Giornalista medico-scientifico, responsabile di StudioNews, service che fornisce settimanalmente la pagina Salute&Benessere ad alcuni quotidiani italiani a diffusione nazionale.
Vaccino anti Covid: istruzioni per l’uso
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Il primo passo l’abbiamo fatto, insieme a tutti i Paesi europei, dando inizio ‘ufficialmente’ alle vaccinazioni anti-Covid 19 in occasione del ‘vax-day’, il 27 dicembre scorso. Il via libera è stato dato al vaccino di Pfizer/BioNTech in Europa, a quello di AstraZeneca nel Regno Unito e in Argentina e al BBIBP-CorV in Cina. Il 6 gennaio il verdetto positivo dell’Ema sul siero mRNA-1273 di Moderna, già approvato da Fda e Health Canada, mentre c’è attesa in Europa per il farmaco di Oxford. Quello di Moderna è il secondo vaccino che riceve il via libera da parte dell’agenzia. “Il vaccino Moderna è sicuro ed efficace. Come prossimo passo garantiremo l’autorizzazione alla commercializzazione nell’Ue”. Così la Commissione europea dopo il parere positivo dell’EMA al vaccino.
L’arrivo in Italia delle prime dosi del vaccino Moderna verso la metà del mese di gennaio e complessivamente, nei prossimi tre mesi, giungeranno in Italia 1 milione e 300 mila dosi, con cadenza settimanale: 100 mila a gennaio, 600 mila a febbraio e 600 mila a marzo. L’azienda tedesca Curevac è ancora in fase di sperimentazione, mentre la Beijing Biological Products Institute (Sinopharm) ha ricevuto il via libera condizionato per il commercio dalla National Medical Products Administration (Nmpa), l’agenzia del farmaco cinese, in quanto ha ritardato la presentazione dei dati. All’inizio di gennaio 2021 erano già state utilizzate oltre 11 milioni e mezzo di dosi in 21 paesi, 9 milioni delle quali solo in Usa e Cina, due tra Israele e Uk e circa 500 mila nei restanti 17 Paesi. In Italia a dettare regole uniformi per tutto il territorio nazionale ci ha pensato l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), che ha fornito i dettagli sulla conservazione, lo scongelamento, la diluizione e la somministrazione del vaccino.
Le tre tipologie di vaccino
La Coalition for Epidemic Preparedness and Innovations (Cepi), organizzazione internazionale che ha lo scopo di promuovere lo sviluppo e lo stoccaggio di vaccini contro microorganismi in grado di causare nuove e spaventose epidemie, sta coordinando i numerosi progetti per la preparazione di vaccini contro il virus SARS-CoV-2. A causa della recente scoperta del virus e della difficoltà di prevedere il tipo di risposta immunitaria prodotta, le strategie adottate risultano molto diversificate fra loro e, di conseguenza, il tipo di vaccino in grado di proteggere dall’infezione. In particolare, i ricercatori stanno lavorando su tre tipologie di vaccini.
Vaccino a Rna: si tratta di una sequenza di Rna sintetizzata in laboratorio che, una volta iniettata nell’organismo umano, induce le cellule a produrre una proteina simile a quella verso cui si vuole indurre la risposta immunitaria (producendo anticorpi che, conseguentemente, saranno attivi contro il virus).
Vaccino a Dna: il meccanismo è simile al vaccino a Rna. In questo caso viene introdotto un frammento di Dna sintetizzato in laboratorio in grado d’indurre le cellule a sintetizzare una proteina simile a quella verso cui si vuole indurre la risposta immunitaria.
Vaccino proteico: utilizzando la sequenza Rna del virus (in laboratorio), si sintetizzano proteine o frammenti di proteine del capside virale. Conseguentemente, iniettandole nell’organismo combinate con sostanze che esaltano la risposta immunitaria, si induce la risposta anticorpale da parte dell’individuo.
Quali le vaccinazioni ‘prioritarie’?
Operatori sanitari e sociosanitari. Gli operatori sanitari e sociosanitari ‘in prima linea’, sia pubblici che privati accreditati, hanno un rischio più elevato di essere esposti all’infezione da Covid-19 e di trasmetterla a pazienti suscettibili e vulnerabili in contesti sanitari e sociali. Inoltre, è riconosciuto che la vaccinazione degli operatori sanitari e sociosanitari in prima linea aiuterà a mantenere la resilienza del servizio sanitario.
Residenti e personale dei presidi residenziali per anziani (Rsa). Un’elevata percentuale di residenze sanitarie assistenziali (Rsa) è stata gravemente colpita dal Covid-19. I residenti di tali strutture sono ad alto rischio di malattia grave, a causa dell’età avanzata, la presenza di molteplici comorbidità e la necessità di assistenza per alimentarsi e per le altre attività quotidiane.
Persone di età avanzata. Un programma vaccinale basato sull’età è generalmente più facile da attuare e consente di ottenere una maggiore copertura vaccinale. È anche evidente che un programma basato sull’età aumenti la copertura anche nelle persone con fattori di rischio clinici, visto che la prevalenza di comorbidità aumenta con l’età. Pertanto, considerata l’elevata probabilità di sviluppare una malattia grave e il conseguente ricorso a ricoveri in terapia intensiva o sub-intensiva, questo gruppo di popolazione rappresenta una priorità per la vaccinazione. Già giungono notizie ufficiali che in alcune Rsa tedesche – la conferma viene proprio dall’ex segretario di stato alla Salute – sia iniziata la distribuzione del vaccino ‘a sorteggio’, vista la scarsità delle dosi a disposizione.
Questo, comunque, il calendario che si sta seguendo nel nostro Paese:
- Gennaio/Marzo: medici, infermieri, operatori sociosanitari, degenti nelle Rsa e ultra80enni.
- Aprile/Giugno: pazienti con patologie croniche a rischio e immunodeficienza, personale scolastico a rischio e over60.
- Luglio/Settembre: completamento del personale scolastico, persone con patologie croniche a medio rischio, lavoratori delle forze dell’ordine.
- Ottobre/Dicembre: completamento della copertura vaccinale sul resto della popolazione senza vincoli di età né di condizioni di salute.
La somministrazione
Il vaccino Pfizer/BioNTech – che attualmente si usa in Italia – può essere somministrato solamente ai cittadini con più di 16 anni. Servono due dosi per ogni persona: la prima viene somministrata in quello che viene definito giorno zero, la seconda dopo almeno 21 giorni. A ciascun vaccinato verrà consegnata una scheda promemoria con la data per la seconda somministrazione. La dose è di 0,3 millilitri (che contengono 30 microgrammi di vaccino a mRna contro Covid-19, incapsulato in nanoparticelle lipidiche) e viene somministrata con un’iniezione intramuscolare, da effettuare sul muscolo deltoide, nella parte superiore del braccio. Al momento, non sono disponibili dati sull’intercambiabilità del vaccino Pfizer con altri vaccini, dunque dopo la prima dose i pazienti dovranno riceverne una seconda dello stesso tipo per completare il ciclo di vaccinazione. A ciascuno dei vaccinati verrà fornita una scheda promemoria per la tracciabilità con la data in cui dovrà tornare per la seconda somministrazione.
La conservazione
Il vaccino va conservato in un congelatore, tra -90° e -60°, nella sua confezione originale per proteggerlo dalla luce: le fiale, infatti, devono essere esposte in maniera ridotta alla luce ambientale e ancor meno a quella solare diretta. Una volta scongelate possono essere invece messe sotto la luce ambientale. Una volta estratta dal congelatore la fiala va scongelata per l’uso, poi va messa di nuovo in congelatore per altre due ore, prima di essere estratta di nuovo. Poi possono essere tenute tra 2° e 8°, con lo scongelamento della confezione da 195 fiale che richiede fino a tre ore. In alternativa possono essere scongelate per 30 minuti a temperatura non superiore ai 30° in caso di uso immediato. Bisogna attendere che il flaconcino scongelato raggiunga la temperatura ambiente, quindi va capovolto delicatamente per 10 volte prima della diluizione senza agitarlo. Prima della diluizione, la dispersione scongelata può contenere particelle amorfe opache di colore da bianco a biancastro.
A quel punto il vaccino va diluito nel suo flaconcino originale con 1,8 ml di soluzione iniettabile di sodio cloruro da 9 mg/ml, con un ago calibro 21 o più sottile. Bisogna quindi aspirare l’aria (1,8 ml) e il vaccino diluito dovrebbe essere di un colore biancastro, senza particelle visibili: in presenza di particelle o in caso di alterazione del colore, il vaccino diluito va buttato. Dopo la diluizione va annotata la scadenza dei flaconcini. Una volta diluito, il flaconcino contiene 2,25 ml, cioè 5 dosi da 0,3. Va aspirata la dose necessaria di 0,3 ml e l’eventuale vaccino non utilizzato va buttato entro sei ore dalla diluizione. L’Aifa ha successivamente autorizzato l’utilizzo di 6 dosi per ogni flaconcino.
Dopo la vaccinazione si raccomanda un attento monitoraggio per almeno 15 minuti. Non somministrare la seconda dose del vaccino a soggetti che abbiano manifestato reazione allergica alla prima dose del vaccino Pfizer. In associazione alla vaccinazione possono verificarsi reazioni correlate all’ansia, incluse reazioni vasovagali (sincope), iperventilazione o reazioni correlate allo stress, come risposta psicogena all’iniezione con ago. È importante che vengano adottate precauzioni per evitare lesioni da svenimento. La vaccinazione deve essere rimandata nei soggetti affetti da uno stato febbrile acuto severo o da un’infezione acuta. La presenza di un’infezione lieve e/o di febbre di lieve entità non deve comportare il rinvio della vaccinazione.
La sicurezza del vaccino è stata valutata in soggetti di età pari o superiore a 16 anni nel corso di 2 studi clinici che hanno coinvolto 21.744 partecipanti i quali hanno ricevuto almeno una dose. Le reazioni avverse più frequenti sono state dolore in sede di iniezione (>80%), stanchezza (>60%), cefalea (>50%), dolori muscolari e brividi (>30%), dolori articolari (>20%), febbre e tumefazione in sede di iniezione (>10%). Tali reazioni sono state generalmente di intensità da lieve a moderata e si sono risolte entro pochi giorni dalla vaccinazione. Una frequenza leggermente inferiore di reazioni di reattogenicità è stata associata ad un’età maggiore.
La certificazione
Chi si vaccinerà contro il Covid riceverà una sorta di ‘patentino’. La novità è stata annunciata già un mese e mezzo fa dal commissario all’emergenza Domenico Arcuri: “stiamo progettando una piattaforma informatica che consentirà di gestire – ha spiegato Arcuri – la verifica della somministrazione per sapere come si chiamano le persone che hanno fatto il vaccino e dove lo hanno fatto”. Sarà il Ministero della Salute a stabilire i dettagli di questo ‘certificato di vaccinazione’, e comunque il Ministero conferma che viene rilasciata in ogni caso una normale certificazione di avvenuta vaccinazione. E anche l’Oms Europa guarda alla possibilità di “lavorare con gli Stati membri per ottenere qualcosa come un certificato internazionale digitale di vaccinazione”, annunciano gli esperti dell’Organizzazione. “Stiamo esaminando molto da vicino l’uso della tecnologia nella risposta al Covid 19 e uno degli aspetti è come possiamo lavorare con gli Stati membri verso qualcosa come un certificato di vaccinazione elettronico”, annuncia Siddhartha Datta, esperto di vaccini dell’Oms Europa. E intanto a Los Angeles l’hanno già introdotto dall’inizio del 2021. Insomma, la volontà di ‘risolvere’ il problema Covid-19 c’è tutta ma, come si dice, ‘tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare’. L’ostacolo più grande rimane nel nostro paese quello organizzativo, in parte legato al discorso degli ipercongelatori, ma anche alla mancanza di personale dedicato e a sedi idonee alla vaccinazione ‘ripetuta’ di oltre 60 milioni di cittadini.
A sentire Covax, la rete mondiale cui aderiscono 172 Paesi, creata in ambito Onu per facilitare l’accesso ai vaccini che dovrebbe garantire un’equa distribuzione di dosi gratuite a livello mondiale “in Africa le infrastrutture sono carenti e pochi i centri di stoccaggio e distribuzione. Soprattutto, mancano ancora i fondi necessari per la distribuzione gratuita”. È difficile capire se e quando i vaccini riusciranno ad arrivare gratuitamente in Africa: per vaccinare il 60% della popolazione africana, e quindi creare l’immunità di gregge, ci sarebbe bisogno di un miliardo e mezzo di dosi, ossia di una cifra compresa tra i 7 e i 10 miliardi di dollari. E per ora il fondo Covax dispone di due miliardi. Il vaccino attualmente disponibile richiede poi una refrigerazione tra -20° e -70°, e molti Paesi dell’Africa non la possono garantire. E serviranno centri di raccolta e distribuzione sul territorio, nonché personale addestrato: “che in Africa manca del tutto – spiegano gli esperti – e temiamo che ci vorrà molto tempo”. E la situazione non è molto diversa in tanti Paesi sudamericani.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di gennaio/febbraio di eastwest.