Alessandro Montanaro è dottorando in Environmental Sustainability and Wellbeing presso l’Università di Ferrara. I suoi interessi di ricerca riguardano l’economia ambientale e la costruzione di indicatori per la sostenibilità.
Carbon tax: il Climate Club europeo
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Il Green Deal presentato dalla Commissione europea nel 2019 fissa l’obiettivo di rendere l’Europa il primo continente neutrale dal punto di vista climatico entro il 2050. All’interno dell’ambizioso progetto, la revisione del sistema di scambio delle quote di emissione di carbonio dell’Ue (EU-ETS) e l’introduzione del Meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (CBAM), come proposto dalla Commissione europea e approvato dagli Stati membri il 18 dicembre 2022, condividono lo stesso obiettivo: ridurre le emissioni di gas a effetto serra dell’Ue, garantendo al contempo che tali sforzi ambientali non compromettano la competitività delle imprese del vecchio continente.
EU-ETS: il primo sistema di carbon trading più esteso al mondo
L’idea alla base di entrambi gli strumenti è l’applicazione di un prezzo alle emissioni di anidride carbonica – carbon pricing – al fine di incentivare l’eco-innovazione e la riduzione dell’impatto ambientale del sistema economico tramite meccanismi di mercato. L’EU-ETS è il primo sistema di carbon trading ad essere implementato (attivo dal 2005) e rimane al momento il più esteso al mondo. Il sistema stabilisce un tetto massimo annuale alla quantità di gas serra che le aziende di specifici settori (generazione elettricità, manifattura e aviazione) possono emettere nell’Ue. Entro tale limite, le imprese sono tenute ad acquistare quote di emissione corrispondenti alle loro emissioni di CO2; le quote non utilizzate possono essere vendute o utilizzate l’anno successivo, il tetto massimo viene quindi gradualmente ridotto nel tempo per garantire la riduzione delle emissioni. Il sistema ha permesso una riduzione delle emissioni regolamentate del 21% tra il 2005 e il 2020 e, inizialmente, prevedeva di ottenere una riduzione del 43% entro il 2030, in linea con l’impegno preso dell’Unione Europea nei confronti dell’Accordo di Parigi. Obiettivo incrementato al 62% in seguito al rafforzamento dell’EU ETS, risultato dell’accordo raggiunto tra Consiglio e Parlamento europeo il 18 dicembre 2022.
Tuttavia, se nel 2017 il prezzo di una tonnellata di CO2 era pari a 5 €, oggi oscilla tra i 60 € e i 100 €. Una crescita legata alle riforme degli ultimi anni, alle incertezze causate dalla pandemia e alla recente crisi energetica. L’Unione da sola non può sviluppare politiche climatiche sempre più ambiziose senza affrontare il crescente divario tra i costi ambientali sostenuti dai produttori europei e il prezzo ambientale, inferiore o inesistente, pagato dalle imprese extra-Ue che esportano i loro prodotti negli Stati membri. Il rischio è quello di incentivare la delocalizzazione delle attività produttive in paesi che non tassano l’emissione di gas serra – carbon leakage – con conseguenze negative in termini di occupazione e stabilità economica per il vecchio continente. Per questa ragione, alcuni settori considerati a “rischio delocalizzazione” ricevono quote di emissione a titolo gratuito per sostenere la loro competitività.
Il CBAM, un meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere
Al fine di salvaguardare l’elemento competitivo e, al contempo, non minare i benefici ambientali dell’EU-ETS, il CBAM sostituirebbe progressivamente il sistema di quote gratuite attualmente in vigore. Il Carbon Border Adjustment Mechanism permette infatti l’estensione delle politiche climatiche dell’Ue alle merci importate. Le aziende coperte dal sistema sono tenute ad acquistare certificati CBAM in quantità corrispondenti alle emissioni incorporate delle loro importazioni e che riflettono il prezzo ETS. Se, invece, un produttore extra-Ue può dimostrare di aver già pagato un prezzo per il carbonio utilizzato nella produzione dei beni importati in Ue da un Paese terzo, il costo corrispondente può essere completamente dedotto per l’importatore europeo. Ciò garantirebbe un prezzo equivalente della CO2 per i prodotti importati e per quelli dell’Ue, e quindi condizioni di parità tra i produttori europei, soggetti al sistema EU-ETS, ed esportatori dei Paesi terzi, soggetti al CBAM.
La Commissione europea ha pubblicato la bozza di proposta legislativa nel luglio 2021. Il Parlamento ha elaborato la propria posizione nella sessione plenaria del 22 giugno 2022 e, insieme ai governi dei paesi membri, ha raggiunto un accordo definitivo il 18 dicembre 2022. Accordo che dovrà essere formalmente approvato dal Consiglio e poi dal Parlamento europeo per risultare vincolante. Il meccanismo entrerà in vigore nel 2023 per i seguenti prodotti: acciaio, cemento, alluminio, fertilizzanti, idrogeno ed energia elettrica. È previsto un periodo di “rodaggio” di tre anni durante il quale agli importatori verrebbero imposti solo degli obblighi di comunicazione. A partire dal gennaio 2026, le imprese dovranno acquistare certificati CBAM per i loro prodotti importati e il sistema inizierà un processo di implementazione graduale che si concluderà nel 2034, periodo nel quale il sistema di quote gratuite verrà gradualmente eliminato. Il meccanismo sarà applicato solo alle emissioni dirette rilasciate durante il processo di produzione dei beni da esso coperti. Le emissioni indirette, come le emissioni generate dall’elettricità utilizzata per la produzione, il riscaldamento o il raffreddamento durante il processo produttivo, non saranno coperte dal nuovo meccanismo. Questo per garantire una maggiore semplicità amministrativa della politica, dato che le emissioni indirette provengono da fonti diverse dall’entità dichiarante e sono quindi difficili da misurare.
Un altro punto su cui gli Stati membri si sono accordati riguarda l’istituzione di un Fondo sociale per il clima per evitare che le imposte sull’inquinamento finiscano per penalizzare le imprese e gli utenti più poveri (un rischio di cui si discusse molto in occasione delle proteste dei gilet gialli in Francia): il fondo dovrebbe venire istituito tra il 2026 e il 2032, finanziato con 65 miliardi di euro.
Sostenitori e detrattori
I sostenitori della proposta affermano che il CBAM andrà a beneficio dell’ambiente e fornirà condizioni di parità alle aziende europee sul piano della competizione internazionale, coloro che si oppongono lo definiscono invece una misura ingiusta e protezionistica. Secondo i suoi detrattori, il CBAM grava sui Paesi in via di sviluppo, che hanno storicamente una responsabilità minore nei confronti dell’inquinamento ambientale e sono caratterizzati da un tessuto produttivo più inquinante rispetto alla controparte europea. Il gruppo BASIC, che comprende India, Cina, Brasile e Sudafrica, ha recentemente espresso preoccupazione tramite una dichiarazione congiunta alla COP27 a Sharm El Sheikh: “Devono essere evitate misure unilaterali e pratiche discriminatorie, come le tasse ambientali alle frontiere, che potrebbero causare distorsioni del mercato e aggravare i rapporti di fiducia tra paesi […]”.
Tuttavia, nonostante i Paesi citati rappresentino grandi produttori dei beni coperti dal CBAM, la maggior parte degli esportatori nell’Ue di prodotti coperti dal meccanismo è costituita da Paesi vicini: Regno Unito, Norvegia, Svizzera, Russia, Ucraina, Serbia, Turchia e Algeria. Il CBAM avrà un impatto eterogeneo su questi partner commerciali europei. Norvegia e Svizzera sono legate al sistema EU-ETS; pertanto, il CBAM non sarà applicato alle loro esportazioni. Simile discorso può essere applicato al Regno Unito, che persegue una politica climatica simile a quella dell’Unione Europea. Il gruppo composto da Turchia, Ucraina, Serbia e Algeria è invece altamente influenzato dalla proposta europea. Il loro percorso di sviluppo dipende dalla partecipazione al percorso di decarbonizzazione intrapreso dall’Ue, a sua volta influenzato dalla disponibilità di tecnologie e finanziamenti per investire in una produzione domestica più efficiente in termini ambientali. La Russia rappresenta un caso a parte. Molti analisti ritengono che potrebbe essere il Paese esportatore più colpito dal CBAM. Tuttavia, considerando le sanzioni causate dall’invasione dell’Ucraina, le implicazioni del meccanismo europeo nei confronti della Russia passano in secondo piano.
L’impatto geopolitico del CBAM
L’impatto geopolitico del CBAM potrebbe essere radicalmente modificato da un futuro potenziamento del meccanismo. L’inclusione di nuovi prodotti (chimici organici e plastica) o emissioni indirette (compresi l’elettricità, il calore e il vapore utilizzati nella produzione) colpirebbe più duramente alcuni partner commerciali. L’inclusione dei prodotti sopra elencati avrebbe un impatto negativo sulle industrie americane e cinesi, molte delle quali sarebbero costrette a fare i conti con questo strumento quando esportano in Europa.
Riassumendo, il CBAM è un meccanismo ambientale unico che viene introdotto per la prima volta nel sistema commerciale europeo. Ha buone intenzioni dal punto di vista ambientale, ma poiché incide negativamente (in forma di dazio) sui Paesi extra-Ue, è lecito aspettarsi forti reazioni da parte di questi ultimi. Per non minare alla base i benefici attesi della nuova misura, l’Unione Europea deve assicurarne una forte credibilità su due fronti. Innanzitutto, è necessario lavorare sulla precisione del calcolo di emissioni incorporate nei prodotti importati e, in secondo piano, è cruciale il coinvolgimento di Paesi extra-Ue alla creazione di un climate club.
Il primo punto fa sostanzialmente riferimento alla difficoltà di calcolo delle emissioni derivanti da processi produttivi sparsi per tutto il globo. Esiste una soluzione per ovviare all’elevato onere amministrativo di tale obiettivo: le imprese importatrici potranno utilizzare valori predefiniti per le emissioni incorporate nei prodotti che importano. L’Ue fornisce due opzioni per il calcolo: 1) valori basati sulla media del Paese di produzione secondo i dati o la letteratura e 2) in assenza di 1, valori basati sulla media del 10% dei valori peggiori nell’Ue. Tuttavia, questa impostazione potrebbe creare incentivi perversi per gli importatori di prodotti ad alta intensità di emissioni che si sforzerebbero di rientrare nell’opzione 2. Dal momento che l’Ue è in media il produttore con minore intensità di emissioni in molti settori del mondo, questa opzione potrebbe essere comunque la meno costosa e sottostimerebbe la quantità reale di emissioni importate.
La seconda sfida è trovare il giusto equilibrio tra approccio unilaterale e collaborativo. Il giusto compromesso tra portare avanti minuziosi, spesso inconcludenti, negoziati multilaterali o potenziare il CBAM unilateralmente, ignorando le possibili critiche. Una scelta basata sulla probabilità che la politica ambientale europea possa diventare un modello per gli altri, con il rischio di fratturare i rapporti internazionali in linea con la guerra dei dazi intrapresa da Trump nei confronti del partner cinese.
Un climate club
Con l’introduzione del CBAM, l’Ue cerca il suddetto equilibrio istituendo un climate club de facto. Quest’ultimo descrive un gruppo di Paesi con grandi ambizioni di politica climatica che istituzionalizza una collaborazione, inducendo i paesi meno ambiziosi a seguirne l’esempio. L’istituzionalizzazione comporta chiare condizioni di ingresso per eventuali nuovi membri tramite una strategia “carota-bastone”. L’utilità dell’entrata nel club dipende dalla sua capacità di fornire “carote”, cioè benefici esclusivi ai membri. Tali benefici possono assumere diverse forme, quali accordi commerciali preferenziali o altre forme di cooperazione, ad esempio in materia di ricerca e sviluppo, innovazione o iniziative industriali. Il climate club agisce allo stesso tempo in forma di “bastone”, costringendo i non membri ad aderire mediante l’applicazione di sanzioni. Infine, può offrire pagamenti compensativi per coprire parte dei costi di ingresso. Adottando questa terminologia, nel CBAM l’insieme dei componenti del club comprende gli Stati membri dell’Ue, i membri dello spazio economico europeo e quelli con sistema di scambio di emissioni in linea con l’EU-ETS (Svizzera ad esempio). Il beneficio esclusivo è l’accesso al mercato interno dell’Ue e i non membri sono soggetti a sanzioni sotto forma di tassa doganale sul carbonio. Il Fondo sociale per il clima, alimentato dagli stessi proventi EU-ETS, rappresenta la forma di pagamento compensativo del sistema. L’inclusione di paesi extra-Ue al climate club europeo passa indubbiamente sul binario della giustizia climatica. Per proseguire il viaggio, l’Ue dovrà mediare tra desiderio di crescita economica e riduzione dell’impatto ambientale dei paesi terzi. Il CBAM, oltre ad essere una politica unica nel suo genere, metterà alla prova la capacità di leadership dell’Unione Europea sullo scenario internazionale.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di gennaio/marzo di eastwest