Il compito di ricucire socialmente gli Stati Uniti è una sfida epocale per l'amministrazione Biden, forse impossibile. Possono essere d'aiuto le politiche Ue?
Il compito di ricucire socialmente gli Stati Uniti è una sfida epocale per l’amministrazione Biden, forse impossibile. Possono essere d’aiuto le politiche Ue?
Dopo la tumultuosa uscita di scena di un recalcitrante Presidente Trump, che nei conati finali del proprio mandato è riuscito nella difficile impresa di far pericolosamente assomigliare a una incancrenita dittatura quell’America che fino a poco tempo prima era universalmente riconosciuta come l’incontrastata guida delle democrazie del mondo, gli Stati Uniti, e insieme a loro l’intero Occidente, guardano ora con fiducia al suo successore, il Presidente Joe Biden. Sperano infatti che egli possa compiere in breve tempo il miracolo di rimettere insieme un Paese profondamente diviso, riportandolo altresì sulla strada di costruttiva moderazione indicata dai Padri Fondatori americani nella loro Costituzione.
Il cammino che dovrà compiere il Presidente Biden si presenta però se non impossibile perlomeno particolarmente difficile. Sgombriamo innanzitutto il campo dall’idea che Trump e il suo modo di affrontare vita e politica siano stati un fenomeno temporaneo e isolato che ha ormai raggiunto il proprio apice ed espresso tutto quello che poteva esprimere. Non è affatto così.
Trump e il “trumpismo” sono invece soltanto i sintomi apparenti di un malessere ampiamente condiviso da buona parte della popolazione americana, quella parte che lo ha inviato una prima volta alla Casa Bianca quattro anni fa e che poi è arrivata molto vicina a farlo eleggere una seconda volta nel corso della recente consultazione.
Trump non è quindi la causa della malattia, ne è invece soltanto un sintomo, anche se la natura dell’uomo e la sua disinvoltura eccessiva nell’affrontare gli affari dello Stato conferiscono alla situazione un ulteriore elemento di pericolosità che rende indispensabile riuscire ad interdire in una maniera o nell’altra all’ex Presidente la continuazione di una carriera politica che potrebbe costare all’America in futuro prezzi ancora più alti di quelli che essa ha già pagato nel corso degli ultimi quattro anni.
Premesso questo, occorre quindi rendersi conto di quali realmente siano i problemi che hanno originato il trumpismo e per farlo gli Stati Uniti, e Biden per loro, debbono innanzitutto compiere un esame di coscienza che potrà, come tutti gli esercizi del genere, risultare difficile ed in alcuni momenti particolarmente doloroso.
Le radici del successo e del seguito dell’ex Presidente, secondo più o meno tutte le analisi sino ad ora effettuate, affondano infatti in una condizione di malessere ampiamente diffusa fra la popolazione “bianca” del Paese che ai livelli superiori si vede sul punto di perdere parte di quella che era stata sino a ora la sua predominante influenza, mentre una distribuzione della ricchezza e del lavoro divenute progressivamente sempre più inique incidono sempre più pesantemente su una classe media in via di sparizione nonché su una classe operaia che deve affrontare gravi problemi di occupazione. Sono tutti problemi che per decenni erano apparsi come superati in una realtà americana che era stata di costante sviluppo ma che dalla fine della presidenza Clinton avevano rifatto progressivamente superficie per poi esplodere in modo eclatante in epoca Covid.
Questa situazione è oltretutto resa più grave dal fatto che la parte wasp (White Anglo Saxon Protestant) degli Stati Uniti sia da sempre abituata a considerarsi come una maggioranza, anzi come l’unica maggioranza qualificata per la gestione del potere negli Usa, nonché capace di farlo efficacemente. Ora invece essa si trova a dover fronteggiare una rivolta di grandi proporzioni e di radici profonde condotta da una minoranza di colore che ritiene di essere stata ingannata già due volte nella storia del Paese. La prima al termine della guerra civile, allorché la schiavitù fu cancellata senza varare il contorno di riforme necessarie ad accogliere degnamente i nuovi cittadini, la seconda negli anni Sessanta del secolo passato, quando alla parità legale faticosamente conseguita non si associarono la parità di occasioni ed una distribuzione equa del potere fra le varie componenti etniche degli States.
Aggrava il contesto anche il fatto che, benché si continui a parlare di “maggioranza wasp” e di “minoranza − o meglio, minoranze − di colore”, nella realtà non si sa più bene chi detenga realmente il diritto di considerarsi come “LA” maggioranza e di proclamarsi tale.
È una situazione che si è presentata più volte anche nel passato, e che il gruppo wasp aveva sempre aggirata cooptando progressivamente nel proprio seno minoranze religiose o etniche che già erano riuscite a salire con le proprie forze la scala sociale sino a livelli tali da rendere possibile un’assimilazione. Sono così stati cooptati prima gli ebrei, poi gli irlandesi, poi gli italiani, poi i polacchi e chiunque venisse dall’Europa dell’est e dall’area baltica. Per non parlare poi dei cubani della prima ondata anticastrista… Per varie ragioni però ulteriori allargamenti dell’area “Bianca” appaiono per il momento molto difficili, anche perché le condizioni sociali dei maggiori candidati, i latinos, li apparentano più ad altre minoranze di colore che al gruppo dominante.
Se vuole ricucire l’America, facendo dimenticare Trump e uscire definitivamente di scena il suo trumpismo, il Presidente Biden si vede così obbligato a varare innanzitutto riforme che consentano di riequilibrare la situazione fra i due blocchi che ormai dividono il Paese, da un lato quello “wasp allargato” e dall’altro quello del “cartello delle minoranze”, e ciò rendendo reali quelle pari opportunità per tutti che sinora sono state tali soltanto sulla carta. Un processo del genere potrà essere reso possibile soltanto da provvedimenti che vadano concordemente nel senso di una più equa distribuzione della ricchezza, di una crescita delle opportunità di lavoro e infine di una maggiore presenza nel sociale da parte dello Stato. Un’esigenza, quest’ultima, che era stata consciamente o inconsciamente già percepita da tutti quegli elettori democratici che avrebbero preferito vedere Sanders, il più “socialista” dei candidati alla presidenza, al posto di Biden. Si tratta in ogni caso di compiti di complessità tale da far tremare le vene ai polsi. Considerato anche come per molti aspetti le soluzioni ottimali contrastino, o possano contrastare con radicate caratteristiche della mentalità collettiva americana.
Il Presidente Biden si trova quindi di fronte a una difficilissima operazione di quadratura del cerchio americano, un’operazione che − almeno come prima impressione − presenta possibilità di fallimento nettamente predominanti su quelle di riuscita. Auguriamogli comunque di riuscire, tenendoci anche pronti ad aiutarlo, qualora ciò si rivelasse necessario. Forse a livello di singoli paesi potremo far poco, ma non dimentichiamoci che quando ci muoviamo come Unione Europea chi si muove è un gigante di dimensioni e di peso pari a quello degli Stati Uniti!
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di marzo/aprile di eastwest.
Il compito di ricucire socialmente gli Stati Uniti è una sfida epocale per l’amministrazione Biden, forse impossibile. Possono essere d’aiuto le politiche Ue?
Dopo la tumultuosa uscita di scena di un recalcitrante Presidente Trump, che nei conati finali del proprio mandato è riuscito nella difficile impresa di far pericolosamente assomigliare a una incancrenita dittatura quell’America che fino a poco tempo prima era universalmente riconosciuta come l’incontrastata guida delle democrazie del mondo, gli Stati Uniti, e insieme a loro l’intero Occidente, guardano ora con fiducia al suo successore, il Presidente Joe Biden. Sperano infatti che egli possa compiere in breve tempo il miracolo di rimettere insieme un Paese profondamente diviso, riportandolo altresì sulla strada di costruttiva moderazione indicata dai Padri Fondatori americani nella loro Costituzione.
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