I recenti scontri nella regione Amhara mostrano come l’Etiopia sia ancora molto lontana dal raggiungimento di una stabilità, ma anche quanto gli equilibri politici stiano cambiando all’interno del Paese.
Sembrano non avere fine le tensioni e i conflitti interni all’Etiopia. E i passi avanti fatti nella pacificazione di una parte del Paese e con una specifica componente etnica non sembrano portare a un miglioramento della situazione generale, anzi: questi provocano piuttosto uno spostamento delle tensioni verso una nuova area, con il coinvolgimento di nuovi attori.
Si tratta di una dinamica che era già emersa negli ultimi mesi, dopo che il 2 novembre 2022 il governo di Addis Abeba e i rappresentanti del Tigray avevano firmato l’accordo di Pretoria, mettendo fine al conflitto che aveva devastato la regione settentrionale del Paese nei due anni precedenti. Il trattato era stato salutato a livello internazionale come un passo cruciale verso la pace in Tigray e, più in generale, verso la stabilizzazione dell’Etiopia. Ben presto, però, erano emerse importanti difficoltà. All’esterno, innanzitutto, con le reticenze dell’Eritrea ad abbandonare il territorio tigrino. Ma anche all’interno dell’Etiopia stessa, con la crescita dell’insofferenza e degli scontri nelle regioni abitate dalle componenti Amhara e Oromo.
Fino a quando, nel corso delle ultime due settimane, la situazione politica è esplosa nella regione Amhara. In pochi giorni alcune milizie armate locali, conosciute come Fano, hanno paralizzato la regione e preso il controllo di alcune delle maggiori città dell’area, tra cui Gondar e Lalibela. Inizialmente colto alla sprovvista, il governo di Addis Abeba ha dichiarato lo stato di emergenza venerdì scorso ed è poi passato al contrattacco, utilizzando l’esercito e le forze speciali per reprimere l’azione dei gruppi ribelli. Al momento, le autorità centrali sembrano aver ripreso il controllo di gran parte della regione, ma le notizie che filtrano dall’area in conflitto sono scarse e parziali.
Gli scontri nella regione Amhara sono estremamente significativi e mostrano come l’Etiopia sia ancora molto lontana dal raggiungimento di una stabilità, ma anche quanto gli equilibri politici stiano cambiando all’interno del Paese.
Le ragioni storiche e politiche
Per capire l’evoluzione degli eventi è necessario guardare alla composizione etnica etiope e al ruolo dei vari gruppi nella storia recente del Paese. Nonostante oltre metà dei cittadini etiopi siano Oromo o Amhara, queste due popolazioni sono state a lungo escluse dalla vita politica. Dopo il rovesciamento del regime di Menghistu nel 1991, infatti, il potere è stato saldamente nelle mani del partito unico EPRDF guidato dalla componente Tigrina, causando profonde tensioni tra questa e il resto della popolazione.
La situazione politica è cambiata radicalmente nel 2018, quando Abiy Ahmed è salito alla carica di primo ministro. Di etnia Oromo, Ahmed ha ben presto sostituito il vecchio partito dominante con il nuovo Prosperity Party, guidato dalle componenti Oromo e Amhara, mentre il gruppo Tigrino si è trovato di colpo emarginato dai ruoli di potere. Lo scontro politico tra Ahmed e la vecchia élite è sfociato, in seguito, nel conflitto del Tigray, che ha contribuito anche a un rafforzamento dell’alleanza tra le istituzioni centrali e i due gruppi etnici più popolosi: durante la guerra civile, infatti, l’esercito è stato affiancato nella repressione dei ribelli dalle forze speciali Oromo e Amhara e da milizie irregolari di queste due regioni.
Con la fine delle ostilità, tuttavia, gli equilibri sono mutati ancora una volta. L’accordo di pace del 2022 ha portato a un riavvicinamento tra il governo e l’élite tigrina, visto con sospetto dalle altre componenti etniche. Con il superamento della fase emergenziale, inoltre, Abiy Ahmed si è potuto concentrare sull’ambizioso progetto nazionalista di rendere l’Etiopia un Paese meno frammentato e meno legato alle istituzioni federali. Il leader etiope ha cercato in primo luogo di assorbire le forze speciali regionali all’interno dell’esercito e di smantellare le milizie locali. Queste però – soprattutto nell’area Amhara, ma in misura minore anche nel resto del Paese – hanno visto la decisione governativa come un affronto, tanto più a pochi mesi dalla fine di una guerra in cui il loro ruolo era stato decisivo.
Le scelte di Abiy Ahmed
Il governo etiope si trova ora a dover fare una serie di scelte. La prima riguarda il destino dei gruppi armati indipendenti: gli scontri degli ultimi giorni hanno reso evidente come il processo di assorbimento delle milizie nell’esercito sarà lungo e difficilmente pacifico. Al tempo stesso, però, tornare indietro ora sarebbe deleterio per la leadership di Abiy Ahmed, in quanto esporrebbe la debolezza del governo.
La seconda questione riguarda le alleanze. Dopo l’insurrezione e la conseguente repressione violenta di queste settimane, la distanza tra Ahmed e la componente Amhara è ormai difficile da colmare. Il primo ministro potrebbe decidere di basarsi principalmente sul supporto Oromo, dovendo però intervenire per placare il malcontento che si sta diffondendo anche all’interno di questo gruppo. Oppure, potrebbe scegliere di spingere su una rinnovata e sorprendente alleanza con i Tigrini, con conseguenze però imprevedibili sugli equilibri interni all’Etiopia.
Sembrano non avere fine le tensioni e i conflitti interni all’Etiopia. E i passi avanti fatti nella pacificazione di una parte del Paese e con una specifica componente etnica non sembrano portare a un miglioramento della situazione generale, anzi: questi provocano piuttosto uno spostamento delle tensioni verso una nuova area, con il coinvolgimento di nuovi attori.
Si tratta di una dinamica che era già emersa negli ultimi mesi, dopo che il 2 novembre 2022 il governo di Addis Abeba e i rappresentanti del Tigray avevano firmato l’accordo di Pretoria, mettendo fine al conflitto che aveva devastato la regione settentrionale del Paese nei due anni precedenti. Il trattato era stato salutato a livello internazionale come un passo cruciale verso la pace in Tigray e, più in generale, verso la stabilizzazione dell’Etiopia. Ben presto, però, erano emerse importanti difficoltà. All’esterno, innanzitutto, con le reticenze dell’Eritrea ad abbandonare il territorio tigrino. Ma anche all’interno dell’Etiopia stessa, con la crescita dell’insofferenza e degli scontri nelle regioni abitate dalle componenti Amhara e Oromo.