Per il Pcc, entro il 2035 la “modernizzazione socialista” sarà completata, la Cina sarà la prima economia mondiale e il “secolo dell’umiliazione” sarà archivato
Luglio 1921. La Repubblica di Cina è un Paese frammentato, debole, umiliato e offeso dalle dominazioni straniere. A Shanghai si riuniscono in congresso 13 delegati in rappresentanza di 57 membri in un clima di semi clandestinità. Nasce il Partito Comunista Cinese e Chen Duxiu viene nominato suo primo segretario.
Luglio 2021. La Repubblica Popolare Cinese è un Paese forte e ambizioso che ha eliminato la povertà assoluta e si prepara a diventare la prima economia mondiale sorpassando gli Stati Uniti. Il Partito Comunista Cinese conta oltre 90 milioni di membri e Xi Jinping si appresta, al ventesimo Congresso dell’autunno 2022, a essere nominato Presidente per la terza volta dopo che la riforma costituzionale approvata nel 2018 ha eliminato il limite dei due mandati.
In cento anni la Cina ha cambiato tanto, compreso il nome. Un processo di trasformazione guidato dal Partito Comunista, che ha saputo conquistare il potere e mantenerlo mentre esso stesso si trasformava, assurgendo al ruolo totale di Partito-Stato ed essendo allo stesso tempo in grado di conciliare la sua missione storica con una continua tensione verso quella che Giovanni B. Andornino definisce “modernizzazione autoritaria accelerata“. Processi divenuti ancora più rapidi e ambiziosi con l’arrivo di Xi Jinping nel 2012.
Composto inizialmente soprattutto da contadini e operai, sin dai tempi delle riforme economiche di Deng Xiaoping il Partito ha iniziato a cambiare pelle, innalzando il livello di istruzione dei propri membri, oggi in maggioranza espressione delle forze produttive più avanzate del Paese. Forze che il Partito e Xi vogliono tenere sotto controllo, per evitare che da centri di potere economico possano diventare futuribili aggregatori di proposte politiche. Necessità esplicitata dal caso Jack Ma e dal crescente ruolo del Partito-Stato nell’economia privata, in un contesto dialettico nel quale si cercano nuovi equilibri coi colossi tecnologici che negli anni hanno accumulato un’immensa quantità di dati, dunque di potere. Per conquistarsi un ruolo di rilievo nella società cinese, essere membri del Partito è necessario, ma non sufficiente. Con Xi l’accento su lealtà e fedeltà è ancora più forte. Appena diventato Presidente ha lanciato una vasta campagna anticorruzione più volte rilanciata durante i suoi primi due mandati e arrivata a coinvolgere personaggi di spicco. Ultimo caso: il processo a carico di Dong Hong, ex assistente del Vicepresidente Wang Qishan, cioè colui che ha gestito la prima e virulenta fase della campagna.
Durante i suoi primi due mandati Xi ha accentrato su di sé molto potere. Ha avocato a un nuovo gruppo direttivo da lui stesso presieduto la politica economica nazionale, solitamente di competenza del Premier. Ha lanciato una vasta ristrutturazione in senso centralista degli apparati politico-statali e una riforma delle forze armate da lui stesso presiedute. Ha soprattutto ottenuto che il suo contributo teorico venisse inserito come ideologia guida nello statuto del Partito e nella costituzione. Non si tratta di un mero riconoscimento formale, ma di un atto con conseguenze concrete visto che Xi è ancora in carica: chi lo critica non critica solo lui, ma l’intero apparato ideologico del Partito.
La crescente presa, quantomeno a livello nominale, di Xi all’interno del Partito è evidente se si guarda alle composizioni del 18esimo e 19esimo Politburo. Nel primo, i membri che avevano già lavorato con lui in passato nei suoi incarichi provinciali o che comunque avevano con lui un rapporto stretto erano cinque, vale a dire circa il 20% del totale. Nel secondo, quello in carica fino al 2022, il numero è salito a 15 e la percentuale al 60%. Secondo la cosiddetta “clausola di Li Ruihan”, i membri del Politburo e del Comitato permanente non possono iniziare un nuovo mandato dopo aver compiuto 68 anni. Clausola che al prossimo Congresso verrà disattesa per Xi, ma probabilmente per nessun altro. Ciò significa che potrebbero cambiare 15 componenti. Tra coloro che dovranno lasciare il loro posto ci sono soprattutto membri esterni al “cerchio magico” di Xi, come il Premier Li Keqiang, la Vicepremier Sun Chunlan, il Presidente della Conferenza politico-consultiva Wang Yang.
Dunque, alcuni mandati apicali saranno liberi e prevedibilmente destinati a fedelissimi del Presidente, che nel prossimo Politburo dovrebbe perdere solo 6 dei 15 uomini a lui più vicini, tra i quali il Presidente del Comitato Permanente dell’Assemblea Nazionale del Popolo Li Zhanshu, l’ideologo Wang Huning e il Presidente del Dipartimento Organizzativo del Comitato Centrale Chen Xi. Pronti a beneficiarne gli attuali membri del Politburo vicini a Xi che possono svolgere un altro mandato. Tra questi Cai Qi (Segretario del Partito a Pechino), Li Hongzhong (Segretario a Tianjin), Li Qiang (Segretario a Shanghai), Li Xi (Segretario nel Guangdong, la cruciale provincia meridionale dalla quale Xi ha lanciato il sistema della “doppia circolazione” prima del V Plenum dell’ottobre 2020) e Huang Kunming (capo della propaganda del Partito). Ma attenzione ai due fedelissimi di Xi più giovani, gli unici senza vincoli di mandato non solo in vista del Congresso del 2022 ma anche in vista del successivo Congresso del 2027. Si tratta di Chen Min’er (Segretario a Chongqing) e Ding Xuexiang (Direttore dell’Ufficio Centrale del Partito). Il primo ha lavorato con Xi nella provincia dello Zhejiang, ai tempi in cui il futuro Presidente si costruì la fama di implacabile punitore dei dirigenti corrotti. Il secondo ha invece lavorato con Xi a Shanghai e lo ha poi seguito a Pechino.
Al momento è impossibile prevedere se nel 2022 Xi indicherà, quantomeno implicitamente, un suo potenziale successore. Se lo farà, è possibile che il nome possa essere quello di Chen o quello di Ding. Se così fosse, si aprirebbe una fase di transizione più o meno lunga in cui l’erede designato sarà fatto crescere all’ombra di Xi, magari dalla posizione di Premier. Già, perché il più logico successore di Li, vale a dire Hu Chunhua, è considerato un uomo vicino all’ex Presidente Hu Jintao e alla cosiddetta fazione dei Tuanpai (gli esponenti della Lega della gioventù comunista). Ma è altresì possibile che anche il prossimo anno non emerga nessuna figura in ottica presidenziale. Attenzione in quel caso agli astri nascenti che tra pochi mesi potrebbero trovare posto nel Politburo. Tra questi, da seguire soprattutto Chen Yixin, Segretario Generale della Commissione centrale per gli affari politici e giuridici nonché capo della nuova campagna anticorruzione, e Chen Quanguo, leader del Partito nello Xinjiang.
Questo sposterebbe l’orizzonte politico di Xi più in là, ancora più vicino a quel 2035 che sembra diventato il prossimo snodo fondamentale della retorica del Partito. Una data a metà strada tra il centenario del Partito stesso e il centenario della Repubblica Popolare (2049). Vale a dire a metà tra il raggiungimento del traguardo di una società “moderatamente prospera” e l’obiettivo della realizzazione di una società “armoniosa”. Il 2035 dovrà rappresentare il completamento della “modernizzazione socialista”, con la Cina prima economia al mondo in grado di archiviare definitivamente il “secolo dell’umiliazione”.
Ma le ipotesi possibili sono tante, compresa quella di una permanenza fuori età o fuori mandato di uno dei membri uscenti del Politburo, magari Wang Huning o Liu He, così come quella (che appare più tortuosa quantomeno nel breve termine) di una successione “controllata” di Xi, che andrebbe a presiedere Partito e Stato da una nuova posizione di potere creata ad hoc. In quest’ultimo caso potrebbe essere il fidato Wang ad assumere la carica presidenziale, con Xi in ascesa verso il titolo maoista di “grande timoniere”. In ogni caso va ricordato che, per quanto Xi abbia dato una svolta personalistica, il Partito Comunista Cinese resta una forza politico-statale-ideologica complessa, mutevole e adattabile, nella quale gli equilibri possono cambiare o evolversi. Ciò non significa che ci sia un’opposizione interna pronta a rovesciare i rapporti di forza, ma Xi non sarà mai un uomo solo al comando. Almeno non del tutto.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di luglio/agosto di eastwest.
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Per il Pcc, entro il 2035 la “modernizzazione socialista” sarà completata, la Cina sarà la prima economia mondiale e il “secolo dell’umiliazione” sarà archivato
Luglio 1921. La Repubblica di Cina è un Paese frammentato, debole, umiliato e offeso dalle dominazioni straniere. A Shanghai si riuniscono in congresso 13 delegati in rappresentanza di 57 membri in un clima di semi clandestinità. Nasce il Partito Comunista Cinese e Chen Duxiu viene nominato suo primo segretario.