Se la visita sarà confermata, la Cina si potrebbe dimostrare meno disponibile nel ridiscutere la ristrutturazione del debito che lo Sri Lanka ha nei suoi confronti
“Servitù della gleba feudale”. La diplomazia cinese ha definito così il sistema a cui è a capo il Dalai Lama, in un nuovo capitolo di scontro sull’autorità religiosa buddhista che è destinato ad accendersi ulteriormente nel prossimo futuro e che già ora causa forti tensioni. In questo caso tra Cina e Sri Lanka, ma come sempre con l’India sullo sfondo. L’origine della polemica è la possibile visita del Dalai Lama nel Paese sull’oceano Indiano. Sarebbe la prima ed è stata definita “subdola” come quella di Nancy Pelosi a Taiwan lo scorso agosto. Ormai una prassi anche a livello lessicale per delegittimare viaggi diplomatici o religiosi di autorità non gradite. Come il viaggio dell’ex speaker della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti era stata descritta come un tentativo di fomentare le cosiddette “forze indipendentiste di Taiwan”, in questo caso l’obiettivo del Dalai Lama sarebbe quello di “promuovere l’indipendenza tibetana”.
Appresa la notizia, l’incaricato d’affari dell’ambasciata cinese a Colombo, Hu Wei, ha visitato il venerabile Thibbatuwawe Sri Siddhartha Sumangala Thero, capo prelato del capitolo di Malwathu, dicendogli che la Cina si oppone fermamente all’intenzione di Tenzin Gyatso di recarsi nello Sri Lanka. E lo ha fatto con parole dure, definendo il 14° Dalai Lama come qualcosa di più di un “semplice monaco come si autoproclama”, descrivendolo come “il capo della servitù della gleba feudale e della teocrazia in Tibet prima del 1951, un esule politico travestito da figura religiosa che da tempo è impegnato in attività separatiste anticinesi e tenta di dividere il Tibet dalla Cina”.
Il debito con la Cina
Un’entrata decisa accompagnata alla sottolineatura del peso che ha il rapporto con Pechino per il governo srilankese. Hu ha infatti sottolineato l’aiuto fornito dal governo cinese per il contrasto alla pandemia, nonché alla crisi che ha mandato in bancarotta lo Sri Lanka. Proprio il legame economico è quello che è balzato più volte all’attenzione internazionale sulle dinamiche bilaterali, con descrizioni più o meno veritiere della cosiddetta “trappola del debito” nella quale Colombo sarebbe rimasta invischiando, cedendo pezzi di sovranità a partire dalla gestione del porto di Hambantota. L’autorità religiosa dello Sri Lanka avrebbe recepito il messaggio, quantomeno stando al comunicato in merito dell’ambasciata cinese: “Il Gran Prelato ha sottolineato che la Cina è l’amico più stretto dello Sri Lanka. Le nostre relazioni con la Cina non devono essere danneggiate. È meglio che anche il governo comprenda l’importanza del contributo fornito dalla Cina per il miglioramento dell’economia dello Sri Lanka”. Per poi ricordare che i due Paesi si sono impegnati a dare sostegno reciproco sui propri interessi fondamentali, nei quali rientra anche il mancato spazio concesso a un’autorità religiosa che viene vista anche come politica e ostile alla Repubblica Popolare.
Non è difficile immaginare che nel caso la visita si compia, la Cina si dimostrerà meno disponibile nel ridiscutere la ristrutturazione del debito che lo Sri Lanka ha nei suoi confronti. Attitudine che potrebbe invece essere molto diversa nel caso non vengano aperte le porte al Dalai Lama. Scelta non semplice per Colombo, che ha bisogno disperato di investimenti e sostegno economico e che si ritrova però in mezzo anche alle opposte manovre di Cina e India, big dell’area che sta serrando le fila dopo le accresciute tensioni con Pechino lungo il confine conteso.
La questione della successione
Le tensioni sulla figura del Dalai Lama sono peraltro destinate ad aumentare nel prossimo futuro, visto che già ora si inizia a polemizzare sulla questione della sua successione. Il governo tibetano in esilio, non riconosciuto da Pechino ma ospitato e in qualche modo sostenuto da Nuova Delhi, sostiene che il Partito comunista cinese voglia “interferire” sulla successione. “Si stanno preparando per questo da 15 anni”, ha dichiarato nei giorni scorsi Penpa Tsering, il leader del governo tibetano in esilio. Da Pechino replicano che la nomina andrà approvata dal governo centrale cinese, “come sempre avvenuto in precedenza”. Ma appare impossibile qualsiasi tipo di accordo, visto che il Dalai Lama accusa la Cina di “voler distruggere il buddhismo”, mentre Pechino definisce il Dalai Lama un “traditore” e lo accusa col governo tibetano in esilio di voler “influenzare e fomentare il separatismo” nella regione che viene sempre più spesso chiamata Xizang (il nome in mandarino di Tibet) anche nei documenti in lingua inglese.
Lo Sri Lanka è il primo test di un tema che tornerà più volte nei prossimi anni e che costituisce uno dei tanti ingredienti delle tensioni tra Cina e India.
Lo Sri Lanka è il primo test di un tema che tornerà più volte nei prossimi anni e che costituisce uno dei tanti ingredienti delle tensioni tra Cina e India.