La piattaforma, che Pechino sostiene non essere anti-occidentale, sta attraendo diversi Paesi insoddisfatti degli attuali equilibri globali su una serie di dossier, compresa l’energia e il contrasto al cambiamento climatico
Continua l’allargamento dei BRICS. “Abbiamo un ruolo fondamentale nella creazione di un nuovo ordine mondiale”. Era il 2010, quando Lula pronunciò queste parole durante il suo discorso al vertice dei BRIC di Brasilia. Da allora è cambiato tanto. A partire dall’acronimo, diventato BRICS dopo che il Sudafrica si è aggiunto a Brasile, Russia, India e Cina. Ma ora la piattaforma delle economie emergenti diventa sempre più popolata.
Al summit di Kazan, Russia, della scorsa settimana hanno partecipato per la prima volta come membri effettivi del gruppo anche Egitto, Etiopia, Emirati Arabi Uniti e Iran. Le economie dei membri rappresentano oltre 28,5 trilioni di dollari, pari a circa il 28% dell’economia globale. E durante il vertice altre 13 nazioni sono diventate Paesi partner, il primo passo necessario all’adesione piena. Si tratta di Algeria, Bielorussia, Bolivia, Cuba, Kazakistan, Nigeria, Turchia, Uganda e Uzbekistan. Assai rilevante che ci siano anche quattro Paesi del Sud-Est asiatico, nonostante le grandi turbolenze geopolitiche degli ultimi anni, con gli Stati Uniti impegnati a cercare di formare una “rete di contenimento” della Cina. Si tratta di Malesia, Indonesia, Thailandia e Vietnam.
Tra questi, almeno i primi tre hanno fatto domanda di adesione completa. Il ministro degli Affari Esteri della Malesia, Mohamad Hasan, ha dichiarato che la Malesia può ora godere di migliori opportunità commerciali, dato che il blocco ha una popolazione combinata di 3,2 miliardi di persone. “Il desiderio della Malesia di entrare a far parte dei BRICS rappresenta il suo sforzo di sostenere le politiche e l’identità di un Paese indipendente e neutrale, trovando un equilibrio con le grandi potenze e aprendo nuove opportunità di business e di investimento”, ha dichiarato il governo di Kuala Lumpur.
La Thailandia aveva annunciato già nei mesi scorsi di aver inviato la richiesta di adesione. Dal summit di Kazan, è emerso che la stessa domanda è stata fatta dall’Indonesia. Si tratta di uno sviluppo assai significativo, visto che Giacarta è la principale economia della regione e suo fulcro diplomatico, ospitando il quartier generale dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico (ASEAN). Al termine del vertice annuale in Russia, il ministero degli Esteri indonesiano ha spiegato che il processo di adesione al gruppo è iniziato. “L’adesione dell’Indonesia ai BRICS è una manifestazione della sua politica estera indipendente e attiva”, ha dichiarato Sugiono. “Questo non significa che ci uniamo a un certo blocco, ma che partecipiamo attivamente a tutti i forum”.
L’Indonesia, la quarta nazione più popolosa del mondo, ha una politica estera non allineata. Il neo Presidente Prabowo Subianto, insediatosi il 20 ottobre, ha ribadito più volte che sarà amico di tutti i Paesi, siano essi Cina o Stati Uniti, e che l’Indonesia non aderirà a nessun blocco militare. Sugiono ha aggiunto che i BRICS si adattano ai principali programmi di governo di Prabowo “soprattutto per quanto riguarda la sicurezza alimentare ed energetica, l’eliminazione della povertà e l’avanzamento delle risorse umane”, aggiungendo che l’Indonesia vede il gruppo come un “veicolo” per promuovere gli interessi del sud globale.
Il Vietnam, rappresentato a Kazan per la prima volta dal premier Pham Minh Chinh, non ha chiarito se intende diventare membro a pieno titolo.
È probabile che i quattro Paesi dell’ASEAN vogliano aumentare le opportunità commerciali e diversificare le loro relazioni estere in un contesto di incertezza geopolitica e di guerra in Ucraina e in Medio Oriente. Lo scenario è comunque assai interessante, visto che i quattro governi potrebbero dare una grande voce al blocco ASEAN in seno ai BRICS e anche nella cooperazione con la Cina, vero motore della piattaforma. Non è un caso che sia proprio la Cina a spingere più di tutti per l’allargamento del gruppo.
In realtà, i BRICS restano ancora una piattaforma piuttosto disarticolata, con i Paesi membri che hanno agende piuttosto diverse. Alcuni obiettivi sono anche complicati da raggiungere, a partire da una completa de-dollarizzazione. I media cinesi insistono però molto sul tema, definendo la costruzione di un sistema di pagamento alternativo una “necessità storica”. Lo stesso presidente Xi Jinping ne ha parlato nel suo discorso alla plenaria del summit di Kazan: “Gli attuali sviluppi rendono ancora più urgente la riforma dell’architettura finanziaria internazionale. I Paesi BRICS dovrebbero svolgere un ruolo guida nella riforma. Dovremmo approfondire la cooperazione fiscale e finanziaria, promuovere la connettività delle nostre infrastrutture finanziarie e applicare standard elevati di sicurezza finanziaria”.
L’apparente disgelo tra Pechino e l’India, favorito da un accordo sulla gestione di parte del confine conteso e dal primo bilaterale ufficiale tra Xi e Narendra Modi dopo cinque anni, potrebbe rendere meno complicato un maggiore coordinamento all’interno dei BRICS, che ampliano la loro presenza nel Sud-Est asiatico e in Asia centrale, due regioni ritenute cruciali dalla diplomazia cinese per il rafforzamento di una piattaforma che Pechino sostiene non essere anti occidentale. Di certo, è non occidentale. E sta attraendo diversi Paesi insoddisfatti degli attuali equilibri globali su una serie di dossier, compresa l’energia e il contrasto al cambiamento climatico. Si tratta di un capitale politico che la Cina è intenzionata a far pesare.
Continua l’allargamento dei BRICS. “Abbiamo un ruolo fondamentale nella creazione di un nuovo ordine mondiale”. Era il 2010, quando Lula pronunciò queste parole durante il suo discorso al vertice dei BRIC di Brasilia. Da allora è cambiato tanto. A partire dall’acronimo, diventato BRICS dopo che il Sudafrica si è aggiunto a Brasile, Russia, India e Cina. Ma ora la piattaforma delle economie emergenti diventa sempre più popolata.
Al summit di Kazan, Russia, della scorsa settimana hanno partecipato per la prima volta come membri effettivi del gruppo anche Egitto, Etiopia, Emirati Arabi Uniti e Iran. Le economie dei membri rappresentano oltre 28,5 trilioni di dollari, pari a circa il 28% dell’economia globale. E durante il vertice altre 13 nazioni sono diventate Paesi partner, il primo passo necessario all’adesione piena. Si tratta di Algeria, Bielorussia, Bolivia, Cuba, Kazakistan, Nigeria, Turchia, Uganda e Uzbekistan. Assai rilevante che ci siano anche quattro Paesi del Sud-Est asiatico, nonostante le grandi turbolenze geopolitiche degli ultimi anni, con gli Stati Uniti impegnati a cercare di formare una “rete di contenimento” della Cina. Si tratta di Malesia, Indonesia, Thailandia e Vietnam.