Dopo i disastri di Fukushima, i Giochi olimpici simboleggiano la rinascita di Tokyo e sono l’occasione di riposizionarsi come riferimento tecnologico a livello globale
Sui volti delle persone che ebbero la fortuna di assistere all’inaugurazione della linea ferroviaria ad alta velocità Tokaido Shinkansen, pochi giorni prima delle Olimpiadi giapponesi del 1964, aleggiava una sorta di sorriso sardonico, misterioso, ricco di luminose speranze per il futuro. I nuovi convogli viaggiavano a una velocità di 210 km/h, dimezzando i tempi di percorrenza tra Tokyo e Osaka. I treni proiettile che correvano su quella linea, nel giro di pochi anni, sarebbero diventati i più utilizzati al mondo, rivelando in maniera plastica lo straordinario potenziale di una nazione in perenne conflitto con i fantasmi del proprio recente passato. Oggi, a più di cinquant’anni da quella felice inaugurazione preolimpica, il Giappone si sta preparando alle Olimpiadi del 2021 con un obiettivo ben preciso: dimostrare al mondo – ma soprattutto alle giovani generazioni giapponesi – le capacità dimenticate di un Paese in costante lotta con il proprio destino, costretto a misurarsi con le persistenti ombre del disastro di Fukushima, con tenaci resistenze interne, e ora anche con le morse opprimenti di una delle peggiori pandemie globali mai conosciute dal genere umano.
I giochi olimpici di Tokyo, programmati tra il 23 luglio e l’8 agosto, attireranno in Giappone circa 15mila atleti provenienti da ogni parte del mondo, ma il clima in cui si svolgeranno è tutt’altro che entusiastico. Fino a maggio, stando alle stime di alcuni sondaggi, otto giapponesi su dieci si dichiaravano contrari alle Olimpiadi: lo scetticismo era legato per la maggior parte alla pandemia e alle lungaggini burocratiche che stanno ostacolando la campagna vaccinale in tutto l’arcipelago. Il Giappone, dove il Covid ha già causato più di 11mila vittime, si trova al momento nel bel mezzo della quarta ondata di contagi, con la città di Osaka come epicentro principale.
L’idiosincrasia dei giapponesi nei confronti delle Olimpiadi si è leggermente attenuata da metà giugno, quando un sondaggio della tv pubblica NHK riportava che il 64% degli intervistati si dichiarava favorevole all’inizio dei giochi. Alle resistenze della popolazione, negli scorsi mesi, si erano aggiunte anche quelle dell’associazione dei medici di Tokyo, di una buona parte delle imprese (il 64%, secondo l’agenzia di stampa Kyodo) e perfino dell’importante quotidiano nazionale Asahi Shimbun, che ha richiesto a gran voce la cancellazione delle Olimpiadi. Per il momento, tuttavia, Tokyo non sembra avere scelta: le Olimpiadi si faranno. Rinunciare ai Giochi, del resto, costerebbe al Giappone circa 17 miliardi di dollari (per l’organizzazione della manifestazione ne ha già spesi 26), una cifra spropositata per un’economia già segnata da due contrazioni trimestrali consecutive.
Il disastro di Fukushima
Nel 2013, quando l’ex Primo Ministro Shinzo Abe esercitò tutta la sua influenza per portare le Olimpiadi a Tokyo, il Giappone era appena uscito da una delle peggiori catastrofi della sua storia: il disastro di Fukushima del marzo 2011, quando il terremoto più forte nella storia del Paese e il conseguente tsunami provocarono circa 20mila vittime, oltre al più grave incidente nucleare al mondo dai tempi di Chernobyl. Due anni dopo, quando le ombre del disastro continuavano ad addensarsi sull’intero arcipelago, l’ex Primo Ministro vide nelle Olimpiadi del 2020 un eccezionale strumento con cui lanciare un messaggio di speranza all’intero Paese, in particolare alle giovani generazioni, che in tutta la loro esistenza hanno dovuto misurarsi con le conseguenze di tsunami e devastazioni nucleari, senza mai assistere a un grande evento organizzato dal loro Paese. In un momento estremamente delicato, mentre l’immagine internazionale del Giappone stava via via offuscandosi, Shinzo Abe decise dunque che era arrivato il momento di cambiare qualcosa.
Non è certamente un caso se le Olimpiadi giapponesi siano state ribattezzate “Recovery Olympics”: sin dall’inizio, l’obiettivo è stato estremamente chiaro. I giochi avrebbero dovuto restituire alla comunità internazionale l’immagine di un Giappone pienamente integrato tra le potenze democratiche mondiali, in netta ripresa economica e finalmente libero dal funesto retaggio di Fukushima. Dal dicembre dello scorso anno, a Shinzo Abe è succeduto Yoshihide Suga, che si è ritrovato a dover gestire il complesso dossier delle Olimpiadi nel bel mezzo della pandemia.
Il suo Governo, a metà giugno, ha superato una mozione di sfiducia presentata in seduta plenaria dalle principali forze di opposizione del Paese, che accusavano l’esecutivo di aver gestito grossolanamente l’emergenza sanitaria e la campagna vaccinale. A pochi mesi dalla scadenza della legislatura, prevista per il prossimo ottobre, il successore di Shinzo Abe deve dunque fare i conti con livelli di consenso estremamente bassi. Eppure, se i Giochi dovessero svolgersi senza intoppi, sarà proprio lui a raccogliere una parte del successo degli ambiziosi piani di Abe, cristallizzati magnificamente nell’organizzazione delle Olimpiadi di Tokyo.
Il soft power tecnologico
Attraverso le Olimpiadi, il Giappone ha anche l’occasione di riposizionarsi come punto di riferimento tecnologico a livello globale, utilizzando al meglio la vetrina dei Giochi per mostrare al mondo il suo formidabile repertorio hi-tech. Lo stesso Suga, a fine maggio, aveva affermato che il Giappone intende ricoprire un ruolo da assoluto protagonista nella creazione di un’infrastruttura digitale nell’Indo-Pacifico, non soltanto sviluppando le tecnologie legate al 5G o al 6G, ma guidando la costruzione “di uno spazio digitale libero e aperto” attraverso ambiziosi progetti IT.
Durante le Olimpiadi, in Giappone si vedranno automobili a guida automatica, dispositivi per il riconoscimento facciale, veicoli con tecnologia a cella combustibile e perfino dei robot che guideranno i visitatori e forniranno ogni informazione sugli eventi, trasportando anche i loro bagagli. Quelle di Tokyo, da un punto di vista tecnologico, saranno anche le Olimpiadi dell’idrogeno: il Giappone ha infatti preparato un intero assortimento di bus e veicoli a idrogeno, allestendo anche in tutta la capitale numerose stazioni di rifornimento per queste vetture.
A questo punto, in effetti, per il Giappone sarebbe estremamente difficile tirarsi indietro. Oltre alle perdite di natura economica, la cancellazione o il rinvio dei Giochi avrebbero pesanti conseguenze anche di natura geopolitica, soprattutto se si considera che in Cina, nel febbraio del 2022, andranno in scena i XXIV Giochi olimpici invernali, programmati per la maggior parte a Pechino. In un momento storico in cui la rivalità con la Cina sembra essere entrata in una nuova fase − con il Giappone che continua a puntare con insistenza sui suoi progetti infrastrutturali qualitativi e trasparenti, in netta contrapposizione con la Belt and Road Initiative cinese −, lasciarsi rubare la scena da Pechino rappresenterebbe una vera e propria beffa.
I progetti di Abe e di Suga per il rilancio del Giappone attraverso le Olimpiadi, in via del tutto inesorabile, sono destinati a scontrarsi con la realtà dei fatti, con un’opinione pubblica ancora in larga parte convinta che l’organizzazione dei Giochi rappresenti un tentativo di distogliere l’attenzione dalla cattiva gestione dell’emergenza sanitaria e dalle persistenti conseguenze del disastro di Fukushima, non ancora del tutto superate. Andare avanti con i Giochi, da un lato, dimostrerebbe la capacità del Giappone di organizzare un evento d’ampio respiro in un momento estremamente delicato. Dall’altro, significherebbe irrobustire il proprio soft power tecnologico e valoriale, anche nei confronti della Cina. Lo Shinkansen del 2021, per il Giappone, è rappresentato da quel forte desiderio – ben evidente negli sforzi per le Olimpiadi e forse destinato a rimanere tale – di spingere il Paese verso nuovi traguardi sociali e tecnologici, allontanando i fantasmi di Fukushima e inaugurando una nuova era di prosperità.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di luglio/agosto di eastwest.
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Dopo i disastri di Fukushima, i Giochi olimpici simboleggiano la rinascita di Tokyo e sono l’occasione di riposizionarsi come riferimento tecnologico a livello globale
Sui volti delle persone che ebbero la fortuna di assistere all’inaugurazione della linea ferroviaria ad alta velocità Tokaido Shinkansen, pochi giorni prima delle Olimpiadi giapponesi del 1964, aleggiava una sorta di sorriso sardonico, misterioso, ricco di luminose speranze per il futuro. I nuovi convogli viaggiavano a una velocità di 210 km/h, dimezzando i tempi di percorrenza tra Tokyo e Osaka. I treni proiettile che correvano su quella linea, nel giro di pochi anni, sarebbero diventati i più utilizzati al mondo, rivelando in maniera plastica lo straordinario potenziale di una nazione in perenne conflitto con i fantasmi del proprio recente passato. Oggi, a più di cinquant’anni da quella felice inaugurazione preolimpica, il Giappone si sta preparando alle Olimpiadi del 2021 con un obiettivo ben preciso: dimostrare al mondo – ma soprattutto alle giovani generazioni giapponesi – le capacità dimenticate di un Paese in costante lotta con il proprio destino, costretto a misurarsi con le persistenti ombre del disastro di Fukushima, con tenaci resistenze interne, e ora anche con le morse opprimenti di una delle peggiori pandemie globali mai conosciute dal genere umano.