Nell’anno del Covid gli scambi internazionali di Pechino sono cresciuti, e così gli investimenti. Le rotte dei treni-merci della BRI sono aumentate del 50% rispetto al 2019
Nell’anno del Covid gli scambi internazionali di Pechino sono cresciuti, e così gli investimenti. Le rotte dei treni-merci della BRI sono aumentate del 50% rispetto al 2019
Quando il sogdiano era la lingua franca dei commerci, nel periodo in cui le oasi del bacino del Tarim vibravano di vita e di pulsioni contrastanti, tra la Cina e l’Europa viaggiavano soprattutto idee, avventurieri e merci preziose, in un flusso ininterrotto che per secoli ha elettrizzato le plaghe eurasiatiche. Oggi, ai tempi del Covid-19, quegli stessi territori sono attraversati da veloci convogli ferroviari carichi di mascherine, di materiale sanitario e di tutto il necessario per combattere la pandemia. I vaccini, invece, viaggiano per via aerea, e stanno iniziando a raggiungere anche l’Europa. È la nuova via della Seta della Salute, che attraverso le reti connettive della Belt and Road Initiative, la gigantesca iniziativa infrastrutturale da 1 trilione di dollari lanciata nel 2013 dal presidente cinese Xi Jinping, sta contribuendo in maniera determinante a ridisegnare l’aspetto delle relazioni internazionali, innervandole con l’apporto utilitaristico del sostegno medico e sanitario, con il multilateralismo come principale tòpos comunicativo.
Il mastodontico progetto cinese è ancora estremamente rilevante, perfino ai tempi del Covid. L’insorgere del virus ha colpito maggiormente quei progetti che si trovavano ancora agli stadi iniziali, specialmente in quelle economie più duramente colpite dalla recessione, e ha avuto certamente conseguenze negative sullo sviluppo di nuovi megaprogetti, il cui numero è diminuito notevolmente nel 2020. Alcuni progetti hanno subito forti rallentamenti, altri sono stati definitivamente cancellati, mentre una buona parte di iniziative si trova in una situazione di stallo, anche per ragioni non direttamente connesse al Covid. Ne è un esempio la realizzazione della diga di Kunzvi, nello Zimbawe, un progetto da 800 milioni di dollari tuttora in standby a causa di alcune incomprensioni finanziarie tra i cinesi e il governo di Harare, mentre la costruzione di un centro logistico da 275 milioni di dollari in Kyrgyzstan è stato cancellato a causa di alcune proteste anticinesi.
Gli scambi commerciali
La Cina, in ogni caso, non si è fermata. Lo scorso anno, gli scambi di Pechino con i partner mondiali della nuova via della Seta sono cresciuti, arrivando a circa 1.450 miliardi di dollari, in aumento dell’1% anno su anno. Crescono anche gli investimenti diretti all’estero non finanziari nei 58 Paesi coinvolti nella BRI, che nel 2020 hanno raggiunto i 17.79 miliardi di dollari (+18.3% rispetto 2019). In Pakistan, la Cina intende dare vita a un comitato parlamentare congiunto per monitorare l’andamento dei progetti legati al CPEC, il China-Pakistan-Economic-Corridor, che con il suo valore complessivo di 50 miliardi di dollari è uno dei gioielli più splendenti nella corona della nuova Via della Seta (l’Institute of Peace and Diplomatic Studies di Islamabad, per opera di Muhammad Asif Noor, ha recentemente lanciato la piattaforma “Friends of BRI Forum”, nata per costruire nuove sinergie tra professionisti e accademici nei 138 Paesi della BRI).
Se il Covid, da un lato, può aver certamente rallentato alcuni progetti, non ha sicuramente arrestato le operazioni all’estero della Cina, in particolare con i partner europei, con i quali ha continuato a intrattenere vivaci relazioni multilaterali. I dati parlano chiaro: nei primi sette mesi del 2020, gli scambi bilaterali tra la Cina e i 27 membri dell’Unione europea hanno registrato un aumento del 2.6% su base annua, con numeri ancora più significativi se si guarda ai rapporti di Pechino con i Paesi dell’Europa centrale e orientale. Lo scorso anno, gli scambi commerciali con questi Paesi hanno infatti raggiunto i 103.45 miliardi di dollari. Sono proprio i Paesi dell’Europa orientale ad aver già accolto i vaccini cinesi: Serbia e Ungheria hanno raggiunto precisi accordi per l’utilizzo del vaccino Sinopharm, già somministrato al 14% della popolazione serba tra gennaio e febbraio.
La distribuzione del vaccino ai partner europei è alimentata dal supporto dell’apparato statale cinese, ma anche dai canali già aperti della BRI, utilizzati dalla Cina come un vero e proprio grimaldello diplomatico per aprire nuovi scenari di cooperazione. Xi Jinping, del resto, aveva annunciato che i vaccini cinesi sarebbero diventati ben presto “un bene pubblico globale”.
Le infrastrutture
La realizzazione di infrastrutture marittime e terrestri su scala globale, nel corso degli anni, si è dunque rivelata estremamente utile anche in una fase emergenziale, dando vita a nuovi corridoi diplomatici e commerciali con cui vivificare la diplomazia internazionale. Per lo sviluppo del poderoso sistema infrastrutturale della nuova via della seta, peraltro, la Cina potrebbe aver impiegato la stessa strategia utilizzata negli scorsi anni per far fronte ai suoi annosi problemi di urbanizzazione. Fino a una decina d’anni fa, Pechino era infatti abituata a investire enormi quantità di denaro nel real estate e nella costruzione di agglomerati urbani completamente nuovi, che in buona parte dei casi finivano per trasformarsi in vere e proprie Ghost Town completamente deserte. La scommessa era semplice: costruire prima e aspettare in seguito l’arrivo della domanda. In alcuni casi, questo approccio si è rivelato vincente − nuove città si sono popolate nel giro di pochissimi anni −, mentre in altri non ha dato luogo ad alcun risultato. Su una scala completamente diversa, è ciò che sta parzialmente avvenendo anche con le infrastrutture della nuova via della Seta: Pechino ha iniziato a costruirle in ogni parte del mondo, nel nome della cooperazione e dello sviluppo globale, ben sapendo che avrebbero potuto rivelarsi molto utili specialmente in un momento successivo, proprio come sta avvenendo ora con i continui invii di aiuti sanitari ai Paesi partner.
Questi aiuti viaggiano soprattutto attraverso le linee ferroviarie euroasiatiche: la pandemia ha infatti colpito pesantemente la logistica marittima, restituendo centralità al trasporto su ferro. Nel 2020, i convogli in transito tra la città cinese di Wuhan e l’Europa − sfruttando anche i nuovi collegamenti della BRI − hanno trasportato verso Ovest più di 5mila tonnellate di forniture mediche e di materiali necessari al contenimento della pandemia. Nel complesso, i viaggi dei treni merci attivi sulle rotte sino-europee sarebbero aumentati del 50% rispetto al 2019, totalizzando un record di 12.400 viaggi. Uno degli aumenti più significativi è quello che riguarda la municipalità di Chongqing, nella Cina sud-occidentale, che nel solo 2020 ha totalizzato ben 2.603 viaggi verso l’Europa (e in direzione inversa), registrando una crescita del 72% rispetto all’anno precedente. Secondo i dati di Yuxinou Logistics, il valore delle merci trasportate su questa linea ammonterebbe a circa 14 miliardi di dollari, con incrementi del 65% di anno in anno. Questo percorso − che passa anche da Kazakhstan ed Europa orientale − si è rivelato eccezionalmente utile soprattutto durante la pandemia, quando ha trasportato in Europa più di 2.7 miliardi di yuan di forniture sanitarie e beni di prima necessità.
Per cogliere lo zeitgeist, a volte, bastano anche poche, semplicissime parole. In un’intervista rilasciata a inizio febbraio all’agenzia di stampa Xinhua, l’ambasciatore cinese in Italia, Li Junhua, si è soffermato a lungo sulla cooperazione tra la Pechino e l’Unione Europea, arrivando ad affermare che “la Cina è consapevole della storia e pronta a farsi carico delle sue responsabilità epocali”. Pechino, in questo senso, sembra considerare la pandemia come una preziosa opportunità per riportare in vita l’antico sogno millenario covato dagli imperatori del “Regno di Mezzo”, in cui la Cina veniva considerata una sorta di faro o di potenza-guida per tutte le altre nazioni. L’unica certezza, in un mondo ancora scosso dal Covid, è che le reti fisiche e intangibili della Belt and Road Initiative, così dense di significati, hanno la possibilità di cambiare per sempre le regole dei rapporti internazionali, incidendo direttamente (forse per la prima volta) sulla vita delle persone.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di marzo/aprile di eastwest.
Nell’anno del Covid gli scambi internazionali di Pechino sono cresciuti, e così gli investimenti. Le rotte dei treni-merci della BRI sono aumentate del 50% rispetto al 2019
Quando il sogdiano era la lingua franca dei commerci, nel periodo in cui le oasi del bacino del Tarim vibravano di vita e di pulsioni contrastanti, tra la Cina e l’Europa viaggiavano soprattutto idee, avventurieri e merci preziose, in un flusso ininterrotto che per secoli ha elettrizzato le plaghe eurasiatiche. Oggi, ai tempi del Covid-19, quegli stessi territori sono attraversati da veloci convogli ferroviari carichi di mascherine, di materiale sanitario e di tutto il necessario per combattere la pandemia. I vaccini, invece, viaggiano per via aerea, e stanno iniziando a raggiungere anche l’Europa. È la nuova via della Seta della Salute, che attraverso le reti connettive della Belt and Road Initiative, la gigantesca iniziativa infrastrutturale da 1 trilione di dollari lanciata nel 2013 dal presidente cinese Xi Jinping, sta contribuendo in maniera determinante a ridisegnare l’aspetto delle relazioni internazionali, innervandole con l’apporto utilitaristico del sostegno medico e sanitario, con il multilateralismo come principale tòpos comunicativo.
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