-19 che sembrava poter persino essere il “cigno nero” del Partito comunista. Il 2021 si apre con la certificazione di quello che appare chiaro già da tempo: la Cina è uscita per prima dalla crisi sanitaria ed è ripartita. Risultato che rappresenta non solo un buon segnale economico, ma anche un successo a livello geopolitico. Dalle modalità di questa ripartenza si evince, però, che esistono diversi problemi e che l’agognata trasformazione del Dragone da fabbrica del mondo a economia basata sui consumi interni è ancora lontana dall’essere completata.
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