Il viaggio in Cina di Antony Blinken va letto come un modo per stabilizzare le relazioni ed evitare una escalation verso un punto di non ritorno, più che come una riappacificazione. Nel frattempo, Bill Gates viene accolto da Xi Jinping come un “vecchio amico”
Il viaggio di questo weekend del Segretario di Stato Antony Blinken a Pechino, lo rende il più alto funzionario statunitense a visitare il Paese negli ultimi cinque anni. La visita sarebbe dovuta essere a febbraio 2023, ma il “Baloon-gate” aveva fatto saltare tutto. Anche questa volta il viaggio è stato messo a dura prova. Per un attimo, sembrava di essere tornati nel 1962, alla crisi dei missili di Cuba, quando il Wall Street Journal ha scritto, settimana scorsa, che la Cina aveva stipulato (in segreto) un accordo con Cuba per stabilire una base di intelligence a pochi chilometri dai confini statunitensi. Questa volta, però, il governo USA ha disinnescato, etichettando il rapporto come “inaccurato” ed evitando che ciò portasse ad una nuova crisi diplomatica.
Abbassiamo le aspettative per non restare delusi
Se l’attesa per questo viaggio è stata alta, le aspettative sono molto basse. A mettere le mani avanti sono gli stessi funzionari americani, poco fiduciosi che l’incontro a Pechino con le controparti cinesi, tra cui forse il anche il presidente Xi Jinping, possa davvero portare a qualche risultato concreto. “Non si tratta di una visita per la quale prevedo una lunga lista di risultati”, ha dichiarato il Vicesegretario di Stato Dan Kritenbrink; “Ridurremo almeno il rischio di errori di calcolo, in modo da non sfociare in un potenziale conflitto”.
Il clima rispetto a febbraio non si è alleggerito. L’ultimo contatto prima di questa visita è stata una chiamata tra Blinken e Qin Gang, il Ministro degli Esteri cinese, che ha ribadito le solite accuse: gli Stati Uniti alimentano la tensione, non lasciano spazio alle aspirazioni altrui, non hanno rispetto per le preoccupazioni cinesi e, anzi, continuano a interferire.
Alla luce del contesto pericolante e teso, l’importanza di questo viaggio non sta tanto in quello che emergerà, quanto nella ripresa di un dialogo ad alti livelli tra le due superpotenze. Come aveva sottolineato Kissinger durante l’intervista al The Economist per i suoi cent’anni, parlarsi è l’unico modo per evitare una guerra, perché i problemi tra le due parti non spariranno magicamente. La speranza è che la visita possa essere un primo step per ulteriori momenti di dialogo.
Taiwan: l’elefante nella stanza
Sicuramente, una delle questioni principali discusse durante questo “weekend cinese” di Blinken è Taiwan. La Cina ribadisce che si riprenderà l’isola di Formosa, e per farlo non esclude l’utilizzo della forza. Salvo cambiamenti radicali interni alla leadership cinese – cosa altamente improbabile – la questione è destinata a rimanere il punto più caldo e delicato del rapporto tra le due superpotenze. Per Pechino, si tratta di una questione esistenziale su cui nessuna potenza estera deve interferire, una linea rossa da non varcare.
Taiwan racchiude tutto: economia, politica e questioni identitarie. C’è chi dice che entro il 2027, per i cento anni dell’Esercito di Liberazione Popolare, la Cina invaderà l’isola di Formosa. Il limite massimo dovrebbero essere i cento anni del Partito Comunista Cinese alla guida della Cina continentale, dunque il 2049. Per quella data, la leadership del PCC ha sempre detto che la Cina sarà riunita.
Secondo la maggior parte degli esperti, invadere Taiwan non sarebbe una mossa razionale per Pechino. Se è vero che la RPC si è dimostrata fino ad ora un attore estremamente pragmatico, è vero anche che l’irrazionalità è sempre dietro l’angolo – vedasi la scelta di Putin di invadere l’Ucraina. Da questo punto di vista, la probabile leadership a vita di Xi Jinping non aiuta; mai come oggi, dalla morte di Mao Zedong, la Cina era stata nella mani di un solo uomo e questo aumenta il rischio di scelte ideologiche, non ponderate dal confronto con gli altri e, dunque, pericolose.
Dal punto di vista statunitense, Taiwan ha un valore sia simbolico che economico. Se venisse invasa e gli Stati Uniti non reagissero, potrebbe dar forza alla politica estera assertiva portata avanti dalla Cina nell’ultimo decennio. Potrebbe essere il primo step di un espansionismo negli altri territori contesi della regione, soprattutto nel Mar Cinese Meridionale. Ciò minerebbe gli interessi di vari alleati, come il Giappone, e quindi anche quelli degli stessi Stati Uniti. Per quanto riguarda la centralità economica di Taiwan, l’elemento chiave sono i microchip, ingranaggio imprescindibile su cui si gioca la competizione per la leadership tecnologica tra USA-Cina. Gran parte delle apparecchiature elettroniche di uso quotidiano, dai telefoni ai computer portatili, dagli orologi alle console di gioco, contengono chip prodotti a Taiwan. Lo stesso vale per apparecchiature più sensibili legate alla sicurezza e al campo militare. Se Taiwan venisse attaccata, la catena globale del valore legata ai microchip subirebbe un colpo devastante.
In teoria, Washington non riconosce l’indipendenza di Taipei, non ha relazioni diplomatiche ufficiali con l’isola, professa il principio della “One China Policy” e aderisce ad una posizione di “ambiguità strategica”. Nella pratica, gli Stati Uniti intrattengono rapporti con Taipei e ne supportano l’indipendenza. Soprattutto nell’ultimo periodo, è diventato sempre più esplicito che in caso di invasione gli USA interverrebbero per difendere l’indipendenza di Taiwan.
Xi e Bill Gates: vecchi amici
Se Blinken non è stato accolto a braccia aperte in Cina, un’altro visitatore lo è stato: Bill Gates. Il cofondatore e filantropo di Microsoft ha incontrato venerdì Xi Jinping. Anche in questo caso, si tratta di uno dei primi contatti negli ultimi anni tra una figura imprenditoriale statunitense di alto profilo e il presidente cinese. Secondo i media cinesi, queste sarebbero state le parole di Xi: “Sono molto felice di vederla. Non ci vediamo da più di tre anni… e lei è un nostro vecchio amico”, Xi ha sottolineato che Gates è stato il primo “amico americano” che ha incontrato quest’anno e ha sottolineato l’importanza degli scambi di persona per le relazioni tra Stati Uniti e Cina. Poco tempo fa anche Elon Musk era volato in Cina, dove aveva incontrato Qin Gang. Come sottolinea Lorenzo Lamperti, giornalista di base a Taiwan, con questo incontro Xi ha voluto mandare un messaggio: la Cina è aperta agli investimenti americani ed è pronta a fare business, il problema è la politica. La visita di Gates, però, non ha un gran valore in termini politici, poiché arriva in un momento storico dove si è capito che l’interconnessione economica non è la panacea per evitare tutti i conflitti. In questo periodo, in cui il sistema internazionale è scosso da transizioni di potere e conflitti, servono dialoghi più alti, che facciano i conti con il fatto che molti stati, soprattutto Cina e Stati Uniti, hanno riabbracciato un approccio realista alle relazioni internazionali. Vedremo se il viaggio di Blinken porterà a casa qualche risultato.