Lituania fuori dal forum di cooperazione tra Cina ed Europa centro-orientale
La Lituania annuncia il suo ritiro dal gruppo 17+1 tra la Cina e i Paesi dell'Europa centrale e orientale. Sempre maggiore la distanza tra Bruxelles e Pechino
La Lituania annuncia il suo ritiro dal gruppo 17+1 tra la Cina e i Paesi dell’Europa centrale e orientale. Sempre maggiore la distanza tra Bruxelles e Pechino
Venerdì scorso la Lituania ha annunciato l’abbandono del gruppo “17+1” (anche conosciuto come China-CEEC: Cooperation between China and Central and Eastern European Countries), l’iniziativa per la cooperazione tra la Cina e i Paesi dell’Europa centrale e orientale che mira a promuovere i rapporti economici e gli investimenti infrastrutturali. E lo ha fatto, come spiegato dal Ministro degli Esteri Gabrielius Landsbergis, per “motivi pratici”.
Non si tratta di una decisione inattesa. Lo scorso febbraio la Commissione Esteri del Parlamento lituano si era già espressa a favore dell’uscita dal 17+1: il suo Presidente, Zygimantas Pavilionis, aveva dichiarato all’emittente televisiva LRT che Pechino “ha l’obiettivo di prendere il controllo di infrastrutture strategiche in vari Paesi; perché dovremmo farci coinvolgere in questi rischi?”. A marzo il Ministro Landsbergis aveva detto che l’iniziativa non aveva portato “quasi nessun vantaggio” alla Lituania e che non era utile nemmeno all’Europa intera: anzi, il formato “sta dividendo l’Europa”, perché non tutti gli Stati membri hanno la stessa opinione sulla Cina.
Landsbergis è tornato su questo punto nei giorni scorsi, invitando il resto dei membri a tirarsi fuori dall’iniziativa e all’Unione europea “di passare da un formato divisivo 16+1 a uno 27+1, più unito e quindi molto più efficiente”. “L’Unione europea è più forte quando tutti i 27 Stati membri agiscono insieme alle istituzioni europee”.
Cosa succede tra Lituania e Cina
Le parole di Landsbergis raccontano tre cose. La prima è la sempre maggiore distanza tra l’Unione europea e la Cina, che si è tradotta nella pratica con il congelamento dell’accordo bilaterale sugli investimenti (il Cai) dopo le sanzioni europee per le violazioni dei diritti umani e la risposta aggressiva di Pechino. È una vittoria per gli Stati Uniti di Joe Biden, che puntano a compattare gli alleati in un fronte anti-cinese utilizzando proprio i diritti umani come strumento di pressione geopolitica.
La seconda cosa è la perdita di rilevanza del meccanismo 17+1, che ha deluso non soltanto la Lituania ma anche altri membri. Il Diplomat notava in particolare la crescita dello scetticismo dei Paesi baltici – Estonia, Lettonia e appunto Lituania – verso la Cina: nessuna delle tre nazioni ha peraltro inviato un capo di Stato o di Governo all’ultimo vertice dell’iniziativa. Uno scetticismo forse motivato anche dal recente avvicinamento tra Cina e Russia, guardata con particolare diffidenza dalle repubbliche baltiche, un tempo parte dell’Unione sovietica.
La terza cosa è la volontà della Lituania di distaccarsi dalla Cina e di far sentire invece la propria vicinanza agli Stati Uniti, anche su dossier diversi. Per esempio, a fine marzo il Presidente Gitanas Nauseda disse di essere d’accordo con Biden nel considerare il Presidente russo Vladimir Putin un assassino.
Sulla Cina, a febbraio la Lituania ha vietato l’utilizzo di macchinari per il controllo dei bagagli negli aeroporti provenienti da un’azienda legata alla cinese Nuctech. Lo ha fatto per ragioni di sicurezza nazionale, che è la motivazione usata da Washington per convincere gli alleati a non acquistare tecnologie e componentistica da società cinesi: la campagna per l’esclusione di Huawei dalle reti 5G è l’esempio più noto, ma l’America si è espressa anche contro Nuctech.
A marzo la Lituania ha annunciato la prossima apertura di un ufficio per il commercio a Taiwan, infastidendo la Cina che considera l’isola come una parte del proprio territorio. Il 20 maggio il Parlamento di Vilnius si è accodato a quelli di Regno Unito e Canada e al Governo degli Stati Uniti nell’accusare Pechino di stare commettendo un “genocidio” della minoranza uigura nella regione dello Xinjiang.
La risposta cinese alla “piccola” Lituania
Ieri il Global Times, tabloid legato al Partito comunista cinese, ha pubblicato un commento molto duro – coerente con la sua linea editoriale – sulla decisione della Lituania di abbandonare il gruppo 17+1: ne ha parlato come di una mossa pretestuosa e politica, motivata dalla voglia di “impressionare alcune potenze occidentali, specialmente gli Stati Uniti”.
Il Global Times critica anche il ruolo di Vilnius nei confronti di Mosca, quello di “allarmista per mosse anti-russe”. Ma l’editoriale è interessante soprattutto per il modo in cui viene descritta il Paese: l’aggettivo più ricorrente è “piccolo”. La Lituania, si legge, è appunto “un piccolo Paese baltico con una popolazione di meno di 3 milioni”, e “quando un Paese così piccolo è aggressivo e si pone proattivamente per diventare uno strumento della competizione tra le grandi potenze, creerà guai […]. La Lituania raccoglierà quello che ha seminato”.
Il Global Times conclude col dire che la Lituania, che ha meno abitanti “di un distretto di una delle città cinesi di prima fascia”, “non è nelle condizioni per attaccare la Cina, e non è questo il modo in cui un Paese piccolo dovrebbe agire”.
La Lituania annuncia il suo ritiro dal gruppo 17+1 tra la Cina e i Paesi dell’Europa centrale e orientale. Sempre maggiore la distanza tra Bruxelles e Pechino
Venerdì scorso la Lituania ha annunciato l’abbandono del gruppo “17+1” (anche conosciuto come China-CEEC: Cooperation between China and Central and Eastern European Countries), l’iniziativa per la cooperazione tra la Cina e i Paesi dell’Europa centrale e orientale che mira a promuovere i rapporti economici e gli investimenti infrastrutturali. E lo ha fatto, come spiegato dal Ministro degli Esteri Gabrielius Landsbergis, per “motivi pratici”.
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