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Coronavirus, Italia: tra Stato e regioni qualcosa non va


Coronavirus: in Italia l'emergenza ha scatenato una crisi anche istituzionale. Squilibri e differenze territoriali caratterizzano il sistema sanitario nazionale

“Sono pronto a chiudere i confini della Campania”. Distratti da tanti avvenimenti drammatici, abbiamo forse trascurato la notizia che il Presidente De Luca ha lanciato in rete nel corso di una delle sue quasi quotidiane dirette Facebook. La Campania, e si può supporre per analogia anche le altre regioni italiane, è dunque dotata di confini militarmente difendibili: ponti levatoi sul Garigliano, trincee scavate nel Matese e filo spinato appena fuori Sapri. Qualche ora dopo De Luca ha corretto, spiegando che non pensava di schierare i doganieri ma più modestamente di mandare in quarantena obbligatoria chiunque fosse arrivato in regione provenendo da un’area ad alta densità di contagio. Niente di più di quello che aveva già ordinato settimane prima, il 22 marzo, e che si è dimostrato inapplicabile a tutti quelli che si spostano legittimamente, per lavoro o altre esigenze indifferibili. Mentre per fermare gli altri, quelli che non avevano una ragione valida per spostarsi, al tempo bastavano le sanzioni previste per tutti. Su tutto il territorio nazionale.

I confini delle regioni italiane sono una convenzione introdotta per ragioni statistiche, nel 1948 la Costituzione ha adottato la cartografia utilizzata dal Regno d’Italia per i censimenti. Ben altre radici storiche, affinità culturali, sociali ed economiche hanno le province e i comuni italiani. Eppure sono le regioni a guidare la spinta autonomista che era giunta al punto, prima dell’esplosione della pandemia, di portare due Governi (Gentiloni e Conte uno) a firmare accordi per la concessione di un’autonomia speciale a tre regioni ordinarie (Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna). Il Governo in carica si era spinto alla soglia di una riforma di sistema. Discutendo in Consiglio dei Ministri una legge quadro che prevede forme di autonomia rafforzata per tutte le regioni che ne avanzano richiesta (nel frattempo Toscana e Liguria si erano aggiunte all’elenco) sulla base di accordi a due – Presidente del Consiglio-Presidente della Regione − sui quali il Parlamento esprime un parere, non vincolante. Tutto questo prima della pandemia.

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