La coalizione tra Socialdemocratici, Verdi e Liberali guidata dal Cancelliere Olaf Scholz ha messo fine al mandato di Angela Merkel
Il post-merkelismo è iniziato con una nuova e decisiva frammentazione politica. Quello che prima la Cancelliera Merkel teneva e raccoglieva insieme nel suo centrismo, si è ora diviso. Il risultato sarà molto probabilmente un Governo tedesco formato per la prima volta da una coalizione a tre. Con la vittoria di misura della Spd (25,7%, +5,2 punti % rispetto al 2017) sulla Union Cdu-Csu (24,1%, -8,8 punti % rispetto al 2017) ci sarebbero ancora i numeri per un’ennesima Große Koalition. Ma nessuno vuole più questa opzione e tutto si sta muovendo verso una coalizione Ampel (Semaforo) di Spd, Verdi e liberali Fdp, con il socialdemocratico Olaf Scholz Cancelliere.
I socialdemocratici tedeschi, che fino a qualche mese prima delle urne erano dati terzi intorno al 15%, sono i veri vincitori delle elezioni tedesche. A loro si aggiungono, con motivazioni diverse, i Verdi e i liberali FDP.
Approfittando dei limiti del Cdu Armin Laschet e della verde Annalena Baerbock, quest’estate Scholz è riuscito a recuperare l’impensabile. Scholz si è di fatto posizionato come il candidato capace di essere contemporaneamente sia l’erede di Angela Merkel sia il rappresentante di un’agenda sociale di rilancio del Paese dopo la crisi Covid-19.
Con un ruolo tattico post-elettorale fondamentale e +5,9 punti % rispetto al 2017, il 26 settembre i Verdi hanno raccolto il 14,8% e non possono parlare di una sconfitta. Ma considerando l’hype mediatico nazionale e internazionale che aveva accompagnato la candidatura di Baerbock nella scorsa primavera, le elezioni hanno per i Grünen anche il sapore di un fallimento. Il veloce affiancamento a Baerbock del suo co-leader Habeck nei giorni successivi al voto dimostra un dibattito sulla leadership interno al partito. Dibattito che, però, non è praticamente visibile all’esterno, nel pieno stile pragmatico, funzionalista e quasi manageriale che da qualche anno hanno scelto i Grünen.
Come quarta forza, con l’11,5% dei voti, si è affermata Fdp. Il partito guidato da Christian Lindner ha sostanzialmente mantenuto le percentuali del 2017 (+ 0,8 punti %). Il risultato era però tutt’altro che scontato e i liberali si trovano ora nella condizione molto favorevole (ma carica di responsabilità) di diventare forse la sola forza di centro-destra nel prossimo Governo di Berlino.
Nelle tantissime analisi fatte in questi mesi sul lascito di Merkel ci sono stati toni talvolta celebrativi e altre volte più critici. Su un punto, tuttavia, è difficile discutere: le pessime condizioni in cui Merkel ha lasciato la Cdu. Un’analisi storica può affermare che, qualche anno fa, Merkel abbia attivamente deciso di sacrificare il successo del proprio partito per poter invece garantire stabilità a tutto il Paese, optando per un’impostazione ultra-istituzionale e post-partitica.
Non ci sono dubbi che la Cdu, con il peggior risultato dal 1949 a oggi, sia la grande sconfitta di queste elezioni. Nei giorni successivi al voto, il Kanzlerkandidat Laschet ha tentato di camuffare il disastro, provando disperatamente a spingere una coalizione Jamaika Union-Verdi-FDP. Presto è però riemersa la forte conflittualità interna ai cristiano-democratici e la posizione di Laschet si è mostrata in tutta la sua debolezza. Anche il partito sorella bavarese della Cdu, la Csu di Markus Söder, ha visto un risultato deludente: è ancora prima forza in Baviera, ma con il 31,7% (il peggior valore dal 1953).
L’opzione di una Cdu-Csu che vada ora all’opposizione rispetto a un Governo Ampel è carica di significato. Se da un lato c’è chi ritiene che quattro anni lontano dal Governo siano necessari per riorganizzare l’Union, dall’altro la sua assenza dalle istituzioni di Berlino potrà essere uno shock sistemico. L’interrogativo decisivo, inoltre, è se il futuro del partito sarà rinascere come centro-destra liberale o come qualcosa di più conservatore se non tendenzialmente identitario. La crisi in corso dell’egemonia Ppe in Europa rende questo interrogativo ancora più cruciale. Se il prossimo governo tedesco sarà una coalizione Spd-Verdi-Fdp, la Cdu-Csu si troverà nella complessa e scomoda posizione di dover fare opposizione accanto alla destra radicale AfD.
La seppur difficile tenuta della Csu in Baviera e della Cdu nel Land Baden-Württemberg e (in parte) in Nordreno-Vestfalia sono stati gli elementi che hanno permesso alla Union di non subire una sconfitta ancora più grave. Per il resto, se si guarda la mappa del voto tedesco, la Spd è stata in grado di ritornare primo partito in gran parte del centro, del nord e del nord-est del Paese. Un’affermazione che ricorda gli scenari di inizio anni 2000, cioè prima dell’arrivo di Angela Merkel.
Una differenza tra la mappa del voto di 15-20 anni fa e quella attuale è però certamente l’affermazione come primo partito di AfD negli stati centro-orientali Sassonia e Turingia. Privata della piattaforma retorica sul tema immigrazione, Alternative für Deutschland ha questa volta raccolto qualcosa di meno rispetto al 2017 (il 10,3%, -2,3 punti %), ma ha comunque conquistato il 19,1% dei voti nei cinque Land orientali (contro il solo 8,2% nel resto del paese). La territorializzazione in parte dell’Est tedesco di AfD è un dato di fatto ed è espressione di contraddizioni socio-culturali, politiche e geopolitiche con cui la Germania avrà ancora a che fare nei prossimi anni.
Da segnalare, infine, c’è anche il declino della sinistra radicale Linke, che ha perso metà dei propri voti rispetto a quattro anni fa. Grazie al premio legato alla conquista di tre mandati diretti, il partito è riuscito a entrare nel Bundestag nonostante non abbia, con il 4,9%, raggiunto la soglia di sbarramento del 5%. Nei Land orientali la Linke raccoglie ancora il 10% (rispetto al 3,6% nei Land occidentali), ma anche il tradizionale legame della Linke con l’Est della Germania sembra sempre più debole.
Oltre alle faglie territoriali, le elezioni tedesche hanno mostrato trend di voto generazionali molto specifici. Spd e Cdu sono state votate principalmente dalle fasce più anziane dell’elettorato. I giovani e i giovanissimi hanno invece votato soprattutto i Verdi e la Fdp. Due partiti che spesso sono in forte contrasto, ma che evidentemente condividono il sostegno di una nuova generazione che richiede l’abbandono definitivo del bipolarismo tedesco. La condivisione di questa responsabilità sta sicuramente convincendo le due leadership della necessità di un accordo. È sulla riuscita concreta di questa specie di kleine Koalition (piccola coalizione) verde-gialla che si basa la costruzione di un Governo Ampel. La SPD sembra al momento più che disposta a fare da socio di maggioranza che guidi un’intesa tra Verdi e Fdp.
I punti di contrasto tra i due (o tre) partiti restano: sulla politica fiscale, sull’accelerazione o meno della Energiewende (svolta energetica), sulla riforma del sistema di welfare Agenda 2010, sul finanziamento della digitalizzazione. Ma, vista la comune ambizione di andare al Governo, c’è ampio potenziale di compromesso. In un possibile esecutivo Ampel la Schuldenbremse (il freno al debito temporaneamente sospeso per la crisi Covid-19) verrà probabilmente reinserita, ma le spese green verranno comunque sostenute; il salario minimo (cavallo di battaglia della Spd) verrà alzato a €12, ma non verranno decise nuove tasse (come chiede la Fdp). L’interrogativo, a un certo punto, sarà però quanto siano materialmente sostenibili compromessi del genere.
Una cosa è certa: dossier epocali e decisivi come Ue, condivisione del debito in eurozona, Nato e difesa europea verranno invece inizialmente rinviati, in pieno stile merkeliano. Ma, diversamente che nell’era di Angela Merkel, il prossimo Governo di Berlino non potrà sottrarsi più ai molteplici e crescenti input da parte di partner e player internazionali.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di novembre/dicembre di eastwest.
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I socialdemocratici tedeschi, che fino a qualche mese prima delle urne erano dati terzi intorno al 15%, sono i veri vincitori delle elezioni tedesche. A loro si aggiungono, con motivazioni diverse, i Verdi e i liberali FDP.