L’ex presidente della Colombia Álvaro Uribe Vélez sarà processato per concussione e manipolazione di testimoni in un caso aperto dal 2012 intorno ai legami tra il suo governo e il paramilitarismo. La decisione della procura arriva però in un momento delicatissimo del piano di pacificazione del presidente Petro.
La procura generale della Colombia ha richiesto l’avvio di un processo nei confronti dell’ex presidente ultra conservatore Álvaro Uribe Vélez, accusato di aver manipolato le testimonianze di ex paramilitari colombiani che lo collegavano alle attività criminali di gruppi armati di estrema destra attivi nella provincia di Antioquia, dove Uribe ha lungamente ricoperto la carica di governatore. Si tratta della prima volta nella storia del paese sudamericano in cui un ex presidente viene processato.
La vicenda risale al 2012, quando il senatore Ivan Cepeda presentò un’interpellanza parlamentare in seguito alla pubblicazione dell’inchiesta intitolata “Álvaro Uribe Vélez: narcotraffico, paramilitarismo e parapolitica”. In questa inchiesta, Cepeda citava le testimonianze di 40 persone coinvolte nei crimini più gravi commessi in Colombia dagli anni ’90, che sostenevano di poter collegare l’ex presidente Uribe e suo fratello Santiago a tali fatti. In particolare, Juan Guillermo Monsalve, un ex paramilitare condannato, e figlio del maggiordomo di Uribe nella hacienda da dove gestiva tutti i suoi affari, affermava che l’ex presidente aveva contribuito alla fondazione del gruppo armato Bloque Metro delle Autodefensas Unidas de Colombia (AUC) mentre era governatore di Antioquia.
Le AUC furono un’organizzazione armata di estrema destra creata nel 1997 con l’appoggio di politici, latifondisti e imprenditori del centro-nord della Colombia con l’obiettivo di combattere l’attività delle guerriglie di sinistra attive nella zona sin dagli anni ’50. Le AUC ebbero stretti legami con settori corrotti della politica e dell’esercito, col narcotraffico, e si stima che siano responsabili della morte di circa 260mila persone, la maggioranza civili innocenti.
Nel 2014, Álvaro Uribe ha querelato Cepeda, accusandolo di aver fatto pressioni e persino di aver pagato i testimoni affinché mentissero sul suo conto. Secondo l’ex presidente, Cepeda, l’ex senatrice di sinistra -recentemente scomparsa – Piedad Córdoba, e Rodrigo Lara, ex senatore figlio di un ex ministro di giustizia assassinato da gruppi paramilitari negli anni ’80, avrebbero offerto agevolazioni penitenziarie ai capi delle organizzazioni criminali estradati dagli Usa in cambio delle testimonianze contro Uribe e i suoi alleati. Tuttavia, la Corte Suprema, unico organo competente per processare un senatore in Colombia, ha respinto l’accusa, e sei anni dopo la presentazione della denuncia contro Cepeda ha ordinato invece l’arresto di Uribe per aver cercato di corrompere i testimoni citati dal senatore al fine di modificare le loro testimonianze.
Uno degli avvocati dell’ex presidente, Diego Cadena, riconosciuto difensore di alcuni boss del narcotraffico colombiano, aveva infatti contattato Juan Guillermo Monsalve, la sua ex moglie Deyanira Gómez e un altro ex paramilitare, Carlos Enrique Vélez, per spingerli a ritirare la loro testimonianza, circostanza scoperta grazie ad una serie di intercettazioni telefoniche fatte sul telefono cellulare dell’ex presidente.
Uribe allora ha rinunciato al proprio incarico come senatore, obbligando la giustizia ad inviare il caso alla Procura Generale della Repubblica, in quel momento in mano ad un alleato della destra uribista, che ha chiesto per ben due volte la chiusura del caso per mancanza di prove. In entrambi i casi la giustizia ha rifiutato la richiesta della Procura, che poche settimane fa ha rinnovato le proprie autorità.
La nuova procuratrice è Luz Camargo, avvocato proposto dal presidente di sinistra, Gustavo Petro, e scelta dalla Corte Suprema di Giustizia, che ha presentato nuove prove che aprono le porte ad uno storico processo.
La nuova configurazione istituzionale ha permesso così di sbloccare il caso contro l’ex presidente, che rischia una condanna di otto anni di carcere, ma soprattutto l’apertura di decine di altri casi che lo legano ai crimini contro l’umanità commessi dalle forze armate colombiane durante i suoi due periodi come presidente tra il 2002 e il 2010.
Il caso che più preoccupa gli avvocati di Uribe è quello dei cosiddetti Falsi Positivi, casi di persone innocenti torturate, uccise e poi fatte passare per guerriglieri dall’esercito colombiano. A partire dal 2005, Uribe lanciò un programma di incentivi economici per i soldati che ottenessero risultati concreti nella lotta contro le guerriglie colombiane. Il tutto durante il periodo della cosiddetta politica della “Sicurezza democratica”, che affrontava il conflitto interno colombiano esclusivamente dal punto di vista militare e riceveva ingenti finanziamenti dagli Stati Uniti tramite il Plan Colombia.
L’obiettivo dell’ex presidente Uribe era che la riduzione dell’attività delle guerriglie venisse riflessa negli indici e nelle statistiche internazionali, consentendo all’esercito di agire con ampi poteri discrezionali. Ma i processi aperti a partire dagli accordi di pace stabiliti nel 2016 tra il governo di Juan Manuel Santos e la guerriglia delle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (Farc), hanno aperto un vaso di Pandora, intorno agli avvenimenti di quegli anni. Le testimonianze intorno alla violazione dei diritti umani da parte dell’esercito colombiano sono state possibili grazie all’istituzione di un Tribunale Speciale chiamato JEP, Giurisdizione Speciale per la Pace, introdotto dall’accordo del 2016, e che si propone di giudicare le peggiori atrocità commesse durante il conflitto colombiano iniziato negli anni ’50. Ed è anche una delle iniziative più avversate dalla destra colombiana, che risponde a Uribe.
L’obiettivo del tribunale è fare chiarezza su quanto accaduto per garantire che tali crimini non si ripetano da parte delle guerriglie e dell’esercito. Per questo motivo, le pene per i reati che non sono considerati crimini contro l’umanità sono ridotte, per incentivare i colpevoli a testimoniare. La dirigenza delle Farc ha ammesso di aver reclutato bambini per decenni, oltre a aver commesso massacri e aver mantenuto connivenze con i narcotrafficanti.
Secondo le testimonianze date da ex militari e contadini nel contesto delle indagini sui Falsi Positivi, durante il governo Uribe sono stati uccisi 6.402 civili da parte delle forze armate fatti poi passare come guerriglieri. E si stima che lo stesso presidente possa finire di fronte alla Corte Penale Internazionale per le sue responsabilità in quest’ambito.
Ma Uribe rimane ancora uno degli uomini più potenti del paese. Il ritratto che ne emerge dall’incendiario reportage del settimanale Semana sul Caso Uribe ne è una prova: “Mentre i nemici politici di Uribe festeggiavano, in altri settori sono scattati allarmi per la possibilità di trovarsi di fronte alla materializzazione di un piano di persecuzione contro l’ex presidente più popolare oggi nel paese. Lo stesso che ha messo alle strette le Farc, i cui comandanti, in un paradosso della storia, sono oggi al Congresso, liberi, protetti dallo stesso Stato, senza alcuna condanna e senza aver risarcito le loro vittime, dopo otto anni dalla firma dell’accordo dell’Avana, durante il governo Santos. La parola d’ordine degli ex capi delle Farc è quella di vedere Uribe alla sbarra e condannato. L’ex presidente, per loro, è un trofeo di guerra”, scrive Semana.
L’avvio del procedimento giudiziario contro Uribe, un obiettivo da anni perseguito dalla sinistra colombiana oggi guidata dal presidente Gustavo Petro, si concretizza però in un momento in cui il primo governo progressista della storia colombiana affronta serie difficoltà. Non solo le principali riforme sociali ed economiche volute dall’esecutivo sono state bocciate dal Congresso a maggioranza conservatrice, ma anche sul piano della pacificazione del paese, la grande promessa di Petro durante la campagna elettorale del 2022, le cose non vanno come previsto.
Il piano di governo, intitolato Paz Total, prevede l’apertura di tavoli di dialogo con tutte le organizzazioni armate del paese, in cambio di un cessate il fuoco che permetta di frenare la violenza contro la popolazione civile. Tra i gruppi più rilevanti che controllano zone particolarmente estese del paese si trova l’Esercito di Liberazione Nazionale (ELN), la seconda guerriglia di sinistra più importante della storia del paese dopo le estinte FARC; le Autodefensas Gaitanistas, l’organizzazione di narcotraffico più ricca e potente del paese, con quasi 9.000 membri, che controlla buona parte del territorio confinante col Venezuela; e i gruppi dissidenti delle ex-FARC, che non hanno accettato i termini degli accordi del 2016 e hanno deciso di continuare la lotta armata.
Il dialogo di pace con l’ELN si è impantanato a inizio aprile dopo la decisione del governo di aprire negoziazioni parallele con alcuni gruppi locali della guerriglia bypassando il comando unificato centrale. Le ex FARC, dopo le prime tensioni al tavolo dei negoziati, hanno addirittura promosso il disboscamento illegale della foresta amazzonica nelle zone da loro controllate per obbligare il governo a cedere.
Ma il vero grattacapo sono le Autodefensas Gaitanistas, note anche come Clan del Golfo. Nonostante gli sforzi il governo, Petro non è riuscito a instaurare un dialogo stabile con questa organizzazione che mantiene conflitti armati con tutte le altre, e funge da capro espiatorio per evitare la pace: se il Clan del Golfo non lancia un cessate il fuoco, il resto dei gruppi armati si sente minacciato e si rifiuta di lasciare le armi.
Insomma, sebbene la giustizia sembra aver trovato la strada per cominciare a far luce sul passato oscuro del paese, il presente sembra ancora minato da sfide e ostacoli estremamente difficili per il governo Petro. E soprattutto per la popolazione civile, intrappolata in una guerra senza fine da oltre 70 anni.