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La nuova centralità cinese


Pechino vuole riscuotere i dividendi politici dei suoi successi economici; per una politica estera più assertiva dunque è tornata a una guida onnipotente, che rappresenti la nazione, tranquillizzi e controlli i cittadini

L’irrigidimento delle posizioni cinesi – sia esso una decisione o una conseguenza – è un fatto oggettivo. La crescita dell’antagonismo con Washington – indipendentemente dalle responsabilità da attribuire − è innegabile. Le tensioni nel Mar Cinese meridionale – causa o effetto dell’assertività di Pechino −  continuano a provocare apprensione. Per sciogliere o almeno allentare questi interrogativi è utile porsene un altro, meno eclatante ma più fertile per la comprensione. Xi Jinping sta guidando la Cina, fino a cambiarla, oppure il Paese ha bisogno di un uomo forte e lui rappresenta la migliore soluzione? La risposta ovviamente è complessa e pesca delle verità in entrambe le soluzioni avanzate. Tuttavia gli osservatori internazionali – anche tra i più avvertiti – hanno largamente evidenziato la prima risposta. Probabilmente l’impatto mediatico impone scorciatoie analitiche o titoli eccessivamente sintetici, dove prevale la personalizzazione: Xi Presidente a vita, uomo solo al comando, onnipotente come non si vedeva dai tempi di Mao.

Queste affermazioni non si possono ragionevolmente contestare. Fin dalla sua prima nomina a Segretario generale del Partito comunista cinese – la più importante di tutte – Xi ha acquisito anche quelle di Presidente della Repubblica e di Presidente della Commissione militare centrale. La prima serve a funzioni protocollari, soprattutto nelle visite all’estero, la seconda garantisce ovviamente il controllo delle forze armate. Inoltre il limite tradizionale dei due mandati – di stampo costituzionale per il Capo di Stato e di prassi per il Segretario – è stato annullato e dunque Xi si appresta a essere rieletto nelle due cariche (e verosimilmente anche la terza) al prossimo Congresso del Pcc previsto in Ottobre. La nuova procedura − che non fissa alcun limite − costituisce evidentemente un rafforzamento della sua posizione. Deng Xiaoping − l’uomo che ha preso le redini del paese alla morte di Mao, l’architetto della Cina dei record – aveva a cuore l’ordinata transizione politica, la regolarità della crescita, il controllo sociale. Gli anni tumultuosi della Rivoluzione culturale, le lotte di potere tra le diverse fazioni, l’esasperazione ideologica della Banda dei Quattro si ergevano contro l’obiettivo principale perseguito da Deng: la crescita nella stabilità. Dopo la repressione di Tienanmen del 1989, il passaggio dei poteri tra i successivi quattro Segretari è stato pacifico e concordato. La novità di Xi è effettivamente dirompente. Infine, si assiste in Cina a una omologazione delle posizioni che fa ripensare al culto della personalità, una pratica che si era sbiadita negli ultimi lustri. Più che mai, la Cina parla con una voce sola, quella del suo Timoniere. Tutto questo – va ribadito – è innegabile.

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