E’ precipitato il consenso a Biden da parte della comunità araba in America, il Presidente ha necessità che finisca la guerra, non solo per ragioni umanitarie, ma anche economiche e politiche, vista la frattura all’interno del suo partito sul conflitto
I media hanno riportato con enfasi e quasi con sorpresa, la notizia che il segretario di Stato americano, Antony Blinken, si sia fatto preparare un dossier dai suoi collaboratori con tutte le opzioni possibili per la risoluzione del conflitto a Gaza e per prepararsi al dopo, comprese quelle del riconoscimento dello Stato di Palestina, non usare il veto per impedire al Consiglio di Sicurezza di ammettere la Palestina come stato membro dell’Onu e incoraggiare altri paesi a riconoscerla.
Alla notizia americana, anche l’omologo inglese di Blinken, David Cameron, ha annunciato la stessa possibilità per il regno dei Windsor. Dopotutto sia gli americani che gli inglesi sono tra quei popoli che formalmente non riconoscono ancora lo stato di Ramallah e gli americani in particolare hanno usato spesso il loro diritto di veto al Consiglio di Sicurezza dell’Onu per bloccare molte risoluzioni che riguardano l’unica e ibrida figura palestinese all’interno del consesso internazionale.
La questione dello status palestinese è uno di quegli ostacoli fondamentali al processo di pace. Nel 1974 la risoluzione 3236 dell’assemblea generale delle Nazioni Unite riconosce ai palestinesi il diritto all’autodeterminazione e all’indipendenza e sovranità attraverso uno Stato proprio. Nell’occasione si riconosce nell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp) l’interlocutore privilegiato tra Nazioni Unite e gli altri paesi, con i palestinesi.
Quattordici anni dopo, nel novembre 1988, la stessa Olp proclamò la nascita dello stato palestinese, che fu riconosciuto da una settantina di stati. Con gli accordi di Oslo di trent’anni fa nacque l’Autorità nazionale Palestinese, l’ente che amministra il territorio palestinese che fu diviso in tre aree: l’area A sotto il totale controllo dell’Anp, la B sotto controllo militare israeliano e la C sotto controllo civile e militare israeliano.
Nel 2012, con la risoluzione 67/19, l’Assemblea generale dell’Onu (che nel 1988 con altra risoluzione aveva accettato la dichiarazione di indipendenza palestinese, utilizzando così il nome “Palestina” invece di quello dell’Olp) ha riconosciuto alla Palestina lo status di osservatore all’interno delle Nazioni Unite. Ad oggi sono 139 su 193 gli stati membri dell’Onu che riconoscono la Palestina come stato. L’Italia, come Stati Uniti, Spagna, Inghilterra e altri, non ancora. Però in Italia c’è una ambasciata palestinese al cui capo viene riconosciuto il rango di ambasciatore. Di contro, l’Italia non ha una sua ambasciata nei territori palestinesi, ma il Console generale italiano a Gerusalemme funge come una sorta di ambasciatore presso Ramallah.
Il presidente Trump oltre a decidere di spostare l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, riconoscendo la città santa capitale d’Israele come previsto nelle leggi fondamentali del paese ebraico e di fatto chiudendo il consolato a Gerusalemme che serviva i palestinesi, oltre a bloccare i finanziamenti alle organizzazioni internazionali che aiutavano la Palestina, decise anche di chiudere l’ambasciata palestinese a Washington. Una volta eletto, Biden, promise di ripristinare tutte queste cose, ma ad oggi non è stato fatto.
La guerra a Gaza, con il continuo aiuto americano e anche appoggio politico a Israele, ha fatto il resto, allontanando sempre più palestinesi e arabi dagli Stati Uniti. Se n’è accorto lo staff che a Biden sta curando la campagna elettorale presidenziale, notando che il consenso ricevuto nella passata consultazione da parte della comunità araba americana, è sceso vertiginosamente.
I dati sono stati resi noti in occasione della visita di Biden in Michigan, dove è forte la presenza degli arabi, stato fondamentale dove nel 2020 Biden vinse non di molto. Secondo gli exit poll dell’Associated Press, Biden ha ottenuto il 64% dei voti musulmani nel 2020 e Trump il 35%. Ma il sostegno a Biden tra gli elettori arabo-americani è crollato ad appena il 17% in ottobre, subito dopo l’inizio della guerra, con il 25% che secondo un sondaggio condotto dall’Arab American Institute afferma di non essere sicuro per chi avrebbe votato se le elezioni si fossero svolte in quel momento. E’ chiaro che quindi il presidente americano voglia spingere su questo punto del riconoscimento palestinese per recuperare terreno.
Ma Biden ha anche necessità che finisca la guerra, non solo per ragioni umanitarie, ma anche economiche e politiche, vista la frattura all’interno del suo partito sul conflitto. La mossa di annunciare il possibile riconoscimento dello stato palestinese è una chiara pressione su Netanyahu affinché cambi strategia nella guerra.
I palestinesi sanno bene che è solo politica, anche perché conoscono i limiti internazionali di questa faccenda. Ramallah ha infatti problemi ad adempiere appieno ai dettami della convenzione internazionale di Montevideo del 1933, che stabilisce i criteri di riconoscibilità di uno stato. Convenzione che è importante ma che non dirime e detta le uniche regole al riconoscimento di una nazione come Stato.
Per la Convenzione di Montevideo gli attributi classici che uno Stato deve possedere per essere considerato tale sono: deve avere una sovranità effettiva su un territorio delimitato, una popolazione stabile, un insieme di istituzioni in grado di rispondere ai bisogni dei suoi cittadini, e essere riconosciuto come suo pari dagli altri Stati.
La Palestina è inclusa in quelli con sovranità limitata, dal momento che l’Anp è un ente amministrativo che governa su un arcipelago, visto che il territorio palestinese è occupato da un lato dalle colonie israeliane, dall’altro da una entità che amministra e governa autonomamente una porzione di territorio palestinese, cioè Hamas a Gaza. Per assurdo, secondo la stessa convenzione, se si trovasse un accordo garantendo una sorta di extraterritorialità alle colonie israeliane (come le proprietà vaticane in Italia), rimarrebbe il problema, per i palestinesi, di Hamas che governa e amministra in autonomia una loro porzione di territorio.
Ma il riconoscimento dello stato palestinese, prima di essere formale e portare alla creazione dello Stato vero e proprio, è sicuramente politico. E in questo conflitto è necessario che la politica faccia appieno la sua parte per far finire la guerra e il conteggio delle vittime civili.
I media hanno riportato con enfasi e quasi con sorpresa, la notizia che il segretario di Stato americano, Antony Blinken, si sia fatto preparare un dossier dai suoi collaboratori con tutte le opzioni possibili per la risoluzione del conflitto a Gaza e per prepararsi al dopo, comprese quelle del riconoscimento dello Stato di Palestina, non usare il veto per impedire al Consiglio di Sicurezza di ammettere la Palestina come stato membro dell’Onu e incoraggiare altri paesi a riconoscerla.
Alla notizia americana, anche l’omologo inglese di Blinken, David Cameron, ha annunciato la stessa possibilità per il regno dei Windsor. Dopotutto sia gli americani che gli inglesi sono tra quei popoli che formalmente non riconoscono ancora lo stato di Ramallah e gli americani in particolare hanno usato spesso il loro diritto di veto al Consiglio di Sicurezza dell’Onu per bloccare molte risoluzioni che riguardano l’unica e ibrida figura palestinese all’interno del consesso internazionale.