[ANKARA] Esperta in Turkish Politics e Relazioni Internazionali, è docente presso l’Università dell’Aereonautica Turca di Ankara e direttore scientifico di Osservatorio Turchia del Cespi.
La Turchia in bilico tra est e ovest
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La Turchia del Presidente Erdoğan continua a far parlare di sé e a sollevare critiche nell’opinione pubblica. Da tempo, il Paese registra un certo dinamismo sia negli affari interni che su dossier internazionali che, tuttavia, destano non poche preoccupazioni. Da ultima, la fuoriuscita dalla Convenzione di Istanbul che, accendendo massive proteste interne, ha avviato profondi dibattiti sul rispetto dei vincoli internazionali e sullo stato della democrazia turca. Alla decisione, che sostanzialmente contraddice ogni spirito liberale di tutela delle donne, sono seguite altre mosse di politica interna finalizzate a ricompattare l’elettorato attorno a Erdoğan e al suo partito, ormai in crisi di consensi. Dopo l’avvio del sistema presidenziale nel 2018, la Turchia si é trovata a fare i conti con una sintesi più smaccatamente conservatrice e nazionalista, che mina ogni interpretazione inclusiva del gioco politico e la credibilitá del Paese come partner affidabile.
Politica interna ed economia
Il posizionamente regionale e internazionale di Ankara é oggi perfettamente sovrapponibile alle dinamiche di politica domestica: ogni proclamo, ogni mossa, ogni retorica é da leggere in funzione del contesto interno e di precisi calcoli strategici. L’orgoglio nazionale, il richiamo alla bandiera, alla patria e alla nazione diventano, dunque, postulati necessari a ricompattare l’elettorato attorno al programma politico del Presidente e dei suoi alleati. Sebbene le simpatie verso l’Alleanza del Popolo composta dall’AKP e dal MHP siano in costante calo, l’obiettivo é mantenere la maggioranza in vista delle prossime elezioni in programma nel 2023, anno in cui si celebrerá non solo il centesimo anniversario della fondazione della moderna Repubblica di Turchia, ma anche il compimento del progetto di Erdoğan di sostituire in gloria Mustafa Kemal Atatürk.
Più recentemente hanno destato un certo stupore le dichiarazioni relative alla stesura di una nuova Costituzione, volta a sostituire quella imposta manu militari nel 1982, e alla dichiarata volontá di avviare riforme in chiave liberale perché “il futuro della Turchia é in Europa”, puntualmente disattese da retoriche e manovre che contraddicono ogni zelo democratico. La preannunciata chiusura del partito filocurdo di opposizione HDP e la relativa sospensione dell’immunitá parlamentare di alcuni suoi membri; la ripetuta rimozione dei vertici della Banca Centrale, colpevoli di aumentare i tassi di interesse pur di risanare l’economia; la presentazione del mega-progetto Kanal Istanbul e i successivi arresti di un cospicuo numero di ammiragli difensori dei principi di Atatürk e della Convenzione di Montreaux che regola gli Stretti, sono tutti esempi che vanno letti in questa direzione e perfettamente in linea con il progetto del Presidente di forgiare una Nuova Turchia, più conservatrice e nazionalista.
Erdoğan é un leader indebolito e il suo AKP, ridotto ad essere un partito dal mero carattere identitario, non é più in grado di rispondere efficacemente alle richieste provenienti dalla societá. Lo scollamento tra i vertici istituzionali e la costituency é evidente e palpabile a diversi livelli. I turchi stanno soffrendo molto per la congiuntura economica vissuta dal Paese: i tassi di inflazione a doppia cifra mostrano criticitá evidenti, il costo della vita é aumentato vertiginosamente e quella che negli ultimi vent’anni é stata una consuming society sta pagando il caro prezzo di non aver risparmi a cui attingere per risanare le finanze. In un quadro cosí drammaticamente critico, la lira é fortemente svalutata su dollaro ed euro, esito anche della poco razionale visione economica del Presidente, che mira a mantenere inviariati i tassi di interesse, considerati “la causa di tutti i mali”, presentando la crescita di produttivitá come un fattore di forza. In fondo, la Turchia nell’ultimo trimestre del 2020 ha registrato un incremento del Pil di circa il 2% e una crescita del 5.9%, vantando un primato, secondo solo alla Cina (6,5%), tra i Paesi del G20.
Al netto di tutto, l’economia si é dimostrata soprendenetmente resiliente e capace di non farsi piegare dagli scossoni della svalutazione anche grazie ai cospicui investimenti esteri e al grado di fiducia che gli investitori stranieri mostrano verso il Paese. Nel micro, però, alle sempre più evidenti difficoltá a sbarcare il lunario, si aggiunge il dramma della pandemia Covid-19: la Turchia, pur avendo avviato una massiva campagna vaccinale basata prevalentemente sulla somminstrazione del cinese Sinovac, é oggi travolta dalla terza ondata di contagi che ha portato all’adozione di più stringenti misure restrittive e all’applicazione di nuovi lock-down. E’ anche su questo aspetto che il grado di fiducia pubblica verso Erdoğan si sta sgretolando. Nel tempo, la distanza tra il centro del potere e la base sociale si é progressivamente ampliata, esaperando le criticitá.
Le dinamiche internazionali
Se questo é il quadro endemico di un Paese sempre più polarizzato e fratturato sul dividing “pro – contro” Erdoğan, tali dinamiche hanno una prorompente risonanza anche a livello internazionale. La Turchia é certamente un attore dall’importanza strategica per i maggiori key players, ma la sua credibilitá come partner affidabile sembra compromessa da più parti. Mentre il Presidente americano Biden giá in precedenza si era espresso con toni negativi nei riguardi di Erdoğan e della sua amministrazione, oggi tra le parti regna un silenzio quasi imbarazzante, segno di una condanna verso la politica turca, ormai troppo lontana dai canoni liberali. Dati i rispettivi interessi e la comune appartenenza alla Nato, Washington ed Ankara sono destinate a cooperare, tuttavia nei salotti occidentali vi é una rinnovata attenzione sugli aspetti sostanziali della logica democratica, tallone di Achille delle politiche turche.
Una certa soggezione é evidente anche in seno all’Unione europea, i cui canali di comunicazione con la Turchia sono aperti e continui su diversi dossier, tra cui spicca l’accordo sui migranti; l’ammodernamento dell’Unione Doganale; il processo di liberalizzazione dei visti di ingresso per i cittadini turchi, senza contare l’ancora vigente negoziato di adesione. Il rilancio dei rapporti in chiave europea é stato più volte annunciato da ambo le parti e in questa direzione vi sono mutue aspettive, fermo restando che la comunicazione e la retorica politica sono un fattore importante nelle negoziazioni. In tal senso, il più recente ̋sofagate”, per quanto prodotto di maldestre gestioni protocollari, non avrebbe, in altri tempi, verosimilmente sollevato un polverone a scapito della Turchia e del suo Presidente. Anche in questioni su cui Ankara agirebbe in base a legittimi interessi, infatti, l’immagine di un Paese che viola gli standard internazionali, mina ogni tentativo di risoluzione. Da qui il grande criticismo per le attivitá di esplorazione nel Mediterreno orientale, dove la Turchia é di fatto il Paese con la più lunga linea costiera, oltre ad ergersi a garante della comunitá turco-cipriota, e l’applicazione di sanzioni per la cooperazione missilistica con Mosca, che hanno contribuito all’isolamento di Ankara dal blocco occidentale.
Senza dubbio, mantenere gli equilibiri in una tale posizione geo-politica non é affare semplice: percepita dal lato Nato come l’anello debole dell’Alleanza per il suo allineamento con la Russia, Ankara é allo stesso tempo considerata eccessivamente filo-atlantica dai partner di Astana; inoltre, il supporto accordato all’Ucraina e lo stop dei voli provenienti dalla Russia conferma la fragilitá delle simmetrie. D’altra parte, le potenzialitá e opportunitá della Turchia sono molte e sarebbero declinate al meglio in un’ottica pienamente liberale, che riabiliterebbe Ankara nell’indiscutibile ruolo di fidato interlocutore dell’Occidente.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di maggio/giugno di eastwest.