Armi e diritti umani: gli affari francesi con al-Sisi
La vendita di armi è spesso giustificata dalla guerra al terrorismo, mentre a volte si spiega con la volontà di mantenere un apparato bellico competitivo: cosa devono fare le democrazie?
La vendita di armi è spesso giustificata dalla guerra al terrorismo, mentre a volte si spiega con la volontà di mantenere un apparato bellico competitivo: cosa devono fare le democrazie?
Un corteggiamento ben riuscito quello di Emmanuel Macron al generale al-Sisi, presentato ai francesi come un alleato strategico fondamentale nel combattere l’islamismo e un ottimo cliente per il comparto militare industriale transalpino. Il dittatore egiziano era stato ricevuto all’Eliseo lo scorso 20 dicembre e aveva cenato all’Hotel de Paris, ospite della sindaca Hidalgo, ed era stato insignito in segreto della Legion d’onore – onorificenza con cui Parigi ha premiato anche Vladimir Putin e Bashar al Assad, che ha restituito la medaglia dopo la partecipazione di Parigi ai raid sulla Siria. La cerimonia dello scorso dicembre doveva rimanere segreta, non era nel programma ufficiale della visita e non era stata filmata se non dalla delegazione egiziana, che pubblicò il video sul sito della presidenza – dove è stato notato rendendo la notizia pubblica.
Non una bella figura per il Presidente in campagna elettorale, ma una notizia di quelle che passano in secondo piano a confronto dei contratti per la vendita di armi portati a casa dai francesi. Si tratta di tre vendite distinte, una molto pesante riguarda l’acquisto di 30 caccia Rafale dalla Dassault per 3,75 miliardi. Gli altri due valgono 200 milioni di euro per la vendita di missili MBDA e attrezzature dalla Safran Electronics & Defense. La stipula dei contratti avviene nelle stesse settimane in cui il regime egiziano manda a morte nove persone in seguito a un assalto a un commissariato avvenuto nel 2013 e dopo un processo che Amnesty International ha pesantemente criticato.
La Francia e il suo comparto militare industriale sono in competizione costante con l’Italia e altri per ottenere commesse in Egitto e in diverse aree instabili o in mano a Governi non proprio democratici. La differenza fondamentale tra Italia e Francia è che il nostro Paese si è dotato di una legge che limita e regola la possibilità dell’export di armi. Per questo nei mesi scorsi è stata fermata la vendita di armi da guerra all’Arabia Saudita. La legge 185/90 non riguarda i diritti umani e infatti anche per l’Italia l’Egitto rappresenta un importante mercato, il primo, come del resto per Parigi. I contratti italiani, però, non possono rimanere segreti come quelli francesi e questo genera pressioni, attenzione, talvolta dibattito sui media che determina decisioni come quella presa dal Governo Conte II sulla vendita di armi a Riad.
I contratti francesi di queste settimane invece sono stati resi noti solo in seguito a uno scoop di Disclose, un sito francese di giornalismo d’inchiesta. Disclose segnala tra l’altro che i contratti francesi sono tutti garantiti dallo Stato: “Super-indebitato, l’Egitto ha ottenuto un prestito garantito dalla Francia fino all’85%. In altre parole, il Tesoro ha fatto da garante a diverse banche francesi – Crédit Agricole, Société Générale, BNP e CIC – per permettere ad al-Sisi di concludere il trasferimento di armi. Se l’Egitto non riuscisse a rimborsare, è il contribuente francese che dovrà pagare i 3,4 miliardi di euro”. Una forma di sussidi di Stato a un comparto industriale nazionale.
Due deputati francesi – uno del partito di Macron, l’altro repubblicano – hanno presentato una proposta per coinvolgere il Parlamento nella verifica e nel controllo dell’export di armi, qualcosa di simile alla legge 185/90, che ha vincoli più stretti dovuti alla nostra costituzione. Il Governo è fermamente contrario a questa richiesta di maggiore trasparenza e l’esempio egiziano ci dice perché: certi affari è meglio farli senza che se ne discuta nell’opinione pubblica.
Torniamo al tema generale, quello dell’export di armi. L’apparato militare industriale europeo sembra fare a gara per vendere armi a una serie di Paesi che non fanno parte della Nato, e sono posizionati in aree molto instabili tra Medio Oriente e Africa. In particolare Arabia Saudita, Qatar e lo stesso Egitto stanno accumulando un enorme potenziale bellico. A volte la vendita viene spiegata, giustificata con l’idea della guerra al terrorismo. Quei regimi cooperano in cambio di armi. A volte è solo la volontà di mantenere un apparato industriale competitivo. In ogni caso, si tratta di una politica discutibile perché alimenta regimi brutali come quello de Il Cairo – con il quale l’Italia ha almeno due questioni aperte – o guerre come quella in Yemen.
Si tratta di un grande tema complicato e scivoloso e di grande attualità. Cosa devono fare le democrazie che criticano altri Paesi per il mancato rispetto dei diritti umani e la repressione del dissenso di fronte a potenziali affari? Macron sembra aver dato una risposta chiara.
La vendita di armi è spesso giustificata dalla guerra al terrorismo, mentre a volte si spiega con la volontà di mantenere un apparato bellico competitivo: cosa devono fare le democrazie?
Un corteggiamento ben riuscito quello di Emmanuel Macron al generale al-Sisi, presentato ai francesi come un alleato strategico fondamentale nel combattere l’islamismo e un ottimo cliente per il comparto militare industriale transalpino. Il dittatore egiziano era stato ricevuto all’Eliseo lo scorso 20 dicembre e aveva cenato all’Hotel de Paris, ospite della sindaca Hidalgo, ed era stato insignito in segreto della Legion d’onore – onorificenza con cui Parigi ha premiato anche Vladimir Putin e Bashar al Assad, che ha restituito la medaglia dopo la partecipazione di Parigi ai raid sulla Siria. La cerimonia dello scorso dicembre doveva rimanere segreta, non era nel programma ufficiale della visita e non era stata filmata se non dalla delegazione egiziana, che pubblicò il video sul sito della presidenza – dove è stato notato rendendo la notizia pubblica.
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