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L’Italia verso le elezioni


Chiunque governerà sarà, certo a modo suo, un inevitabile erede della pugnalata “agenda Draghi”. I vincoli europei a cui l’Italia è soggetta e la garanzia di Sergio Mattarella assicurano la continuità della stagione delle riforme

Le ragioni della caduta del Governo Draghi sono state tutte contingenti, legate a calcoli di vantaggio (in alcuni casi per la verità non perfettamente calcolati) dei partiti. Le ragioni per le quali quel governo era invece nato sono immanenti: nessuno dei motivi che aveva determinato la necessità e l’urgenza di riunire al Governo tutti i partiti intorno alla figura dell’italiano più rispettato al mondo sono venute meno. Al contrario, alla pandemia e al Pnrr, si sono aggiunti nuovi elementi di crisi e di difficoltà: la guerra in Ucraina, la conseguente crisi energetica e l’impennarsi dell’inflazione che corrisponde a un ritorno delle politiche monetarie europee a logiche di controllo della spesa pubblica. Questo lascia immaginare che, al di là di chi dovesse vincere le elezioni del 25 settembre, sarà prima o poi inevitabile il ritorno a una soluzione in qualche forma “simil Draghi” o comunque sarà inevitabile l’adozione di metodi e programmi che si rifanno alla cosiddetta “agenda Draghi”. A riprova di ciò resta a verbale un fatto abbastanza sorprendente, e dai risvolti ironici: nessuno, nessun leader e nessuna forza politica si è assunta la responsabilità di aver provocato la crisi di Governo. Osservando anzi le dichiarazioni dei principali attori politici, fino a oggi, sembrerebbe quasi che il Governo sia caduto da solo. Spinto non si sa da quale imponderabile forza, certamente estranea alle regole della fisica.

Il 21 luglio, al Senato, l’ex Presidente della Banca centrale europea aveva d’altra parte incassato la fiducia, ma con soli novantacinque voti. Mancavano, perché astenuti e in parte usciti dall’Aula, i senatori della Lega, di Forza Italia e del Movimento 5 Stelle. Surreale ma vero. Nessuno ha sfiduciato Draghi. Si è sfiduciato da solo? Ovviamente no. Poco prima delle dichiarazioni di voto, poco prima di annunciare la propria astensione, il leader della Lega, Matteo Salvini, dopo aver bevuto una coca cola e mangiato un panino alla mortadella alla buvette, comunicava al suo senatore, Stefano Candiani, l’intenzione di non pronunciare lui il discorso in Aula. Discorso che avrebbe inevitabilmente sovrapposto il suo volto e la sua voce al fatto politico dell’anno: la caduta di Draghi. Silvio Berlusconi, il giorno stesso, la raccontava così: “Draghi non lo abbiamo cacciato noi, se ne è voluto andare lui”.

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