Il Giappone annuncia investimenti nel continente considerato come l’ultima frontiera dell’economia globale: i giovani africani intenzionati ad avviare delle imprese verranno invitati nelle università giapponesi.
Sabato comincerà in Tunisia la Conferenza internazionale di Tokyo sullo sviluppo africano (TICAD), un’iniziativa per la cooperazione tra il Giappone e l’Africa lanciata nel 1993 che si tiene ogni tre anni. Come anticipato dal Nikkei, nel suo discorso il primo ministro giapponese Fumio Kishida – che parteciperà da remoto, essendo positivo al coronavirus – parlerà di investimenti giapponesi nelle risorse umane del continente, spesso descritto come l’ultima frontiera dell’economia globale: la sua popolazione, prevalentemente giovane, ammonta oggi a 1,4 miliardi di persone, che dovrebbero però superare i 2,4 miliardi nel 2050.
Al di là delle opportunità economiche, per il Giappone la TICAD costituisce anche un mezzo per favorire l’espansione della propria influenza in Africa e rivaleggiare con la Cina, che possiede peraltro un formato di cooperazione equivalente a quello di Tokyo, il Forum sulla cooperazione Cina-Africa. All’edizione dello scorso anno in Senegal, Pechino ha annunciato fondi per l’Africa da 40 miliardi di dollari, il doppio degli investimenti (privati) giapponesi presentati alla TICAD del 2019.
Interessato a offrire alternative e opportunità diverse più che a inseguire la Cina sulle cifre, al vertice di sabato Kishida parlerà appunto di risorse umane e della sua visione di “nuovo capitalismo”, che consiste in politiche espansive di spesa e in maggiori attenzioni alla redistribuzione delle ricchezze.
Il Giappone, dunque, vuole concentrarsi sulla crescita di talenti africani che abbiano competenze sulla costruzione e la manutenzione delle infrastrutture, la medicina, la sanità, l’agricoltura e la gestione aziendale. I giovani intenzionati ad avviare delle imprese verranno invitati nelle università e nelle società giapponesi per essere formati.
Altre iniziative di Tokyo sono maggiormente rivolte al contrasto diretto (benché implicito) di Pechino. Attraverso il maxi-schema di connettività Belt and Road Initiative la Cina ha infatti finanziato la realizzazione di infrastrutture in Africa, a volte senza prestare attenzione alle capacità dei paesi riceventi di ripagare i debiti contratti. Alcuni analisti parlano allora di “trappola del debito”, che porterebbe Pechino ad assumere, come forma di risarcimento, il controllo di asset strategici: è quello che si teme possa succedere con l’aeroporto internazionale di Entebbe, in Uganda, in via di rimodernamento.
Il Giappone, allora, vuole stanziare 5 miliardi di dollari in tre anni, dal 2023, per lo sviluppo di infrastrutture in Africa, ma tenendo in considerazione le situazioni finanziarie delle nazioni destinatarie dei fondi, incluso l’ammontare dei loro debiti con la Cina.
Kishida, poi, cercherà di stimolare in Africa la creazione di circostanze regolatorie capaci di attrarre gli investitori: il contesto attuale, sia normativo che politico, viene percepito come troppo instabile e rischioso dalle aziende giapponesi. Nel 2020 gli investimenti diretti del Giappone in Africa sono ammontati a 4,8 miliardi di dollari, una cifra decisamente inferiore a quella delle altre maggiori economie mondiali: nello stesso anno la Cina, per esempio, ha investito 43 miliardi, superata da Regno Unito e Stati Uniti, scrive il Nikkei citando i dati dell’Organizzazione giapponese del commercio estero.
Il Giappone, infine, attraverso una partnership tra la banca statale NEXI e la Afreximbank, metterà a punto un nuovo quadro normativo finanziario e assicurativo per ridurre i rischi imprenditoriali in Africa e favorire gli investimenti nazionali in progetti per la decarbonizzazione nel continente.