Dopo il caos in Afghanistan, l’Indo-Pacifico acquisisce ancora più centralità, anche perché gli Stati Uniti giocano lì la vera partita…
Il doloroso processo di distacco degli Stati Uniti dall’Afghanistan sta causando alcuni smottamenti anche in Asia e Pacifico. Come raccontato da eastwest, la Cina ha subito approfittato della caduta di Kabul per criticare la debacle di Washington e alzare la pressione retorica su Taiwan. Una pressione anche strategica, viste le esercitazioni su larga scala condotte dalla flotta dell’Esercito popolare di liberazione lo scorso 17 agosto al largo delle coste taiwanese. Allo stesso tempo, sta cercando di mettere in sicurezza la porzione del suo territorio confinante con l’Afghanistan (cioè la regione del Xinjiang) rafforzando i rapporti difensivi con le ex repubbliche sovietiche dell’Asia centrale. Gli Stati Uniti stanno rispondendo con una serie di azioni militari e diplomatiche per rilanciare la loro presenza nell’Indo-Pacifico, alle porte della Repubblica popolare e all’interno delle acque contese del Mar Cinese meridionale. Un rilancio che passa attraverso un’azione di rassicurazione dei partner dell’area sulle intenzioni di lungo termine di Washington, la cui immagine è stata innegabilmente scalfita dalla dinamica di quanto accaduto a Kabul.
Nessuno vuole fare a meno degli Stati Uniti e della loro protezione difensiva, ma un po’ tutti stanno iniziando a immaginare un futuro nel quale la propria sorte dipende innanzitutto da se stessi. Persino Taiwan, la cui sicurezza dipende in larga parte proprio dagli armamenti e dalle azioni americane, ha iniziato a parlare della necessità di non dipendendere in maniera eccessiva dalla volontà di protezione altrui. Vale a dire Stati Uniti. Ecco, dunque, che venerdì 27 agosto due navi americani, il cacciatorpediniere USS Kidd e un mezzo della guardia costiera hanno effettuato un transito nello Stretto, l’ottavo realizzato dalla Marina statunitense durante l’amministrazione Biden.
Azione apprezzata dal Governo taiwanese, che comunque come tanti altri esecutivi dell’area cerca di diversificare i propri rapporti anche in materia di sicurezza. Guardando nello specifico al Giappone, con il quale è stato lanciato un inedito dialogo a livello partitico tra i due partiti di maggioranza. Lo stesso fanno le potenze medie: Giappone, India e Australia stanno rafforzando i propri legami securitari non solo attraverso la piattaforma del Quad, che include anche gli stessi Usa, ma lo fanno anche a livello bilaterale tra loro. Nei giorni scorsi, proprio in ambito quadrilaterale, sono partite le esercitazioni Malabar 2021, che replicano quelle del 2020, le prime con impegnate le marine di tutti e quattro i Paesi della piattaforma informale che gli Usa vorrebbero rendere sempre più formale, possibilmente allargandola ad altri attori come la Corea del Sud, che per ora ha respinto le “offerte” in tal senso.
La centralità dell’Indo-Pacifico
L’Indo-Pacifico acquisisce ancora più centralità dopo il caos afghano, anche perché gli Stati Uniti giocano lì la vera partita e non possono assolutamente permettersi di trasmettere una sensazione di debolezza. Ecco spiegato anche il rinnovato interesse per il Sud-est asiatico, area quasi del tutto trascurata dall’amministrazione Trump se si eccettua il singulto finale con il quale l’ex segretario di Stato Mike Pompeo ha appoggiato unilateralmente tutte le rivendicazioni territoriali dei Paesi dell’area coinvolti in dispute marittime con la Cina. Una campagna di arruolamento che non ha funzionato nell’estate del 2020 e non funzionerà nemmeno a distanza di un anno.
Nel giro di pochi mesi si sono succedute diverse missioni diplomatiche nell’area. I risultati, però, sono stati altalenanti. Ottimo successo per il segretario alla Difesa Lloyd Austin, che nelle Filippine ha ottenuto la proroga del Visiting Force Agreement, uno dei pilastri dell’ampio trattato difensivo che regola i rapporti militari tra Washington e Manila e che il Presidente Rodrigo Duterte aveva più volte minacciato di voler cancellare. Decisamente meno soddisfacente la visita di Wendy Sherman, la vice del Segretario di Stato Antony Blinken, che in Cambogia si è vista negare il pieno accesso alla base navale di Ream, che il Pentagono sospetta venire utilizzata come punto d’appoggio dalla flotta cinese. La vicepresidente Kamala Harris si è recata la scorsa settimana in Singapore e Vietnam per riannodare i legami con due dei più strategici Paesi della regione.
Lee Hsien Loong, premier della città-Stato, ha chiesto prove sull’interesse a lungo termine di Washington per la regione. Non allineata nemmeno la posizione di Hanoi, sul quale gli Usa puntano molto per l’affermazione di una linea geopoliticamente assertiva sulla Cina in seno all’Asean. Il premier Pham Minh Chinh ha approfittato del ritardo nell’arrivo di Harris, causato da due possibili casi di cosiddetta “sindrome dell’Avana”, per incontrare l’ambasciatore di Pechino Xiong Bo e garantire che il Vietnam non entrerà in nessuna “alleanza anti-cinese”. Non proprio un segnale incoraggiante. Washington dovrà cercare di elevare la sua azione a livello di blocco per provare a incidere maggiormente, ma tenendo sempre in mente una cosa: nel Sud-est nessuno vuole scegliere da che parte stare.
Dopo il caos in Afghanistan, l’Indo-Pacifico acquisisce ancora più centralità, anche perché gli Stati Uniti giocano lì la vera partita…