È la Cina la prima “superpotenza dei dati” al mondo
Un'indagine del Nikkei rivela che la Cina è il Paese che possiede più dati Internet cross-border al mondo, superando anche gli Stati Uniti. Merito della Nuova via della seta
Un’indagine del Nikkei rivela che la Cina è il Paese che possiede più dati Internet cross-border al mondo, superando anche gli Stati Uniti. Merito della Nuova via della seta
Un’indagine del giornale Nikkei Asia ha rivelato che la Cina (Hong Kong inclusa) è diventata la prima “superpotenza dei dati” al mondo, superando gli Stati Uniti d’America. Pechino raccoglie il 23% del traffico dei dati Internet cross-border, cioè che entrano ed escono dalla frontiera, con flussi di 111 milioni di megabit per secondo (Mbps). La fetta di Washington è grande quasi la metà, il 12% del totale globale, o 60 milioni di Mbps. Segue, al terzo posto, il Regno Unito con 51,2 milioni di Mbps.
Quanto è cambiato il mondo in vent’anni
Rispetto al 2001, l’inizio dell’era di Internet, il panorama è molto diverso. Allora gli Stati Uniti erano la nazione nettamente dominante sui flussi di dati, con il Giappone e i Paesi europei che occupavano gli altri posti al vertice della classifica. Quasi vent’anni dopo, Tokyo è scesa all’undicesimo posto, la Germania è al nono e la Francia al decimo. A guadagnare posizioni, al contrario, sono state l’India, Singapore e il Vietnam, rispettivamente al quarto, quinto e settimo posto nella classifica.
Il sorpasso cinese sull’America è avvenuto nel 2014. Ma ancora più notevole è stata la crescita delle economie emergenti come il Vietnam, dove si è verificato il cosiddetto leapfrogging, il “salto della rana”: ovvero il passaggio diretto alle tecnologie più innovative – come i pagamenti digitali e le connessioni ad alta velocità – senza passare per quelle intermedie.
Il Nikkei spiega che la crescita cinese è avvenuta soprattutto grazie alle “connessioni” con il resto dell’Asia e in particolare con il Sud-est asiatico. Se nel 2001, infatti, gli Stati Uniti rappresentavano ben il 45% dei flussi di dati in entrata e in uscita dalla Cina, nel 2019 la quota americana era appena del 25%. Adesso i Paesi asiatici valgono più della metà del totale dei dati scambiati con la Cina, con il solo Vietnam al 17% e Singapore al 15.
Tra Nuova via della seta e colossi tecnologici
Il cambiamento dell’ordine mondiale dei dati è stato incoraggiato dalla Belt and Road Initiative (o Nuova via della Seta), il grande piano di infrastrutture cinese che è anche uno strumento per l’espansione dell’influenza – commerciale, politica e digitale – di Pechino all’estero.
La Cina ha utilizzato le proprie grandi aziende tecnologiche private, come Alibaba e Tencent, per raccogliere grosse quantità di dati. Alipay, ad esempio – la piattaforma di pagamenti online legata ad Alibaba –, è disponibile in oltre 55 Paesi ed è utilizzata da 1,3 miliardi di persone.
Le conseguenze geopolitiche
Disporre di grandi quantità di dati – specie se diversi, come appunto quelli provenienti da altre nazioni – significa possedere la risorsa economica più importante del presente e soprattutto del prossimo futuro. I dati servono infatti a “nutrire” l’intelligenza artificiale, la tecnologia che promette di rivoluzionare la produzione industriale – ma anche la mobilità e la forma delle città –, garantendo un vantaggio competitivo ed economico ai Paesi più avanzati nel suo sviluppo.
Il rischio di “splinternet”
Vista la centralità strategica dei dati, la competizione per la loro raccolta e il loro utilizzo sta creando frizioni tra i tre maggiori poli digitali globali: la Cina, gli Stati Uniti e l’Unione europea. I Governi temono che la raccolta e la profilazione delle informazioni personali dei propri cittadini a opera di soggetti stranieri rappresenti un rischio per la sicurezza nazionale. Il “caso TikTok” negli Stati Uniti è la manifestazione più vistosa di questa tendenza, di cui abbiamo scritto nell’ultimo numero di eastwest. Ma non è l’unica: ci sono contrasti sulla protezione dei dati anche tra Europa e Cina e tra Europa e Stati Uniti.
Il rischio di tutto questo è che Internet finisca per “rompersi” sotto il peso delle tante regolazioni diverse: alla rete aperta che conosciamo potrebbero cioè sostituirsi tante reti locali, in cui la navigazione verrebbe sottoposta alle leggi nazionali e i dati smetterebbero di spostarsi tra confini diversi. È uno scenario noto come splinternet e che ha tante implicazioni, sia per il progresso innovativo che per le libertà personali.
Nel caso in cui si arrivasse a una frammentazione di Internet, la situazione finirebbe probabilmente per favorire quegli Stati capaci di raccogliere grandi quantità di dati all’interno dei propri confini, per utilizzarli poi nello sviluppo dell’intelligenza artificiale. Il Paese più favorito in assoluto è la Cina, che dispone peraltro di una popolazione vasta con ben 900 milioni di persone connesse alla rete.
Un’indagine del giornale Nikkei Asia ha rivelato che la Cina (Hong Kong inclusa) è diventata la prima “superpotenza dei dati” al mondo, superando gli Stati Uniti d’America. Pechino raccoglie il 23% del traffico dei dati Internet cross-border, cioè che entrano ed escono dalla frontiera, con flussi di 111 milioni di megabit per secondo (Mbps). La fetta di Washington è grande quasi la metà, il 12% del totale globale, o 60 milioni di Mbps. Segue, al terzo posto, il Regno Unito con 51,2 milioni di Mbps.
Quanto è cambiato il mondo in vent’anni
Rispetto al 2001, l’inizio dell’era di Internet, il panorama è molto diverso. Allora gli Stati Uniti erano la nazione nettamente dominante sui flussi di dati, con il Giappone e i Paesi europei che occupavano gli altri posti al vertice della classifica. Quasi vent’anni dopo, Tokyo è scesa all’undicesimo posto, la Germania è al nono e la Francia al decimo. A guadagnare posizioni, al contrario, sono state l’India, Singapore e il Vietnam, rispettivamente al quarto, quinto e settimo posto nella classifica.
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