Al meeting della Shanghai Cooperation Organization, faccia a faccia tra il ministro della Difesa indiano Singh e il collega cinese Li: ancora alta la tensione ma si cerca una mediazione
Il faccia a faccia tra il Ministro della Difesa indiano Rajnath Singh e il collega cinese Li Shangfu è straordinariamente rappresentativo di un mondo in rapido cambiamento, che vede le due nazioni asiatiche centrali negli equilibri geopolitici mondiali. Un vis-à-vis su un tema delicato, nel quadro di una realtà globale che muta repentinamente e che, nonostante le modifiche allo status quo internazionale avvenute negli ultimi anni, accentuate dall’invasione della Russia in Ucraina, inciampa ancora nelle problematiche del passato che si ripercuotono ampiamente nel presente.
Le tensioni tra Cina e India nella regione del Ladakh rispondono esattamente a questa dinamica e trovano fondamento nella guerra sino-indiana del 1962, che generò un lungo confine provvisorio tra le due nazioni, la Line of Actual Control, motivo tutt’oggi di saltuari scontri tra gli eserciti, che si fronteggiano e spesso registrano la morte di soldati in entrambi gli schieramenti. Una situazione che difficilmente troverà una soluzione definitiva nel breve periodo, ma per la quale è fondamentale dialogare affinché non si giunga allo scontro totale.
Questo è lo spirito che ha portato all’incontro tra Singh, padrone di casa che ospita il meeting dei Ministri della Difesa della Shanghai Cooperation Organization, e Li, che hanno convenuto, a margine dell’evento principale, sul fatto che lo sviluppo delle relazioni tra India e Cina “è la premessa affinché prevalga la pace e la tranquillità al confine”. Per i cinesi, le questioni devono essere risolte in base agli accordi esistenti e agli impegni presi, ma per gli indiani, che usano toni più forti, “la Cina ha eroso l’intera base dei legami tra le nazioni violando gli accordi bilaterali”.
La realtà dei fatti è che il controllo di quell’area è geopoliticamente strategico per India e Cina. Lungo la Line of Actual Control, Nuova Delhi ha costruito una strada che si snoda dalle località di Darbuk a Daulat Beg Oldie, sito nel quale è presente la più alta pista per atterraggi del mondo, definita advance landing ground, agevolando in questo modo l’arrivo dei C-130 indiani. La nazione di Narendra Modi ha così la possibilità di proiettarsi nella regione più agevolmente, trasportando militari e materiali al confine conteso.
L’arteria stradale costruita ha la potenzialità di raggiungere l’accesso alla Karakoram Highway, di interesse speciale per la Cina perché la collega, dal Pakistan, alla confinante regione dello Xinjiang e col Gilgit Baltistan, che diventerà hotspot strategico: la mossa indiana può essere un problema per lo sviluppo del corridoio economico Pechino-Islamabad. In tutto ciò, per l’India, la Cina occupa 38 mila chilometri quadrati nel territorio del plateau dell’Aksai Chin, che per Nuova Delhi è facente parte del Ladakh, la regione dove avvengono gli scontri tra gli eserciti. La Cina, al contempo, rivendica 90mila chilometri quadrati nel nordest indiano, compreso l’Arunachal Pradesh, con popolazione a maggioranza buddista.
Il discorso è evidentemente ancora più complesso, perché le tensioni tra indiani e cinesi si allargano anche alla presenza di Pechino nei mari caldi. Con l’area dell’Indo-Pacifico sempre più centrale nelle questioni internazionali, Nuova Delhi teme il ruolo attivo della Cina lungo la String of Pearls, la ribattezzata collana di perle rappresentata dai vari porti ai quali la Cina ha accesso o che ha direttamente costruito. Il Governo indiano soffre dell’accerchiamento causato dalla presenza cinese nelle “perle” asiatiche e africane, che rappresentano la linea marittima di comunicazione — e di sviluppo economico — di Pechino.
Da qui la partecipazione di Nuova Delhi al QUAD, l’alleanza tra India, Stati Uniti, Giappone e Australia divenuta sempre più strumento di contenimento cinese nell’area, con gli indiani allo stesso tempo partner dei russi in ambito militare ed economico e, inoltre, membri a tutti gli effetti della Shanghai Cooperation Organization, di cui fa parte insieme a Cina, Pakistan, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan e, presto, anche l’Iran. È dunque lapalissiano comprendere quanto decisive siano Cina e India negli equilibri internazionali, e di quanto peso specifico goda la SCO, avendo al suo interno potenze nucleari e protagoniste dello sconvolgimento dello status quo.