Sospeso dall’incarico il presidente sudcoreano
L’Assemblea Nazionale ha votato sabato a favore dell’impeachment del presidente Yoon Suk-yeol. La Corea del Sud, dopo aver salvato il proprio sistema democratico, entra in una fase di grande incertezza. Le conseguenze possono essere notevoli anche sul piano internazionale.
204 sì. Poco prima delle 17 di sabato 14 dicembre, diventa ufficiale: la mozione di impeachment contro Yoon Suk-yeol è stata approvata. Yoon diventa così il terzo presidente della Corea del Sud a finire in stato d'accusa, 11 giorni dopo aver imposto la tredicesima legge marziale della storia del Paese asiatico, la prima da quando è una democrazia. È stato dunque ribaltato l'esito del voto sulla prima mozione di sabato 7 dicembre. In quell'occasione, il Partito del Potere Popolare (PPP) aveva deciso di boicottare il voto contro il suo presidente conservatore. All'opposizione guidata dal Partito Democratico (PD), servivano infatti almeno otto voti della forza di governo per far approvare l'impeachment, per cui sono necessari almeno i due terzi dei voti sui 300 seggi dell'Assemblea nazionale. Nel secondo voto ne sono arrivati 12, con 85 esponenti del PPP che hanno invece votato contro l'impeachment di Yoon. Il cambio di linea sembrava difficilmente pronosticabile, almeno fino a qualche giorno fa. Il leader di partito Han Dong-hoon e il premier Han Duck-soo avevano infatti pensato a una via d'uscita per il blocco conservatore e lo stesso Yoon: una sorta di commissariamento dell'amministrazione, con poteri informalmente trasferiti ai due Han e tabella di marcia verso le dimissioni e un'uscita ordinata, che lasciava intravedere qualche possibile tutela a beneficio del presidente.
Ma Yoon ha respinto l'ipotesi. In un discorso alla nazione, giovedì 12 dicembre ha rigettato lo scenario delle dimissioni e ha promesso di “lottare fino alla fine”, rivendicando peraltro come un “legittimo atto di governo” l'imposizione della legge marziale, resasi a suo dire necessaria per garantire il funzionamento delle istituzioni democratiche di fronte al “sabotaggio” dell'opposizione parlamentare. Insomma, nessun cedimento e nessuna scusa, ma un muro contro muro. Il PPP è stato costretto a modificare approccio, nonostante i grandi svantaggi strategici. Il leader dell'opposizione, Lee Jae-myung del PD, è infatti in attesa di un processo d'appello che potrebbe confermare la sua condanna per dichiarazioni false in occasione della campagna elettorale del 2022. In caso di condanna, Lee sarebbe escluso delle prossime presidenziali. Per questo al PPP serviva prendere tempo, lasciando inoltre libera la Corte costituzionale di prendersi in carico le vicende giudiziarie riguardanti Lee, piuttosto che la procedura di impeachment di Yoon. E invece ora i giudici dovranno concentrarsi proprio sul dossier riguardante la destituzione del presidente.
Dopo il voto di sabato, Yoon è stato immediatamente sospeso dall'incarico e privato dei suoi poteri, trasferiti al premier e ora presidente ad interim Han. Si attende ora la Corte costituzionale, chiamata a confermare o respingere la destituzione di Yoon entro 180 giorni. Affinché la Corte possa confermare l’impeachment, sei dei suoi nove giudici dovranno votare a favore della mozione. Per avere una sentenza ci vorrà un massimo di 180 giorni. Nel 2017 ci vollero in realtà tre mesi per confermare l'impeachment dell'allora presidente Park Geun-hye, rimossa per uno scandalo di corruzione, ma stavolta l'attesa potrebbe essere più lunga visto che l'Assemblea nazionale deve ancora nominare i sostituti di tre giudici. Qualora la Corte costituzionale confermasse l'impeachment, ci sarebbero nuove elezioni presidenziali entro 60 giorni dalla sentenza. Si può dunque immaginare che la Corea del Sud potrebbe essere chiamata a scegliere un nuovo presidente tra la primavera e l'estate dell'anno prossimo. Nel frattempo, si stringe sempre il cerchio della giustizia. Yoon è indagato per insurrezione e abuso di potere: il suo passaporto è stato confiscato e le autorità hanno cercato già in due occasioni di perquisire i suoi uffici. L'ex ministro della Difesa Kim Yong-hyun, fedelissimo di Yoon, ha tentato il suicidio in carcere dove si trova con l'accusa di tradimento. Sono emerse presunte prove sul fatto che sarebbe stato predisposto già a novembre un piano per imporre la legge marziale, con l'ipotesi di una crisi indotta con la Corea del Nord attraverso l'invio di droni militari oltreconfine.
Sul piano interno, si tratterebbe dell'epilogo auspicato dalla maggioranza, come dimostrano le enormi manifestazioni di protesta anti Yoon, mai interrotte dopo la legge marziale del 3 dicembre. Ma la realtà è che la Corea del Sud, dopo aver salvato il proprio sistema democratico, entra in una fase di grande incertezza. Le conseguenze possono essere notevoli anche sul piano internazionale. Negli ultimi anni, Seul aveva rafforzato l'alleanza con gli Stati Uniti e rilanciato quella col Giappone, adottando una linea dura con la Corea del Nord e aprendo all'invio di armi in Ucraina dopo l'accordo militare sottoscritto da Kim Jong-un e Vladimir Putin. Lee, che in caso di elezioni sarebbe il grande favorito, propone invece il tentativo di riaprire il dialogo con Pyongyang, mette in discussione il disgelo con Tokyo e si posiziona in modo più conciliante nei confronti della Cina. Forse non a caso, subito dopo la conferma dell'impeachment di Yoon, alti diplomatici sudcoreani hanno incontrato gli ambasciatori di Cina, Stati Uniti e Giappone, per evidenziare la determinazione di Seul a mantenere la postura internazionale di questi anni e rafforzare i legami con partner e alleati. Almeno per ora.