I casi di Jack Ma prima e di Didi poi non sono isolati. Dietro la stretta di Pechino ci sono diverse ragioni, sia politiche che strategiche
I colossi tecnologici cinesi devono restare quello che sono, vale a dire dei colossi tecnologici. Il loro potere economico non può diventare potere politico. E allora serve intervenire sul loro potere strategico, rappresentato in primis dalla conservazione di una sterminata quantità di dati, e sul loro margine di manovra, dunque sulla loro proiezione verso l’esterno. Nella Cina di Xi Jinping e della doppia circolazione, le Big Tech devono imparare che non solo non possono diventare portatrici di istanze politiche, ma che non possono nemmeno ambire a diventarlo.
Il Governo cinese ha rotto gli indugi e negli ultimi tempi sta intervenendo con sempre maggiore decisione su un settore che potenzialmente potrebbe farsi portavoce di istanze politiche, economiche e sociali. Non importa quanto queste istanze possano essere vicine o lontane dalla sua linea, il Partito comunista cinese non vuole altri poli in grado di aggregare consenso e visioni di futuro.
Il caso Jack Ma lo aveva fatto capire già qualche mese fa: non basta essere tra gli uomini più ricchi della Cina ed essere membri del Partito per pensare di poter avanzare critiche sulle politiche finanziarie del Governo. Il caso Didi ha però chiarito che l’obiettivo del Pcc non è solo quello di reprimere qualsiasi segnale di possibile dissenso, ma anche quello di intervenire in maniera ancora più drastica sulle azioni dei principali brand privati. Già, perché a differenza di Ma, il fondatore del gigante del ride-hailing, Cheng Wei, ha sempre tenuto un basso profilo e anzi si è dimostrato più volte fedele alla linea del governo e del partito. Tanto da lanciare nel 2018 una campagna di assunzione di membri del Partito comunista. Oltre a Didi, l’Ufficio di revisione ha dichiarato che le indagini saranno estese anche alla piattaforma dedicata al lavoro Boss Zhipin e a due piattaforme per i trasporti, Yunmanman e Huochebang, parte della Full Truck Alliance quotata a New York, citando ragioni di sicurezza nazionale.
Il governo di Pechino si sta dotando di un insieme di strumenti a sua disposizione per colpire le aziende. Non solo con le indagini antitrust per le accuse di monopolio. Nei giorni scorsi è stata presentata una bozza per un piano d’azione sulla sicurezza informatica. Quasi tutte le società intenzionate a quotarsi all’estero dovranno sottoporsi a una procedura di screening molto più approfondita di quanto accadeva in passato. Il periodo per il controllo di sicurezza passerà infatti da 45 giorni a oltre tre mesi. Nel 2021 già 37 società cinesi si sono quotate negli Stati Uniti, per un totale di 12,9 miliardi di dollari di Ipo. Pechino cerca invece di spingere le società tecnologiche verso le borse cinesi o quella di Hong Kong. Le nuove regole si applicano a tutte le azioni che detengono dati di oltre un milione di utenti. Un numero molto basso e semplice da raggiungere in Cina. La motivazione ufficiale della nuova legge è quella di esaminare i potenziali rischi per la sicurezza nazionale derivanti dalle quotazioni all’estero e dalla possibilità che i dati cinesi possano essere “influenzati, controllati e sfruttati in modo dannoso da governi stranieri”. La riforma si aggiunge alla legge per la sicurezza dei dati informatici, che entrerà in vigore il 1° settembre 2021, e alla recente legge sulla privacy. Lo scopo di queste riforme è sempre quello di circoscrivere e limitare (a livello di potere decisionale e di quantità di dati a disposizione) il campo d’azione delle big tech e ribadire che il Partito è l’unico possibile garante e sovrintendente dell’ecosistema digitale nazionale.
Nel frattempo, la Cyberspace Administration cinese ha rimosso 25 app di Didi, che potrebbe subire un impatto davvero sostanzioso sul proprio giro d’affari. La drasticità con la quale sta intervenendo il governo cinese sull’azienda (che sarebbe stata causata anche dal fatto che Didi avrebbe ignorato alcuni avvertimenti delle autorità sull’Ipo per la fretta di raccogliere fondi negli Usa) sta avendo effetti anche sugli altri attori del settore del ride-hailing e in generale sui colossi tech cinesi. Meituan, l’app di food delivery cinese, sta rilanciando la sua divisione di ride-hailing dopo le difficoltà di Didi, grazie anche al fatto che la sua informativa sulla privacy afferma che i dati degli utenti non sarebbero mai trasferiti verso terze parti non autorizzate dalle autorità. Anche se sul patron di Meituan, Wang Xing, c’è un’ombra, vale a dire la sua recente pubblicazione di un poema dei tempi della dinastia Tang considerato portatore di valori anti establishment.
La stretta su Didi ha lanciato un messaggio chiaro a tanti. LinkDoc Technology, una app di dati medici, ha rinunciato all’Ipo all’estero, seguita dall’app di fitness Keep e dalla startup Meicai. Non solo. Bytedance, la multinazionale che possiede l’app Douyin e la sua versione internazionale TikTok, ha sospeso i piani relativi a un’offerta pubblica iniziale a Wall Street, dopo una valutazione di 180 miliardi di dollari. Un approccio prudente, quello di ByteDance, per evitare di diventare vittime di un nuovo caso Didi.
Non è finita. Nel mirino dell’antitrust cinese ci è finita anche Tencent, il colosso che controlla la celebre super app WeChat. Secondo le accuse, Tencent Music avrebbe usato i diritti esclusivi su alcune etichette musicali per la creazione di una situazione di monopolio e vincere la concorrenza di rivali meno noti. Tencent dovrà abbandonare il progetto di fusione tra i due maggiori operatori cinesi di siti di streaming di videogiochi, Huya Inc e DouYu International Holdings Ltd, perché la fusione avrebbe violato le regole di concorrenza. Le autorità si muovono anche a livello locale per implementare un maggiore controllo sui dati, come accade nella provincia meridionale del Guangdong, che ha annunciato la reazione di una piattaforma comune di dati che coinvolgerà anche Hong Kong e Macao in una riedizione cibernetica della Greater Bay Area.
Il Governo cinese ha rotto gli indugi e negli ultimi tempi sta intervenendo con sempre maggiore decisione su un settore che potenzialmente potrebbe farsi portavoce di istanze politiche, economiche e sociali. Non importa quanto queste istanze possano essere vicine o lontane dalla sua linea, il Partito comunista cinese non vuole altri poli in grado di aggregare consenso e visioni di futuro.