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L’Egitto del dittatore al-Sisi, un regime autoritario e repressivo


Eletto nel 2018 con il 97,8% dei consensi e soprattutto per assenza di concorrenti, al-Sisi si è garantito la possibilità di restare al potere almeno fino al 2030 e può contare ancora sull’appoggio, più o meno esplicito, della comunità internazionale

Abdel-Fattah al-Sisi, Presidente egiziano in carica, è certamente una delle figure più discusse e controverse degli ultimi anni nel panorama internazionale. La sua ascesa al potere, voluta dal popolo in maniera quasi plebiscitaria per sfuggire a un Governo, quello di Morsi, durato peraltro solo un anno, che in quel momento non sembrava dare le necessarie garanzie per le riforme e la rinascita del Paese, si è invece trasformata in quella che per molti non è altro che una dittatura.

La carriera di al-Sisi

L’elezione del 2018, definita da alcuni analisti “al-Sisi contro al-Sisi” per la totale assenza di concorrenti (salvo l’unico candidato rivale, l’uomo d’affari Moussa Moustafa, definito all’epoca dai media “la comparsa”, messo in campo all’ultim’ora forse solo per dare una parvenza di democrazia all’elezione) rappresentò per al-Sisi una vittoria schiacciante (ebbe il 97,8% dei consensi). Una importante conferma di un percorso che era iniziato anni prima, con la prima elezione a Presidente avvenuta nel 2014 con il 96,91% dei voti favorevoli.

Al-Sisi arrivava dalle retrovie, anche se da retrovie importanti e di potere, quelle militari, quelle che di fatto, oggi, contano in Egitto. Del resto la sua è una formazione militare. Laureato nel 1977 all’Accademia Militare egiziana, dopo aver ricoperto numerose cariche, per lo più sempre in ambito militare, tra cui quella di capo delle informazioni e della sicurezza presso il segretariato generale del Ministero della Difesa, di Addetto militare in Arabia Saudita, Capo di stato maggiore, Comandante della zona militare settentrionale dell'Egitto nel 2008, nel 2011 diventa Capo dell'intelligence militare, e anche uno dei membri più giovani del Consiglio Supremo delle forze armate.

Le Primavere arabe

È il periodo delle cosiddette Primavere arabe. In Egitto c’è molto fermento e voglia di cambiamento. Storicamente è un momento decisivo, il Governo ormai trentennale del Presidente Hosni Mubarak è al suo epilogo. Nel Paese tira aria di cambiamento. L’esercito gestisce la transizione e nel 2012 si svolgono le elezioni. A vincere è il candidato dei Fratelli Musulmani, Mohamed Morsi. Al-Sisi è già però prepotentemente sulla scena e viene da lui nominato capo di Stato Maggiore delle Forze Armate. Ma il potere di Morsi dura poco. Complici alcune scelte impopolari, tra cui in particolare l’emanazione di alcuni decreti che gli avrebbero attribuito sempre più ampi poteri soprattutto in materia giudiziaria, addirittura per fare una nuova Costituzione, dopo solo un anno, il popolo si scaglia contro Morsi.

Al-Sisi coglie l’occasione e gli lancia un ultimatum di 48 ore al termine delle quali, non avendo ricevuto le risposte richieste, Morsi viene arrestato e così pure numerosi esponenti dei Fratelli Musulmani. Le accuse sono di incitamento alla violenza e disturbo della sicurezza e della pace del popolo. Per la Fratellanza Musulmana è la fine. Prendendo a pretesto alcuni attentati nel Sinai nel 2013 (in realtà poi rivendicati da Ansar Bayt al-Maqdis, una organizzazione jihadista) l’organizzazione venne dichiarata illegale, e nell’aprile del 2014 vengono condannati a morte circa 1200 membri di quel movimento. Al-Sisi li considera tuttora una minaccia all’integrità nazionale. I Fratelli Musulmani sono tuttavia ancora esistenti e seguiti nel Maghreb, in Tunisia e in alcune aree della Libia.

L'elezione di al-Sisi

È comunque dal 2014, anno della sua prima elezione a Presidente, che comincia la prima vera era di al-Sisi. Per l’Egitto è un cambiamento radicale, di sistema. Il trentennale Governo di Mubarak era infatti basato sull’esistenza di un partito guidato per lo più dalla borghesia del paese che aveva relegato il potere militare a un ruolo secondario. A partire dal 2011 questi equilibri si rompono, il partito non esiste più e l’esercito assume il controllo, permeando da quel momento tutti gli aspetti della vita politica, economica e sociale del Paese. Non c’è più un partito che possa fungere da collegamento tra il potere e il popolo. Le sfide che il nuovo Presidente vuole affrontare sono tante: mettere in sicurezza l’area, attuare le riforme economiche promesse.

I primi anni sono quelli caratterizzati dai migliori auspici. Nel 2015 viene pubblicato un piano chiamato “Sustainable Strategy: Vision 2030”, un articolato programma di riforme economiche da realizzarsi per proiettare il Paese verso il mondo globale. Ma non tutto procede come sperato. Il Paese deve fare i conti con difficoltà economiche di non poco conto. Nel 2016 il Fondo monetario internazionale concede all’Egitto un prestito di 12 miliardi di dollari che dovranno a partire da quest’anno (2021) essere restituiti. E così è partito un rigoroso programma di riforma economica che includeva svalutazione della valuta, tagli alle sovvenzioni e aumenti delle tasse per ridurre il deficit di bilancio. Per al-Sisi, "le riforme economiche erano assolutamente necessarie anche se sono dure e hanno causato insoddisfazione tra gli egiziani".

Secondo recenti stime della Banca mondiale, attualmente, a causa anche del forte rialzo dei prezzi delle materie prima e dell’effetto della svalutazione, il 35% della popolazione egiziana vive sotto la soglia di povertà. Sempre stando ai dati di Banca mondiale, inoltre, con al-Sisi la crescita economica tra il 2015 e il 2019 è stata inferiore alla media degli ultimi anni di presidenza Mubarak.

La crisi economica e sociale

La crisi mondiale generata dalla pandemia da Covid-19 ha, se possibile, ulteriormente peggiorato la situazione economica e sociale. L’Egitto è un Paese che notoriamente conta moltissimo sul turismo, in pratica azzerato negli ultimi due anni, e questo ha anche innalzato molto il tasso di disoccupazione giovanile, arrivata al 29,6%. Inoltre la popolazione ha cominciato a fare i conti con un potere autoritario e quasi dittatoriale. Il presidente si avvale prevalentemente dell’esercito per imporre il suo volere. Le Forze Armate, su sua indicazione, attuano la repressione di chiunque si opponga al regime.

La repressione

In questi anni e in numerose occasioni, organizzazioni quali Amnesty International hanno denunciato violazioni, maltrattamenti, torture, sparizioni forzate, detenzioni e uso della forza. Secondo le stime di Amnesty International nel solo 2020 sono state 710 le sparizioni forzate. Tanti i casi. Il 25 gennaio 2016 il ricercatore italiano Giulio Regeni scompare misteriosamente. Dieci giorni dopo viene trovato morto con evidenti segni di tortura. E poi c’è Patrick George Zaki, studente dell’Università di Bologna, in carcere da oltre un anno con l’accusa di propaganda sovversiva. Nel 2020, Freedom House ha classificato l'Egitto come Paese "non libero"; nel suo rapporto annuale “Freedom in the World”, in particolare per quanto riguarda i diritti politici l’Egitto ha avuto 7 punti su 40 e per quanto riguarda le libertà civili 14 punti su 60.

Per dare un crisma di legalità alle repressioni, fatte a suo dire in nome della sicurezza nazionale, il Presidente ha fatto approvare una legge nel 2018 che permette alle autorità di bloccare siti web in caso di pubblicazione di un qualsiasi contenuto che costituisca un crimine per la legge, che minacci la sicurezza nazionale o metta in pericolo la sicurezza del Paese o dell’economia nazionale, anche senza un ordine giudiziale. È stata poi anche modificata la legge sul terrorismo, in modo da poter accusare di terrorismo organizzazioni o individui anche solo sulla base di segnalazioni della polizia e anche nei confronti di chi non abbia alcun precedente di questo tipo.

E così, giornalisti, oppositori, persino membri di Ong, sono finiti nella lista dei terroristi. Sono stati ampliati i poteri in materia di censura, sequestro dei beni e sfratti. Una situazione pesante, più e più volte denunciata soprattutto dalle organizzazioni che operano per la tutela dei diritti umani, ma di cui al-Sisi non sembra curarsi più di tanto, affermando anzi in più occasioni di voler proseguire per la sua strada e di non voler accettare intromissioni, su questo come su altri temi.

La popolarità di al-Sisi sul fronte interno

La popolarità di al-Sisi dunque, nell’ultimo periodo sembra diminuita, non tanto e non solo a livello internazionale ma anche all’interno del Paese stesso. Nel settembre 2019, pochi mesi prima della crisi dovuta al Covid, centinaia di persone sono scese nelle piazze per chiederne le dimissioni. Gli oppositori, tra l’altro, gli contestano appropriazione dei fondi pubblici, corruzione, sprechi vari. Le proteste sono state duramente domate con arresti di giornalisti, attivisti e oppositori del regime. E nel frattempo il Presidente non ha perso tempo, facendo approvare degli emendamenti in base ai quali il mandato presidenziale è stato esteso da quattro a sei anni ed è stato tolto il limite dei due mandati. In tal modo al-Sisi resterà in carica per ora fino al 2024 (a meno di sorprese) anziché fino al 2022 e poi nel 2024 potrebbe essere rieletto per un terzo mandato di ulteriori sei anni rimanendo al potere almeno fino al 2030.

Cosa realmente accadrà negli anni a venire al momento è difficile a dirsi. Certo è che il Presidente sta facendo veramente di tutto per blindare la sua futura permanenza al potere, anche escludendo suoi potenziali concorrenti. Non a caso, tra le leggi da lui fortemente volute, quella approvata lo scorso anno, in piena pandemia, che obbliga i militari a chiedere l’autorizzazione del Consiglio delle Forze Armate, presieduto dallo stesso al-Sisi, per poter entrare in politica. In precedenza invece tale autorizzazione non era necessaria, bastava che il candidato abbandonasse la carriera militare. In tal mondo il Presidente si è anche assicurato il controllo sulle eventuali candidature per le prossime elezioni.

Non a caso nel 2018 uno dei suoi più temibili concorrenti, Sami Anan, era proprio un militare. Anche in quel caso al-Sisi riuscì a neutralizzarlo. Incarcerato subito dopo l’annuncio della sua candidatura per presunti brogli nella raccolta delle firme, Anan fu poi liberato successivamente, nel 2019, a elezioni terminate.

La popolarità di al-Sisi sul fronte internazionale

Sul fronte internazionale, nonostante tutto, al-Sisi conta ancora sull’appoggio, più o meno esplicito, della comunità internazionale. Persino Joe Biden, che pure alla vigilia della sua elezione aveva promesso che con lui sarebbero finiti i tempi della “carta bianca al dittatore preferito” di Donald Trump, alla fine ha ceduto e gli Usa hanno confermato le forniture militari all’Egitto per un valore di 197 miliardi di dollari. Si parla addirittura di un possibile riavvicinamento con la Turchia di Erdogan, nonostante questi si sia sempre rifiutato di riconoscere al-Sisi appoggiando invece i Fratelli Musulmani. Un loro riavvicinamento, dicono gli analisti, avrebbe significative ripercussioni sul mercato del gas e forse anche sul futuro del conflitto in Libia.

L'amministrazione di al-Sisi ha inoltre chiaramente estremo interesse a mantenere saldi i rapporti con altre due potenze, la Russia e la Cina. Con la Russia, al-Sisi mira a rafforzare le relazioni, principalmente nel settore militare, anche nell’ottica di ridurre la sua eccessiva dipendenza dagli Stati Uniti. Dal canto suo la Russia vede nell’amicizia con l’Egitto la possibilità di avere una apertura verso i mercati mediorientali e africani. Le relazioni con la Cina invece erano già importanti prima di al-Sisi. Anche il Presidente Morsi, in carica dal 2012 al 2013 con il sostegno dei Fratelli Musulmani, aveva espresso la sua stima per la Cina facendone il primo Paese che aveva visitato al di fuori del Medio Oriente.

Da quando poi la Cina ha concordato una partnership strategica globale con l'Egitto nel dicembre 2014, gli investimenti cinesi in Egitto hanno ripreso vigore, con un aumento degli investimenti diretti del 4,6% su base annua nella prima metà del 2019. Il commercio dell'Egitto con la Cina rappresenta il 2% delle esportazioni totali del Paese, ma il 15% delle sue importazioni totali, rendendo la Cina il suo maggiore importatore.

Il Presidente al-Sisi ha visitato la Cina sei volte in totale fino a giugno 2021.

Questo articolo è pubblicato anche sul numero di novembre/dicembre di eastwest.

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