Coronavirus, la risposta dell'Unione europea solidale c’è stata ma la crisi ha scatenato una nostalgia neo-nazionalista, basata sull’illusione che chiuderci in casa ci salverà
Coronavirus, la risposta dell’Unione europea solidale c’è stata ma la crisi ha scatenato una nostalgia neo-nazionalista, basata sull’illusione che chiuderci in casa ci salverà
L’Unione europeacon ogni probabilità sopravvivrà al coronavirus e potrebbe perfino uscirne rafforzata, ma corre anche il rischio di gravi sequele che potrebbero modificare per sempre la sua struttura e ragion d’essere dopo le decisioni senza precedenti che sono state assunte per far fronte all’emergenza sanitaria e alle conseguenze economiche della pandemia. Contrariamente alla narrazione prevalente in Italia e sul resto del continente, almeno per i suoi standard, l’Ue ha reagito con rapidità e forza inusuale alla pandemia del Covid-19.
Priva di competenze nel settore sanitario, la Commissione di Ursula von der Leyen ha fatto molto di più di quanto previsto dal Trattato per aiutare gli Stati membri in difficoltà come l’Italia. Superando le tradizionali fratture tra nord e sud, la Commissione e l’Eurogruppo hanno adottato decisioni storiche come la sospensione delle regole del Patto di Stabilità e Crescita e il via libera a un pacchetto di 540 miliardi di euro di aiuti. Altro arriverà nei prossimi mesi, come la creazione di un Recovery Fund (Fondo per la ripresa) che potrebbe costituire un embrione di eurobond, raccogliendo risorse come l’emissione di titoli sui mercati grazie alla garanzia del bilancio Ue.
Lungi dall’avere responsabilità fiscali di tipo federale, l’Ue è già andata ben oltre le sue strette competenze formali per dimostrare quella solidarietà che era stata chiesta da Paesi come Italia e Spagna. Gli euro-ottimisti immaginano già un’Unione che riconquista sovranità politica e economica, utilizzando il coronavirus per rilocalizzare le produzioni che oggi stanno in Asia, costruire un futuro fondato sul Green Deal e affermare l’autonomia strategica digitale. Ma le misure emergenziali adottate dalle istituzioni Ue e ancor più dai suoi Stati membri stanno avendo anche effetti perversi e controproducenti, che potrebbero prolungarsi nel tempo mettendo a rischio le fondamenta del progetto comunitario. Ritorno delle frontiere fisiche, poteri d’emergenza che rimettono in discussione i principi democratici e lo Stato di diritto, utilizzo generalizzato e abusivo di aiuti di Stato anche se non collegati al Covid-19, pericolo di una nuova crisi del debito sovrano: una volta superata la pandemia, l’Ue potrebbe scoprirsi molto più nazionale e meno comunitaria, lasciando gli Stati membri liberi di aggirare quelle regole che sono state alla base della prosperità di tutti.
Pur non avendo competenze nel settore sanitario, la Commissione è stata la prima a lanciare, già alla fine del mese di gennaio, seri avvertimenti sulla necessità per gli Stati membri di prepararsi al peggio con il rafforzamento dei sistemi sanitari e la creazione di stock strategici di mascherine e tute protettive. “Come Commissione vogliamo fornire tutto il sostegno ai nostri Stati membri”, aveva detto la commissaria alla Sanità, Stella Kyriakides, in una conferenza stampa il 28 gennaio: “nel contesto del coronavirus, questo significa assicurare la preparazione e il coordinamento delle misure di risposta per prevenire la diffusione del virus dentro l’Ue”. Tre giorni dopo, il 31 gennaio, in una riunione del Comitato di sicurezza sanitaria dell’Ue, la Commissione aveva chiesto agli Stati membri se avevano necessità di materiale di protezione personale, come mascherine e tute. Solo quattro Stati membri hanno risposto che rischiavano problemi in caso di epidemia in Europa, ma nessuno ha chiesto appalti comuni mentre il rappresentante dell’Italia era assente. Sin dal mese di febbraio l’esecutivo comunitario ha cercato di coordinare la risposta dei singoli Governi nazionali e di utilizzare strumenti come il meccanismo Ue di protezione civile e le gare d’appalto comuni per facilitare l’arrivo di materiale sanitario laddove serviva di più.
Sul fronte economico, dopo la decisione a marzo di diversi Governi di chiudere scuole, ristoranti e fabbriche, la Commissione ci ha messo meno di due settimane a sospendere il Patto di Stabilità e Crescita e quello sugli aiuti di Stato per permettere agli Stati membri di iniettare migliaia di miliardi di aiuti finanziari per imprese, lavoratori e famiglie. Nel frattempo la Commissione ha adottato una serie di misure sui fondi strutturali per permettere agli Stati membri di usare in modo flessibile risorse che altrimenti avrebbero dovuto restituire a Bruxelles, mobilitando fino a 36 miliardi di euro di liquidità immediata. Infine, l’esecutivo von der Leyen ha lanciato Sure – uno strumento da 100 miliardi per aiutare gli Stati membri a finanziare meccanismi come la cassa integrazione e combattere la disoccupazione – che è entrato a far parte di un più ampio pacchetto dell’Eurogruppo.
Sul piano economico un ruolo decisivo è stato ricoperto dalla Banca centrale europea. L’istituzione diretta da Christine Lagarde ha lanciato un programma di acquisto di titoli contro gli effetti della pandemia da 750 miliardi, abbandonando le chiavi di ripartizione nazionali al fine di proteggere i paesi più fragili. Altre misure senza precedenti sono state adottate (come la possibilità di usare titoli spazzatura come collaterali) e altre ancora ne verranno. Nonostante divisioni e lentezze iniziali, anche i Ministri delle Finanze dell’Eurogruppo hanno giocato la loro parte. Il pacchetto messo in piedi da Mario Centeno, e che ha ricevuto la benedizione dei capi di Stato e di Governo il 23 aprile, oltre a Sure prevede altri tre pilastri. Il primo è una rete di sicurezza per gli Stati membri: con linee di credito per 240 miliardi, il Meccanismo europeo di stabilità – il famigerato fondo salva-Stati Mes – permetterà ai governi di ottenere prestiti fino al 2% del Pil per finanziare i costi diretti e indiretti legati a sanità e prevenzione, senza condizionalità macro-economiche aggiuntive e con tassi e maturità molti vantaggiosi. Inoltre l’uso delle linee di credito Eccl del Mes permetterebbe alla Bce di attivare lo scudo anti-spread Omt inventato da Mario Draghi nel 2012 all’apice della crisi del debito sovrano.
Il secondo pilastro è un piano della Bei per fornire 200 miliardi di garanzie alle imprese, in particolare le Pmi, su prestiti a alto rischio le cui eventuali (e probabili) perdite saranno mutualizzate. L’ultimo pilastro è la creazione di un Recovery Fund, all’interno del quadro finanziario pluriennale dell’Ue (il bilancio 2021-2027): tra leva finanziaria e moltiplicatori, la Commissione è convinta di poter mobilitare fino a 2.000 miliardi di euro per curare le economie dopo il coma artificiale in cui sono state messe. Il Recovery Fund è tutto da negoziare, in particolare sui meccanismi di finanziamento, su una soluzione ponte che permetta di anticipare i fondi, sulla quota di prestiti e quella di finanziamenti a fondo perduto. Ma il principio non è più messo in discussione da nessuno.
Fiumi di inchiostro sono stati spesi per raccontare le divisioni e gli egoismi nazionali che hanno contraddistinto i negoziati sulla condizionalità del Mes, il Recovery Fund e l’idea di lanciare degli eurobond ribattezzati coronabond. Molta meno attenzione è stata prestata allo smantellamento di alcuni degli acquis dell’Ue in nome dell’emergenza coronavirus, a cui la Commissione von der Leyen ha dato esplicitamente o implicitamente la sua benedizione. Il primo e più evidente è stata la rimessa in discussione del mercato interno con la decisione di Germania, Francia e altri Paesi di vietare l’esportazione di materiale sanitario come mascherine e ventilatori. La Commissione è intervenuta con la moral suasion, convincendo la Germania a allentare le sue restrizioni, ma il principio del blocco delle esportazioni per ragioni di sicurezza nazionale è stato affermato.
Lo stesso è accaduto con il ritorno caotico delle frontiere interne all’Ue. Da inizio marzo, tutti gli Stati membri hanno reintrodotto controlli che hanno paralizzato merci e persone. Alla frontiera tra Polonia e Germania si sono create code di oltre 200 chilometri di camion carichi di merci, con un rischio reale di crisi umanitaria per migliaia di cittadini di Lettonia, Lituania e Estonia a cui era stata negata la possibilità di attraversare il territorio polacco per rientrare nei loro Paesi. La Commissione si è precipitata a inventarsi “corsie verdi” per garantire il passaggio di merci, ma due delle libertà fondamentali dell’Ue – la libera circolazione di persone e merci – oggi sono molto più fragili e lasciate alla libera interpretazione dei Governi delle situazioni epidemiologiche in altri Paesi.
La deriva verso un protezionismo nazionale potrebbe essere affiancata da un utilizzo politico degli aiuti di Stato, comprese tentazioni neo-stataliste. L’Italia, con il salvataggio di Alitaliae l’ipotesi di concedere aiuti solo alle imprese che rispettano una serie di condizioni politiche poste dal Governo, ne è un esempio. Mantenere il Patto di Stabilità sospeso a lungo nel medio periodo potrebbe portare a una nuova crisi del debito sovrano che approfondirebbe la frattura nord-sud e, alla fine, alla rottura definitiva della zona euro. Tra gli acquis comunitari, perfino i diritti dei passeggeri aerei sono rimessi in discussione, con 12 paesi che chiedono alla Commissione di sospendere l’obbligo di rimborso per le compagnie che hanno annullato i voli. Molto più grave, infine, è la mancanza di una condanna esplicita di chi sta usando l’emergenza Covid-19 per violare i principi dello Stato di diritto e della democrazia. La Commissione non ha voluto condannare le leggi emergenziali con cui Viktor Orban si è attribuito poteri straordinari in Ungheria, né la decisione del governo nazionalista in Polonia di procedere a elezioni presidenziali per posta in barba all’esigenza di garantire una campagna elettorale e un voto liberi e corretti. Per ora gli effetti secondari del Covid-19 sull’Ue sono meno visibili del numero di decessi e della grande recessione in cui è entrata l’economia. Ma finita l’emergenza, se non sarà curata la patologia del nazionalismo politico e economico, un’Ue malmessa e fragile potrebbe soccombere.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di giugno/luglio di eastwest.
L’Unione europeacon ogni probabilità sopravvivrà al coronavirus e potrebbe perfino uscirne rafforzata, ma corre anche il rischio di gravi sequele che potrebbero modificare per sempre la sua struttura e ragion d’essere dopo le decisioni senza precedenti che sono state assunte per far fronte all’emergenza sanitaria e alle conseguenze economiche della pandemia. Contrariamente alla narrazione prevalente in Italia e sul resto del continente, almeno per i suoi standard, l’Ue ha reagito con rapidità e forza inusuale alla pandemia del Covid-19.
Priva di competenze nel settore sanitario, la Commissione di Ursula von der Leyen ha fatto molto di più di quanto previsto dal Trattato per aiutare gli Stati membri in difficoltà come l’Italia. Superando le tradizionali fratture tra nord e sud, la Commissione e l’Eurogruppo hanno adottato decisioni storiche come la sospensione delle regole del Patto di Stabilità e Crescita e il via libera a un pacchetto di 540 miliardi di euro di aiuti. Altro arriverà nei prossimi mesi, come la creazione di un Recovery Fund (Fondo per la ripresa) che potrebbe costituire un embrione di eurobond, raccogliendo risorse come l’emissione di titoli sui mercati grazie alla garanzia del bilancio Ue.
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