Due appuntamenti elettorali cruciali: elezione del Presidente e referendum sull’entrata nell’Unione europea. La Moldavia spaccata a metà, anche territorialmente, tra due fazioni che hanno visioni e interessi opposti. Il fronte pro-UE ha vinto grazie a chi vive all’estero.
Domenica 20 ottobre, in Moldavia, si sono tenuti due appuntamenti elettorali cruciali per decidere il destino del Paese. I cittadini erano chiamati ad eleggere il nuovo presidente, scegliendo se confermare la leader uscente Maia Sandu o se optare per uno dei suoi oppositori. Inoltre, ci si recava alle urne anche per un referendum relativo all’entrata della Moldavia nell’Unione Europea. Entrambi i voti erano stati presentati come fondamentali per capire se lo stato avrebbe continuato il suo percorso di avvicinamento all’Occidente o se, al contrario, avrebbe scelto di schierarsi accanto alla Russia.
Chi sperava in dei risultati chiari è restato però deluso. Il voto presidenziale ha visto la vittoria di Sandu, filo europeista, ma senza che la presidente uscente riuscisse a raggiungere la maggioranza assoluta. Per sapere chi guiderà il Paese ci sarà bisogno di un secondo turno, tra lei e il candidato socialista Alexandru Stoianoglo, più vicino alla Russia. Il voto referendario si è concluso con una vittoria di coloro che si sono espressi favorevolmente all’ingresso della Moldavia nell’Unione Europea, e quindi con un ulteriore successo della fazione che vorrebbe un allineamento all’Occidente. Ma per una manciata di voti: il sì ha ottenuto il 50,46% dei consensi, soltanto 11mila voti in più dello schieramento opposto e molti meno di quanti previsti alla vigilia.
I due appuntamenti elettorali hanno mostrato quindi come la Moldavia sia spaccata a metà, tra due fazioni che hanno visioni e interessi opposti. Una divisione che è anche territoriale. Gli elettori di Sandu, filoeuropeisti, sono concentrati nella capitale Chisinau e nelle zone limitrofe. Mentre nel resto del Paese prevalgono i cittadini più ostili all’Unione Europea.
Alla fine, soprattutto per determinare l’esito del referendum, sono state decisive le preferenze della diaspora. Per buona parte dello spoglio, infatti, il no sembrava essere leggermente in vantaggio. E la fazione favorevole all’ingresso nell’UE ha prevalso soltanto alla fine, quando sono stati conteggiati i voti provenienti dall’estero.
Che la diaspora abbia un forte peso politico non deve sorprendere, anzi. I moldavi che vivono fuori dai confini del loro Paese d’origine sono infatti moltissimi, almeno un terzo della popolazione totale. I numeri ufficiali parlano di 1,2 milioni di persone, ma alcune stime arrivano addirittura a 2 milioni.
Fino alla metà degli anni 2000 i moldavi emigravano per lo più verso la Russia, in seguito il flusso migratorio si è spostato verso l’Unione Europea. In parte, questa è una conseguenza dell’ingresso della Romania nell’UE: grazie ai legami storici e culturali tra i due Paesi, i moldavi possono ottenere infatti la cittadinanza rumena – e quindi godere di quella europea – attraverso una procedura semplificata. Oggi la gran parte della diaspora si trova in Europa: i moldavi sono quasi 300 mila in Romania, almeno 120 mila in Italia e in Germania, oltre ad alcune decine di migliaia sparse per il resto del continente.
La partecipazione della diaspora alla vita politica è aumentata in maniera esponenziale, negli ultimi anni. Ma non piace a tutti. Chi vive all’estero – ed in particolare in Europa – tende infatti a votare per le formazioni più progressiste e filo occidentali, come è risultato evidente con il referendum di domenica, ma anche in occasione delle elezioni presidenziali che nel 2020 hanno portato alla vittoria di Sandu. Non è un caso quindi che i partiti filo russi abbiano provato in più occasioni a limitare l’influenza di chi vive all’estero. Senza successo, però, anche per ragioni economiche: attraverso le rimesse, la diaspora contribuisce al 16% del Pil moldavo, e per lo stato è quindi impossibile non accontentare almeno in parte la sua volontà di essere rappresentata all’interno delle istituzioni.
Domenica 20 ottobre, in Moldavia, si sono tenuti due appuntamenti elettorali cruciali per decidere il destino del Paese. I cittadini erano chiamati ad eleggere il nuovo presidente, scegliendo se confermare la leader uscente Maia Sandu o se optare per uno dei suoi oppositori. Inoltre, ci si recava alle urne anche per un referendum relativo all’entrata della Moldavia nell’Unione Europea. Entrambi i voti erano stati presentati come fondamentali per capire se lo stato avrebbe continuato il suo percorso di avvicinamento all’Occidente o se, al contrario, avrebbe scelto di schierarsi accanto alla Russia.
Chi sperava in dei risultati chiari è restato però deluso. Il voto presidenziale ha visto la vittoria di Sandu, filo europeista, ma senza che la presidente uscente riuscisse a raggiungere la maggioranza assoluta. Per sapere chi guiderà il Paese ci sarà bisogno di un secondo turno, tra lei e il candidato socialista Alexandru Stoianoglo, più vicino alla Russia. Il voto referendario si è concluso con una vittoria di coloro che si sono espressi favorevolmente all’ingresso della Moldavia nell’Unione Europea, e quindi con un ulteriore successo della fazione che vorrebbe un allineamento all’Occidente. Ma per una manciata di voti: il sì ha ottenuto il 50,46% dei consensi, soltanto 11mila voti in più dello schieramento opposto e molti meno di quanti previsti alla vigilia.