Germania, record mondiale di surplus
L'era Merkel volge al tramonto senza aver risolto il problema europeo del super surplus tedesco
L’era Merkel volge al tramonto senza aver risolto il problema europeo del super surplus tedesco
Dopo 13 anni vissuti intensamente Angela Merkel lascia la guida del partito, proprio quando l’Unione Europea arriva a una confluenza critica di fattori che l’impatteranno: Brexit, guerre commerciali, rallentamento economico in Cina e altrove e insofferenza sociale nella Ue.
Eppure, anche grazie alle riforme del mercato del lavoro di Gerhard Schröder, l’economia guidata dalla fisica dell’ex Germania dell’est registra per il 2018 una crescita dell’1,5%. A gennaio, la disoccupazione si è attestata al 5,3%, più alta che a novembre, ma sotto quella di 12 mesi prima.
L’attività economica ha spinto negli ultimi anni la capacità produttiva oltre l’87%, il tasso pre-crisi. Così, molte aziende faticano a evadere gli ordini, dice una nota di gennaio del Ministero per l’Economia tedesco. E sollecitano l’addestramento di più rifugiati perché, anche a causa delle dinamiche demografiche, c’è carenza di lavoratori qualificati.
Salari più corposi significano consumatori ottimisti: a Natale 2018 i tedeschi hanno speso oltre 100 miliardi di euro (95 nel 2017).
Nel frattempo, però, dato che le aziende tedesche producono in tutto il mondo e riesportano l’assemblato, anche la Germania, al centro di questa catena del valore, è stata colpita dal nervosismo. L’istituto Ifo ha registrato un calo della fiducia delle imprese in tre trimestri consecutivi e tra maggio e settembre l’incertezza tra gli imprenditori è salita tanto quanto al culmine della Grande Recessione.
La Bundesbank prevedeva per il 2019 una crescita del Pil dell’1,6%. A fine gennaio, Peter Altmeier, il Ministro dell’Economia, l’ha corretto all’1%. Anche gli ordini registrano un calo, ma secondo Jens Weidmann, Presidente della Bundesbank, il rallentamento del quarto trimestre 2018 è dovuto agli aggiustamenti della potente industria automobilistica tedesca per ottemperare agli standard delle emissioni.
Una su cinque auto tedesche assemblate negli Usa, 260.000, va in Cina, il terzo sbocco dopo gli Usa che ne acquistano 500.000. È al Regno Unito, però, che va il grosso con 770.000 unità. In caso di una Brexit senza accordo, le auto tedesche sarebbero meno competitive.
La bonaccia economica tuttavia non si arresta e i forzieri del Bund continuano a riempirsi. Perché le critiche feroci a Merkel?
Da una parte c’è chi ricorda come, accontentando i falchi del suo partito, si sia piegata all’eccezionalismo tedesco – l’equilibrio economico può solo poggiare sulla stabilità dei prezzi e su bilanci statali in pari. Le politiche di austerità da lei prescritte ai paesi della “periferia” in cambio del non veto sui piani di salvataggio – dopo che era stata proprio la Germania a fornire il denaro che aveva innescato il loro indebitamento – sono state, spiegano, il catalizzatore per popoli arrabbiati negli anni a venire.
La Germania di Merkel ha continuato a esportare enormi quantità di merci, certo grazie alla loro qualità, ma nel lungo periodo, si argomenta, un tale surplus – un record mondiale di ben quasi 300 miliardi – non poteva non diventare insopportabile. Ha dato fiato ai populisti e le conseguenze si stanno pagando in tutta l’Europa e nel resto del mondo.
Dal punto di vista interno, si dice che Merkel, nonostante la strada spianata, non abbia attuato alcuna importante riforma economica, lasciando procedere il Paese con il pilota automatico per dedicarsi a questioni fiscali e sociali di portata limitata. La si accusa di un approccio “prima-la-politica”, vale a dire, di aver incanalato la ricchezza verso politiche “politiche“, come l’eliminazione dell’energia nucleare e gradualmente anche del carbone, o l’allargamento dello stato sociale. Non permettendo ai mercati di orientare gli investimenti, si sostiene, Merkel ha abbandonato i principi dell’economia di mercato a favore di uno Stato che s’impone quando ai politici non piace dove conduce il mercato.
Tuttavia, è proprio la performance economica il miglior argomento del Governo a favore dell’economia sociale di mercato, “le fondamenta della nostra società libera, aperta e solidale, che protegge la libertà economica e una concorrenza efficiente mentre promuove il benessere e la sicurezza sociale”.
Considerando che fino a poco tempo fa qualche anziano tedesco aveva vissuto in quattro differenti regimi – Weimar, nazismo, comunismo e democrazia – la Germania ha fatto molta strada, ma il dibattito su fisco-spesa statale e sugli investimenti è tutt’altro che risolto.
Il Governo si è impegnato a forti investimenti nell’innovazione: batterie, intelligenza artificiale e veicoli autonomi, e i tedeschi tendono a dare seguito ai proclami. Così è stato con Industria 4.0, il grande piano partorito per accelerare l’aggiornamento del modello industriale tedesco. Così, ancora una volta, il Paese che “Mutti” avrà governato più a lungo di Adenauer, è terzo nella graduatoria Wef dei paesi più innovativi.
Grazie all’abbondanza di riserve a Francoforte, la Germania di Merkel sopporterebbe un rallentamento globale e persino shock domestici. Per Berlino sarà invece più difficile mettere a punto politiche economiche comuni con i membri Ue del corridoio Mediterraneo e di quello orientale, e persino con la Francia, come dimostra il trattato di Aquisgrana.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di marzo/aprile di eastwest.
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