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Bengasi, dalla guerra civile al piano di ricostruzione  


Conversazione con il direttore del Benghazi Salam Center, Faraj Najem, sul grande progetto di ricostruzione della città, presentato il 17 giugno scorso e precedentemente approvato dal Comune di Bengasi

In occasione della mia ricerca in Cirenaica e della presentazione del mio lavoro sulle storie intrecciate della colonizzazione agricola della Sicilia e della Libia, al Salam Center di Bengasi, lo scorso 22 giugno, ho intervistato il direttore del centro e Professore di Governance all'Università di Bengasi, Faraj Najem.

Vorrei iniziare questa conversazione cercando di riassumere i momenti e le ragioni più importanti della guerra civile cominciata nel 2014, e vorrei farlo proprio dalla collocazione spaziale in cui ci troviamo, e cioè dal punto di vista della città di Bengasi, dai suoi edifici rappresentativi e delle sue aree urbane. Quindi, forse un buon punto di partenza potrebbe essere l'edificio Al Da'waa al-Islamiya, trasformato nel 2014 dalla sua originaria funzione commerciale nel nuovo Parlamento libico. Per quanto ho capito della guerra, questa trasformazione parla di un punto nodale al centro del conflitto, cioè della richiesta della Cirenaica di una divisione o distribuzione spaziale tra potere esecutivo e legislativo tra Tripoli e Bengasi, giusto? Questa divisione dei poteri tra le due città è il fulcro della proposta di Bengasi di un'unità federale tra le due regioni? Inoltre, la Costituzione libica del 1951 e la Costituzione modificata del 1963 prevedevano due capitali?

La guerra è stata innescata fondamentalmente da estremisti islamici guidati dall'ISIS e da un'altra organizzazione locale chiamata Insar Sharia [campioni o sostenitori dell'attuazione della legge della Sharia], oltre ad altre milizie per procura che desideravano realizzare la profezia di avere uno  stato islamico fondato sulla sharia. Ciò è, tuttavia, contrario agli insegnamenti dell'Islam di cui i libici hanno goduto sin dalla conquista araba islamica nel V secolo. Gli estremisti sono stati schiacciati prima dal fervore della gente della Cirenaica e poi dall'Esercito Nazionale Libico (LNA), che col tempo è cresciuto di forza ed ha esteso la sua supremazia su gran parte o non meno del 70-80% della Libia.

Per quanto riguarda l'edificio al-Da'waa al-Islamiya che è stato duramente colpito dagli estremisti islamici, una volta rilevato dall'LNA è stato restituito ai legittimi proprietari. Questi, dopo averlo ristrutturato, lo hanno poi affittato al Parlamento, divenendo così la casa della costituzione fino a quando non ne verrà costruita una propria. Gli occupanti precedenti, commercialisti e gestori di altre attività, allo scoppio del conflitto, nel 2014, si erano già stabiliti in altri luoghi, come la nuova strada commerciale di Venicia o Dubai St. Così facendo, l'istituzione del Parlamento ha consolidato, e rivendicato per il futuro, lo stato di confederazione di cui la Libia, o almeno in Cirenaica, gode dal 2014, contro il secolare centralismo basato nell'ovest del Paese.

In effetti, dalla rivolta popolare che ha portato alla guerra civile che ha deposto Gheddafi [2011], la gestione del potere, cioè chi dovrebbe ottenere cosa, è diventata oggetto di contesa tra Oriente e Occidente, in risposta al fallimento della gestione statale e del centralismo che hanno attanagliato Tripoli negli ultimi 50 anni. Tripoli ha negato l'autogoverno della Cirenaica, la gestione delle sue finanze, e ha rifiutato lo status di capitale di Bengasi – insieme a Tripoli – come decretato nell'articolo 188 del patto di indipendenza, e questo a sua volta ha portato all'aspra rivalità in cui viviamo.

Ci sono altri edifici o zone della città cruciali e più rappresentative della guerra? Il porto e l'aeroporto, ad esempio, sono stati punti nodali per la resistenza della città e della regione. E il centro storico?

Il porto della Giuliana e il centro di Bengasi sono stati occupati dall'ISIS e dai suoi alleati, e sono stati utilizzati per ricevere armi e combattenti provenienti dall'ovest della Libia, in particolare Misurata, utilizzati anche per spostare i loro feriti in paesi come la Turchia, l'Italia e altrove per emergenze mediche utilizzando gli aeroporti di Misurata e Tripoli.

L'aeroporto di Benina, invece, non sono riusciti a prenderlo grazie alla forte resistenza opposta dall'LNA e dalla gente del posto che è stata irremovibile sulla difesa del proprio quartiere. Lo scontro finale nella città vecchia, dove l'ISIS era radicato, ha portato a gran parte della sua distruzione. Anche le mine e le trappole esplosive che vi ha lasciato sono state dannose per lo stato finale dell'area, antica e martoriata da decenni di abbandono e mancanza di restauro già da molto prima del conflitto.

Il vecchio mercato di Bengasi. Foto Maria Luisa Palumbo

Visitando Bengasi con te, ho avuto l'impressione che le tribù non solo siano ancora una parte vitale della società libica, ma siano anche profondamente inscritte nello spazio della città, con quartieri abitati da diverse tribù... Questa struttura socio-spaziale ha influenzato il modo in cui si è svolta la guerra? C'era una relazione tra le linee del fronte ed i confini tra diversi clan sociali?

Non credo che questa sia un'osservazione accurata né una caratterizzazione precisa della demografia di Bengasi rispetto alla topografia. Da persona che la vive e l'ha studiata da vicino, Bengasi è l'unica città in Libia che è un vero miscuglio di tutti i tipi di libici e non ricordo una sola strada dominata da una sola famiglia. Certo, ci sono eccezioni, come i villaggi che circondavano la grande Bengasi, ma storicamente anche gli ebrei di Bengasi, che se ne andarono nel 1967, non hanno mai avuto un proprio ghetto come a Tripoli. Ciononostante, ci sono terre tribali nelle campagne e, a volte, ci sono dispute su di esse ma in modo simile a come i proprietari terrieri discuterebbero sulla proprietà in altre parti del mondo.

Nel 2019, prima della fine della guerra, la società di consulenza greca LEAD Engineering è stata incaricata di preparare un piano di visione concettuale per il futuro della città, valutando i danni maggiori e proponendo un quadro per la pianificazione futura. Questo piano, rivisto e aggiornato, è stato presentato il 17 giugno dopo la sua approvazione da parte del Comune di Bengasi. Il piano comprende una serie di piani d'azione più dettagliati per aree selezionate, nonché una serie di proposte per progetti infrastrutturali di “soccorso immediato” e dei piani pilota di attuazione per una serie di aree abitative spontanee (non autorizzate). Puoi dirmi di più su questo piano?

I negoziati tecnici sono iniziati anni prima del 2019. Nel 2019, una delegazione del governo guidata dal governatore della Banca centrale della Libia (CBL) (che era anche il presidente del Comitato di Stabilizzazione e Ricostruzione insediato con decreto parlamentare), e comprendente il  sindaco della città e altre importanti figure civili rappresentanti la comunità imprenditoriale di Bengasi, come banchieri, ingegneri, architetti e gli altri stakeholder, senza alcuna rappresentanza dei militari, hanno commissionato il piano. Io facevo parte di questa delegazione in rappresentanza del Centro Salam.

Il piano si occupa dell'urbanizzazione della città ma anche delle abitazioni abusive e delle baraccopoli, dell'ambiente, compresi i sette laghi, del trattamento delle acque reflue e del progetto di infrastrutture per la mobilità in grado di rendere la città una “città mediterranea vitale e intelligente.” Il piano è stato presentato a tutte le parti interessate e alle autorità competenti, ovvero all'Agenzia di pianificazione urbana, il Catasto, l'Agenzia per gli alloggi, l'LNA e molti altri. La prima risposta positiva e accogliente è stata quella del LNA.

Gli interventi effettuati nei quartieri di edilizia popolare degli anni '70, fanno parte delle azioni di soccorso immediato? E la pista da corsa della Giuliana? Entrambi sembrano interventi necessari e ben accolti...

Come ho capito da coloro che sono coinvolti nella ricostruzione, soltanto il cielo è il limite alla modernizzazione della città. I quartieri più poveri che sono stati costruiti negli anni 60', 70' e 80' stanno subendo un restyling, con la realizzazione di aree verdi ed aree giochi per i bambini per aiutare a superare le cicatrici della guerra. Per tutti gli altri, per la prima volta la città ha una pista di atletica secondo gli standard per chi vuole tenersi in forma correndo o passeggiando attorno al famoso Lago della Giuliana. Anche l'area sportiva degli stadi di Bengasi sta subendo un rinnovamento radicale. Inoltre, stanno costruendo un numero record di sei ponti in città per far fronte alla crescente congestione del traffico e all'inquinamento, che dovrebbero essere completati entro la fine del 2023. Inoltre, non bisogna dimenticare i lavori in corso alla madre delle università libiche – l'Università di Bengasi – che ha sofferto molto [durante la guerra] come documentato dal fotografo italiano Giovanni Diffidenti subito dopo la sua liberazione nel 2018.

 

 

L'Università di Medicina a Bengasi. Foto Maria Luisa Palumbo

Un'altra questione specifica ha a che fare con il patrimonio storico. So che ci sono state critiche sulle demolizioni di ciò che restava del patrimonio edilizio dell'era coloniale italiana. Vedo un nodo difficile lì, non a causa delle demolizioni in sé, ma perché la ricostruzione dovrebbe probabilmente richiedere una discussione più collettiva...

Assolutamente, dovrebbero esserci discussioni e consulenze su questioni critiche come questa. Tuttavia, sono stati demoliti soltanto pochissimi edifici importanti che per lo più risalivano al periodo del boom architettonico fascista tra gli anni '20 e la Seconda Guerra mondiale, edifici duramente colpiti durante la recente “guerra al terrore” come il Teatro Berenice e la Banca d'Italia, e altri che dovevano essere demoliti anche prima del 2011 come il complesso dell'Assicurazione. D'altra parte, con l'aiuto del Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP) in Libia, ci sono stati continui e riusciti tentativi da parte dell'autorità cittadina di rinnovare il Parlamento della Cirenaica, la Cattedrale di Bengasi e parte del Palazzo del Governatore, noto come Qasr al-Manar, nonostante l'ostacolo e il congelamento del denaro da parte dell'autorità centrale di Tripoli.

La domanda da porsi è: perché il governo centrale di Tripoli, che ha costituito un fondo per la ricostruzione di Bengasi e Derna con un budget di 1,5 miliardi di dinari libici, ha dato disponibilità soltanto per 79 milioni, passando attraverso l'estenuante burocrazia tripolitana?

Capisco che la portata della distruzione e quindi l'obiettivo della ricostruzione è enorme, e che è necessario muoversi rapidamente e affrontare le profonde cicatrici che la guerra ha lasciato sulla città e sulla sua gente, ma l'aspetto finanziario del progetto?

A Bengasi abbiamo aperto con successo ed in modo autosufficiente il primo terminal aeroportuale finanziato privatamente (Berniq) attraverso il primo B.O.T [Build-operate-transfer, un metodo di consegna del progetto in cui un'entità privata riceve una concessione dal settore pubblico] nella storia degli investimenti libici. Parlando della compagnia aerea Berniq, questa ha la flotta più grande della Libia, anche più grande delle compagnie di bandiera nazionali, e vola su tutti i porti libici a differenza delle altre. Pertanto, dobbiamo aprire la regione della Cirenaica come modello per il resto del Paese, accogliendo investitori e sviluppatori da tutto il mondo. Ciò dovrebbe portare a ragionare sulla vendita dei beni pubblici, la deregolamentazione, l'apertura di monopoli di stato a una maggiore concorrenza, le forme di appalto, la fornitura privata di servizi pubblici, i progetti di capitale congiunto che utilizzano finanziamenti pubblici e privati, e la riduzione dei sussidi o l'introduzione di diritti di utenza. Tutto questo, a sua volta, richiede una legislazione speciale, riforme bancarie e contributi specialistici e professionali a livello internazionale dall'esterno, in particolare dai nostri vicini, come il nostro primo partner commerciale – l’ Italia –  e l’Egitto, l’Arabia Saudita,  gli Emirati Arabi Uniti, la Grecia e altri.

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