L’arresto di Meng Wanzhou aveva alzato di tono le tensioni tra Usa e Cina. Il suo ritorno in patria, collegato alla liberazione dei due canadesi, consente a Pechino di mandare un doppio messaggio, al suo interno e al mondo
Il ritorno in Cina di Meng Wanzhou non è solo il ritorno in Cina di Meng Wanzhou. Così come l’arresto della figlia di Ren Zhengfei, fondatore e Presidente di Huawei, non era solo un arresto.
Prima ancora del Covid-19, è questo l’evento che ha accelerato una serie di tendenze già in atto precedentemente in Cina (internamente) e nel rapporto tra Washington e Pechino. Meng è stata il simbolo dell’escalation nelle relazioni bilaterali. Il suo arresto è stato il grilletto premuto da Donald Trump per far capire a Pechino che Washington non cercava solo un mero riequilibrio della bilancia commerciale. Altro che semplice trade war, la questione non erano solo i dazi e le tariffe. Quell’arresto ha cambiato tutto. Ha convinto la Cina che gli Usa volevano fermarne l’ascesa e avrebbero fatto qualsiasi cosa pur di riuscirci. A partire da far prendere in custodia al Canada, alleato dei Five Eyes, un personaggio di spicco del colosso tecnologico che mirava allo sviluppo delle infrastrutture di rete 5G un po’ ovunque nel mondo. E non solo a quello, ovviamente. È cambiato tantissimo, da 1° dicembre 2018 in cui Meng viene fermata a Vancouver, diretta a un incontro d’affari in Messico. Ma quello è il momento in cui è cambiato qualcosa, inesorabilmente. La Cina raccoglie quell’arresto come una dichiarazione di guerra, e reagisce di conseguenza. Il clima cambia, la retorica anche.
Ecco perché Meng non poteva che essere accolta nel modo in cui è stata accolta dopo il suo atterraggio a Shenzhen, città che ha anch’essa una profonda valenza simbolica per gli ultimi decenni della Repubblica popolare. Da qui Xi Jinping ha lanciato ufficialmente la doppia circolazione nel suo tour al sud dello scorso autunno, qui ora grande e piccola circolazione tornano a scorrere in un intreccio virtuoso. Ecco perché è difficile credere al comunicato della Casa Bianca secondo il quale la liberazione di Meng è una questione meramente giudiziaria, seppure del tema se ne sia parlato durante la recente (e prima) telefonata tra Joe Biden e Xi. Questione che è proceduta in maniera parallela rispetto a quella dei due cittadini canadesi Michael Spavor e Michael Kovrig, rispediti a casa da Pechino dopo essere stati tenuti prigionieri durante la permanenza di Meng nella sua proprietà di Vancouver.
Il doppio messaggio della Cina
Il collegamento è immediato, diretto, esplicito, quasi ostentato. Assomiglia a uno scambio di prigionieri e Pechino non ha fatto nulla per nasconderlo. Il messaggio è doppio. Il primo, incentrato su Meng, è rivolto all’interno: “Il Partito comunista e il Governo cinese sono forti e hanno vinto il braccio di ferro con gli Stati Uniti”. Il secondo, incentrato sui due “ostaggi” rilasciati, è rivolto all’esterno: “Siamo pronti a fare di nuovo la stessa cosa se ci ostruite la strada”. Una vittoria simbolica e strategica che tiene poco conto delle possibili considerazioni esterne, perché la Cina vuole mostrare di essere forte. E se questo comporta la conseguenza di far provare oltre al rispetto anche timore, così sia.
Sui media cinesi sono apparsi alcuni articoli e opinioni che ritengono che la liberazione di Meng possa stemperare in qualche modo le tensioni tra Usa e Cina. Ancora una volta, la Casa Bianca dice che la linea non cambia dopo questo episodio. Eppure i segnali di un tentativo di dialogo ci sono. Quantomeno di un dialogo diverso da quello duro e confrontativo ufficiale. Forse non è un caso che subito dopo la risoluzione del caso Meng, il South China Morning Post abbia rivelato il lungo viaggio in Cina di John Thornton, pezzo grosso di Wall Street ed ex capo di Goldman Sachs. Un viaggio nel quale Thornton avrebbe incontrato il vicepresidente Wang Qishan e il vicepremier Han Zheng, e che il quotidiano edito a Hong Kong paragona alla missione segreta di Henry Kissinger nel 1971. Forse un paragone esagerato, ma legittimo pensare che qualcosa si stia muovendo, o quantomeno stia provando a muoversi. La liberazione di Meng non è solo la liberazione di Meng.
L’arresto di Meng Wanzhou aveva alzato di tono le tensioni tra Usa e Cina. Il suo ritorno in patria, collegato alla liberazione dei due canadesi, consente a Pechino di mandare un doppio messaggio, al suo interno e al mondo