A Gedda il meeting per la pace in Ucraina: Pechino, apprezzata dall’Ue, spinge per un nuovo round negoziale. Può la Cina mediare tra Israele e Arabia Saudita?
L’ascesa della Cina come realtà diplomatica capace di mediare nelle situazioni di conflitto continua nel corso del tempo e specialmente nell’attuale frangente storico, con lo scontro in Ucraina, peccato originale di tutti gli attuali mali della comunità internazionale, che dall’invasione russa non trova un nuovo status quo adatto per le varie potenze interessate. Nei mesi scorsi Pechino ha abilmente mediato la pacificazione tra Arabia Saudita e Iran, da anni ai ferri corti e motivo di tensione nella vasta area del Golfo e nel Medio Oriente allargato, svolgendo un insolito — quanto utile — ruolo, dal quale ci si attendono ulteriori interventi.
Non a caso proprio in Arabia Saudita la Cina si è resa protagonista attiva delle discussioni per la pace in Ucraina, apprezzata sia dai Paesi dell’area che dai funzionari europei presenti a Gedda. L’incontro seguiva il primo meeting sul tema tenuto a Copenaghen, al quale la Cina non ha partecipato nonostante l’invito, ma si è rivelato più costruttivo rispetto ai lavori svoltisi in Danimarca. Da quanto si apprende, l’esito del faccia a faccia terminato nella giornata di ieri è positivo, con Pechino che spinge per un nuovo round di discussioni, il terzo, basandosi sulla sovranità territoriale dell’Ucraina.
Un punto chiaro che, effettivamente, il Partito Comunista Cinese ha più volte ribadito nonostante i legami con la Russia, che agli occhi occidentali screditano — o per lo meno così si vuol far passare pubblicamente — la bontà di ogni intervento di Pechino sulla questione. Ma i funzionari europei presenti a Gedda hanno plaudito al ruolo della Cina giocato in Arabia Saudita. Diplomatici dell’Ue hanno riferito a Reuters e Financial Times in forma anonima che la partecipazione cinese “è stata attiva, positiva verso un terzo meeting di tale livello. La presenza della Cina dimostra che la Russia è sempre più isolata”.
Si spera che le discussioni possano portare a un incontro di alto livello, tra capi di Stato e di Governo: l’obiettivo, benché remoto, è che si possa tenere una conferenza per la pace entro la fine del 2023. Tuttavia, l’obiettivo più a portata di mano è un nuovo incontro che possa rafforzare la base delle trattative. “Esistono molti disaccordi e abbiamo ascoltato molteplici posizioni, ma è fondamentale aver concordato sui principi”, ha detto Li Hui, Inviato Speciale della Cina per gli Affari Eurasiatici. Un coinvolgimento cinese, dunque, estremamente importante nel corso degli eventi in Ucraina, che può essere sfruttato anche in altri contesti, proprio in Medio Oriente.
L’Arabia Saudita ha giovato dell’intervento cinese relativamente alla normalizzazione dei rapporti con l’Iran, abilmente mediati da Pechino, che ha portato alla firma dell’accordo sul ritorno alle relazioni diplomatiche, alla riapertura delle rispettive ambasciate, al ripristino dell’accordo sulla cooperazione in ambito sicurezza e al rafforzamento dell’interscambio economico, commerciale, sugli investimenti, in ambito tecnico, scientifico e culturale. Un intervento che evidentemente ha dato fastidio, su tutti, agli Stati Uniti, che vedono nella presenza cinese nell’area mediorientale un pericolo, specie se perfino gli alleati di Washington iniziano a guardare con occhi interessati alle capacità diplomatiche cinesi.
Nel corso di un’intervista con Bloomberg, il Primo Ministro Benjamin Netanyahu — nella bufera per la disastrosa riforma della giustizia — ha ribadito l’intenzione del suo Paese — vedi la costruzione di un corridoio economico che collegherebbe la penisola araba con il Mediterraneo — alle aperture verso l’Arabia Saudita, quest’ultima decisamente più cauta e non entusiasta dei tentativi avanzati dall’amministrazione Biden. Jake Sullivan, National Security Adviser della Casa Bianca, ha avanzato la scorsa settimana nel Regno dei Saud una proposta nell’ambito degli Accordi di Abramo, largamente rispedita al mittente a causa delle nuove tensioni in Cisgiordania e, in generale, per quanto avviene nei confronti dei palestinesi: la condizione base è l’indipendenza dello Stato di Palestina.
Ma un intervento cinese non sarebbe sgradito a Riad, così come al Governo israeliano, invitato a Pechino per una visita che si terrà verosimilmente nel mese di ottobre. Sarà di grande interesse seguire gli esiti dell’incontro tra Netanyahu e il Presidente Xi Jinping, con gli Usa osservatori speciali di una relazione che cresce non solo sull’asse con Tel Aviv ma anche con Riad. La monarchia saudita guarda con interesse al ruolo del Partito Comunista Cinese: come ricordato sul South China Morning Post da Pan Guang, rettore del Centre of Jewish Studies Shanghai (CJSS), “l’amministrazione democratica parla di diritti umani, un fattore che infastidisce i sauditi. La Cina non interferisce negli affari domestici, sarà più semplice trovare un punto d’incontro”.
Un punto chiaro che, effettivamente, il Partito Comunista Cinese ha più volte ribadito nonostante i legami con la Russia, che agli occhi occidentali screditano — o per lo meno così si vuol far passare pubblicamente — la bontà di ogni intervento di Pechino sulla questione. Ma i funzionari europei presenti a Gedda hanno plaudito al ruolo della Cina giocato in Arabia Saudita. Diplomatici dell’Ue hanno riferito a Reuters e Financial Times in forma anonima che la partecipazione cinese “è stata attiva, positiva verso un terzo meeting di tale livello. La presenza della Cina dimostra che la Russia è sempre più isolata”.