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Climate change: le diverse policy ambientali


Gambia, Marocco, Barbados da una parte; Brasile, India, Cina dall’altra: i virtuosi e i disonesti. Tutti sono consapevoli, alcuni si impegnano, altri fingono di farlo

Il clima, il suo cambiamento, il suo continuo (e, a questo punto, evidente) surriscaldarsi, è faccenda che riguarda tutti, a tutte le latitudini. Ma non tutti i Governi stanno reagendo allo stesso modo. Alcuni hanno preso la faccenda di petto, affrontandola come se fosse qualcosa da cui, con urgenza, dipende la vita delle persone. Altri, invece, continuano a trattare tutta la questione clima e inquinamento come hanno sempre fatto, ossia come un problema lontano, nello spazio e nel tempo. E per questo, danno la precedenza a problemi più immediati e concreti, come l’occupazione, l’inerzia dei modelli industriali o, molto più prosaicamente, il consenso elettorale.

Altri ancora invece, e sono i Paesi più grandi e grossi, sia dal punto di vista della popolazione che da quello dell’economia, come gli Usa o l’Ue, hanno ben chiara la portata del problema, la sua imminente gravità (e anche il suo peso elettorale), ma si trovano nella complicata posizione di essere gli unici che davvero possono fare qualcosa e, allo stesso tempo, quelli che possono farci meno di tutti perché la loro ricchezza (opulenza, in alcuni casi) e quella di chi li abita dipendono proprio, se non solo, da un modello economico pensato e progettato sulla base di petrolio e carbone. Smantellarlo, potrebbe significare ripensare l’intero sistema: una cosa che si può fare, ma che richiede passi lenti e ponderati, laddove invece forse servirebbero strappi decisi.

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