Hamas, con il controllo di Gaza, rappresenta uno stato dentro lo stato palestinese. Ha un suo parlamento, un suo apparato amministrativo e politico. Abu Mazen non convoca elezioni, sicuro di perderle. Eppure resta l’unico interlocutore internazionale per la Palestina.
Nelle discussioni sul futuro del Medio Oriente dopo la guerra di Gaza, più volte è stata tirata in ballo l’Autorità Nazionale Palestinese e da più parti. L’organo amministrativo dei territori cisgiordani, nato 30 anni fa con gli accordi di Oslo, che avrebbe dovuto traghettare i palestinesi verso la creazione del loro stato, di fatto è un ente senza rappresentatività. Questo perché il suo ottuagenario leader Mahmoud Abbas (Abu Mazen) da subito ha capito che la via del dialogo mal si combaciava con le velleità e le idee di Hamas che, alla prima occasione, hanno dimostrato tutta la loro forza.
Alle prime elezioni dopo Oslo, quelle del 1996, Hamas non volle partecipare, per non dare legittimità all’Autorità Nazionale Palestinese, nella quale non ha mai creduto, così come ha sempre avversato e non riconosciuto, come d’altronde è scritto nel suo statuto, qualsiasi accordo con Israele, visto tra l’altro che non riconosce lo stato ebraico e lotta per l’eliminazione di questo e degli ebrei.
Fatah, che già nell’ambito dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina era il gruppo più forte, ottenne una schiacciante vittoria che servì a Yasser Arafat, eletto primo presidente dell’Anp, anche a dimostrare al mondo intero la volontà democratica palestinese che avrebbe poi dovuto portare alla creazione dello Stato.
Yitzhak Rabin, l’altro artefice degli accordi di Oslo, era morto da poco quando si tennero le elezioni e il processo di pace sembrava già in salita, molto di più di prima. Fallirono tutti i negoziati, morì Arafat, e furono convocate altre elezioni nel 2005 (presidenziali, nelle quali Abu Mazen ebbe un plebiscito) e politiche nel 2006 (con la vittoria di Hamas).
La sconfitta, per pochi punti, di Fatah alle politiche, l’incarico a Ismail Haniyeh, capo di Hamas, come premier, la guerra civile con la presa di potere di Gaza da parte di Hamas, hanno creato una profonda frattura nella società palestinese.
In quest’ultima, Fatah e l’Autorità Nazionale Palestinese, sono visti come corrotti e asserviti a Israele. Complici anche le promesse non mantenute, la continua ed esponenziale espansione delle colonie in Cisgiordania, i quasi quotidiani raid dell’esercito israeliano nei territori palestinesi, soprattutto in città come Nablus e Jenin dove il dissenso e la radicalizzazione, a causa di questi raid, sono andati ad aumentare. E’ da qui che parte la rivolta contro il potere centrale a Ramallah. E’ da qui che si chiede un cambio di passo, con la restaurazione di Hamas al potere. Una mossa che significherebbe rottura totale con Israele, ma anche con altri paesi occidentali, che potrebbero così anche tagliare i cordoni della borsa. La stessa che in questi anni ha arricchito non poco l’Anp.
Hamas, con il controllo di Gaza, rappresenta uno stato nello stato palestinese. Ha un suo parlamento, un suo apparato amministrativo e politico. Due stati palestinesi non possono esistere e difficilmente si autorizzerà la nascita di uno stato sotto l’egida di chi vuole la distruzione totale del suo vicino (o di alcuno).
Hamas, con i suoi razzi, molto spesso azioni dimostrative con i cani sciolti in Cisgiordania che attaccano in particolare i militari ai check point e soprattutto con il massacro del 7 ottobre, ha dimostrato ai palestinesi di essere l’unico partito ad interessarsi delle loro sorti. In molti analisti parlano dell’esito insperato, in particolare nei numeri, per il massacro del 7 ottobre, e di una frizione tra l’ala militare delle Brigate al Qaasam, che combattono sotto le bombe e i colpi israeliani, e quella politica, i cui esponenti, a parte forse Yaya Sinwar, sono tutti all’estero al riparo.
Proprio per il crescente consenso di Hamas nei Territori, che si è tradotto nella conquista della maggior parte dei seggi alle elezioni studentesche in Cisgiordania da parte del gruppo che controlla Gaza e liste ad esso collegate, Abu Mazen non convoca elezioni, sicuro di perderle. L’80% dei palestinesi, secondo sondaggi, non lo vuole più. Eppure dalla Muqata, il palazzo presidenziale di Ramallah, e negli incontri che ha avuto con i leader di tutto il mondo nelle scorse settimane, Abu Mazen è sembrato possibilista sulla presa di controllo di Gaza se nell’ambito di un piano rivisto e migliorato, implementato, della soluzione a due Stati. Ribadendo che l’unico interlocutore dei palestinesi con il mondo è l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, non Hamas, non Fatah, non l’Anp. In termini pratici cambia poco, visto che è lui il presidente dell’ombrello sotto il quale ci sono tutti i palestinesi, anche quelli della diaspora, anche Hamas. Ma in termini politici no, dal momento che l’Olp è, come dicevamo, il rappresentante di tutti i palestinesi. A dire: Hamas è parte, non il tutto, siamo noi a parlare per loro. E accettando di prendere il controllo di Gaza, di fatto Abu Mazen accetta l’estromissione del gruppo che controlla Gaza e, soprattutto, dei modi brutali che adopera. Resta da capire con quale consenso.
Nelle discussioni sul futuro del Medio Oriente dopo la guerra di Gaza, più volte è stata tirata in ballo l’Autorità Nazionale Palestinese e da più parti. L’organo amministrativo dei territori cisgiordani, nato 30 anni fa con gli accordi di Oslo, che avrebbe dovuto traghettare i palestinesi verso la creazione del loro stato, di fatto è un ente senza rappresentatività. Questo perché il suo ottuagenario leader Mahmoud Abbas (Abu Mazen) da subito ha capito che la via del dialogo mal si combaciava con le velleità e le idee di Hamas che, alla prima occasione, hanno dimostrato tutta la loro forza.
Alle prime elezioni dopo Oslo, quelle del 1996, Hamas non volle partecipare, per non dare legittimità all’Autorità Nazionale Palestinese, nella quale non ha mai creduto, così come ha sempre avversato e non riconosciuto, come d’altronde è scritto nel suo statuto, qualsiasi accordo con Israele, visto tra l’altro che non riconosce lo stato ebraico e lotta per l’eliminazione di questo e degli ebrei.