L’Unione europea vuole raddoppiare la sua quota nel mercato dei microchip entro il 2030: la sua spinta autarchica è condivisa anche da Usa e Cina…
I lavoratori monitorano la produzione di microchip nella camera bianca dello stabilimento UTAC di Singapore, 8 febbraio 2018. REUTERS/Thomas White
C’è una crisi globale nelle forniture di semiconduttori – noti più comunemente come chip – che non sembra destinata a risolversi a breve e che sta colpendo molti settori diversi. I produttori di automobili, per esempio, si sono ritrovati costretti a ridurre la produzione a causa dell’impossibilità di accedere a questi componenti tanto ridotti nelle dimensioni quanto cruciali per la fabbricazione dei veicoli. Le previsioni dicono che nel 2021 l’industria dell’automotive subirà perdite per 61 miliardi di dollari.
La crisi in Germania e l’ambizione di Bruxelles
In Europa la crisi dei microchip si sta facendo sentire soprattutto in Germania, l’economia più grande del continente che si regge per buona parte sulla manifattura automobilistica ed elettronica: sia Volkswagen che Siemens – tra i principali rappresentanti dell’uno e dell’altro ramo – hanno seri problemi di approvvigionamento. BDI, la confederazione industriale tedesca, ha dichiarato a proposito che la dipendenza dai fornitori stranieri di semiconduttori costituisce il tallone d’Achille del sistema produttivo nazionale.
La Germania non è in realtà il solo Paese a dipendere pesantemente dall’estero per il soddisfacimento del proprio fabbisogno di chip. Le fonderie di semiconduttori si concentrano per l’81% in due soli Paesi d’Asia – Taiwan e la Corea del Sud –, e due sole sono le aziende dominanti del settore: la taiwanese TSMC e la sudcoreana Samsung. TSMC vale addirittura quasi la metà della fabbricazione di questi componenti. Una concentrazione estrema che, complice la pandemia di coronavirus, ha finito per creare dei colli di bottiglia.
Iris Ploeger, che fa parte del consiglio di BDI, ha detto a Reuters che “la sovranità europea sui semiconduttori è importante per poter reagire in modo più flessibile alle interruzioni nelle catene di approvvigionamento e ai cambiamenti nei modelli di consumo”. Sui chip l’Europa è peraltro doppiamente dipendente dall’esterno: dall’Asia per quanto riguarda la produzione concreta, e dagli Stati Uniti per quanto riguarda la fase di progettazione.
L’Unione europea vuole però raddoppiare la sua quota nel mercato dei semiconduttori entro il 2030, passando da circa il 10 al 20%. L’uomo che incarna tale ambizione, il commissario per il Mercato interno Thierry Breton, ha annunciato recentemente che ventidue stati membri hanno unito le forze in una nuova alleanza mirata a sostenere lo sviluppo e la produzione locale di questi componenti.
La spinta autarchica dell’Unione europea è condivisa dall’America e dalla Cina. Tutte e tre vogliono infatti garantirsi forniture sicure di semiconduttori attraverso filiere “corte” e proteggere così i rispettivi settori strategici dal rischio di blocchi agli approvvigionamenti, in una fase in cui le catene del valore risentono sempre più delle tensioni geopolitiche.
La mossa dell’Unione europea
Breton sta portando avanti una campagna di persuasione rivolta ai principali produttori di chip per convincerli ad aprire delle fabbriche in Europa. TSMC però non è granché interessata all’offerta, visti i costi e le perplessità sulla capacità di assorbimento del mercato europeo.
Né del resto l’idea di fonderie gestite da società straniere piace a tutti gli europei: una fonte francese ha detto a Reuters che procedere in questo modo non sarà di aiuto alla sovranità tecnologica dell’Unione, che dovrebbe concentrarsi piuttosto sulla crescita degli attori locali. “Ai politici piacciono le cose che luccicano e talvolta tendono a sacrificare le politiche industriali di lungo termine in favore di annunci a breve termine”.
A questo proposito, sembrerebbe che Bruxelles stia lavorando alla nascita di un’alleanza sui semiconduttori con aziende europee come STMicroelectronics (italo-francese), Infineon (tedesca), ASML e NXP (nederlandesi).
La proposta è ad una fase ancora molto iniziale e mancano i dettagli, ma potrebbe beneficiare dello schema IPCEI (Importante progetto di interesse comune europeo). In questo modo, i Governi europei potrebbero più facilmente ricorrere agli aiuti di stato per favorire la nascita di “campioni” industriali.
L’Unione europea vuole raddoppiare la sua quota nel mercato dei microchip entro il 2030: la sua spinta autarchica è condivisa anche da Usa e Cina…
C’è una crisi globale nelle forniture di semiconduttori – noti più comunemente come chip – che non sembra destinata a risolversi a breve e che sta colpendo molti settori diversi. I produttori di automobili, per esempio, si sono ritrovati costretti a ridurre la produzione a causa dell’impossibilità di accedere a questi componenti tanto ridotti nelle dimensioni quanto cruciali per la fabbricazione dei veicoli. Le previsioni dicono che nel 2021 l’industria dell’automotive subirà perdite per 61 miliardi di dollari.
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