Da quando i Talebani hanno riacquistato il potere, le donne sono private giorno dopo giorno dei loro diritti e della loro libertà. D’ora in poi non potranno più collaborare con le Nazioni Unite per offrire aiuti umanitari alla popolazione
Secondo quanto riportato dalle Nazioni Unite, durante la prima settimana di Aprile 2023, l’amministrazione talebana ha vietato alle donne afghane di lavorare per l’Onu. La decisione allarga il divieto, imposto a Dicembre 2022, che impedisce alle donne di lavorare nelle organizzazioni umanitarie locali e internazionali.
L’esclusione delle donne afghane dalle organizzazioni umanitarie operanti in Afghanistan aveva già portato alla sospensione o alla riduzione, a causa della mancanza di personale, di gran parte dei programmi attivi nel Paese. Con questa ultima mossa, viene preso di mira uno degli ultimi canali rimasti per far passare gli aiuti, rischiando di peggiorare ulteriormente le condizioni tragiche della popolazione. A Dicembre, quando era stato introdotto il divieto, il Ministero degli Affari Esteri afghano aveva assicurato ai funzionari dell’organizzazione che il decreto non si sarebbe applicato alle Nazioni Unite. Questa settimana, però, è stata invertita la rotta. Sheikh Haibatullah Akhundzada, l’autorità suprema del governo, ha chiarito che il divieto si estende anche alle Nazioni Unite e ha dato istruzioni all’intelligence di farlo rispettare.
Come riportato da Ramiz Alakbarov, vice rappresentante e coordinatore umanitario delle Nazioni Unite per l’Afghanistan, per fronteggiare la condizione di povertà estrema in cui versa il Paese sarebbero necessari 4,6 miliardi di dollari per il 2023, la più grande operazione di aiuto al mondo. Purtroppo, l’operazione è stata finanziata per meno del 5%: fino ad oggi, ha ricevuto solo 213 milioni di dollari, presentandosi come l’operazione di soccorso che ha ricevuto meno fondi a livello globale. “Il mondo non può abbandonare il popolo afghano in questo momento precario”, ha insistito Alakbarov, esortando la comunità internazionale a “non punire ulteriormente il popolo afghano trattenendo i finanziamenti essenziali”. A dicembre 2021, il Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP) aveva stimato che le limitazioni sull’occupazione femminile sarebbero costate fino al 5% del prodotto interno lordo dell’Afghanistan. Oggi, l’ulteriore stretta annunciata rischia di aggravare ulteriormente la situazione. Secondo i funzionari Onu, la politica del governo afghano viola direttamente lo statuto delle Nazioni Unite e rischia, dunque, di spingere i vertici dell’organizzazione a chiudere le operazioni di aiuto in Afghanistan.
Da quando i Talebani hanno riacquistato il potere sono cambiate tante cose. Kabul, che per circa vent’anni ha eletto governi civili, è ora la capitale di un Paese che non ha più nulla a che vedere con quello che gli Stati Uniti hanno provato a costruire durante due decenni di occupazione. Con l’evacuazione americana è finita la guerra civile: da un lato il sollievo, niente più raid aerei e scontri armati; dall’altro, la disperazione di chi si era abituato alle libertà introdotte – seppur con grandi spargimenti di sangue – dalle forze armate USA. Nel report dell’UNDP, rilasciato nel 2022, si afferma che è stato vanificato “in 12 mesi ciò che aveva richiesto 10 anni per essere accumulato”.
Nell’anno e mezzo in cui l’amministrazione talebana ha governato, la disoccupazione è esplosa, il prezzo del cibo è salito alle stelle e la malnutrizione è peggiorata drasticamente in tutto il Paese. Oggi, quasi 20 milioni di persone – più della metà della popolazione – si trovano in una situazione di grave insicurezza alimentare e sei milioni sono vicini alla carestia.
Per quanto la presa di potere dei Talebani abbia impattato duramente il rispetto dei diritti civili, politici ed umani di tutta la popolazione, le privazioni più grandi sono subite dalle donne, escluse arbitrariamente dalla vita sociale, economica e politica del Paese. I loro diritti sono stati cancellati, rendendo l’Afghanistan uno dei Paesi più restrittivi al mondo per le donne. I Talebani hanno proibito alla maggior parte delle ragazze di frequentare la scuola secondaria, hanno vietato a tutte gli studi e l’insegnamento nelle Università, nonché il lavoro in generale. Inoltre, sono ritornati a crescere i tassi di matrimonio infantile. Le donne afghane continuano a non rassegnarsi a questa realtà, trovando solidarietà anche in parte della popolazione maschile, soprattutto nelle nuove generazioni. Nonostante ciò, la guerra allo stato islamico è estenuante. Amnesty International ha segnalato un drastico aumento del numero di donne arrestate per aver violato le politiche discriminatorie a cui sono sottoposte, come il divieto di apparire in pubblico senza un accompagnatore maschio, oppure l’obbligo a coprire completamente il loro corpo.
Queste politiche sono arrivate a definire il governo talebano agli occhi del mondo, causando anche tensioni interne: i cambiamenti minacciano gli aiuti offerti dai donatori occidentali, riconosciuti come fondamentali pure da molti estremisti del movimento. Oggi, l’Afghanistan è quasi totalmente isolato a livello internazionale. Le azioni del nuovo governo afghano sono state condannate universalmente, persino da altri governi islamici, come nel caso dell’Arabia Saudita.
Nel 2021, i Talebani rassicurarono il mondo che non si sarebbe tornati alla misoginia che ne aveva caratterizzato il governo negli anni ‘90. Queste promesse, una ad una, sono state infrante.