Il Covid continua a colpire l’America Latina, che conta quasi un quarto dei morti a livello mondiale. Ma i Paesi si stanno attrezzando per reagire…
Il primato cileno
Il Cile è stato il più veloce ed efficace nella vaccinazione della popolazione: con 18 vaccinati ogni cento persone è il primo Paese in America Latina e il quinto a livello mondiale, davanti all’Italia (7.2) e superiore anche alla media europea (7.5). La chiave del successo di Santiago è un mix di lungimiranza politica, accordi commerciali con laboratori sparsi in mezzo mondo e un sistema sanitario solido.
A inizio 2020, il Governo di Sebastian Piñera ha puntato al ‘chi fa da sé, fa per tre’, scartando le proposte di collaborazione latinoamericane avanzate da altri Paesi, come l’Argentina. La strategia solitaria si è dimostrata vincente: in tre settimane dall’avvio della campagna vaccinale, tutti i cittadini con più di 65 anni hanno avuto già la prima dose e, da inizio marzo, stanno ricevendo la seconda. Il pragmatismo di Piñera ha puntato a differenziare gli accordi commerciali, siglando contratti con vari laboratori per minimizzare i rischi. “Nel 2020 eravamo in uno scenario incerto, non sapevamo come sarebbero andati gli esperimenti vaccinali, non c’erano normative e i laboratori stavano iniziando le loro catene di produzione. Ma a volte le scommesse funzionano e fortunatamente con Sinovac è stata un’ottima scommessa. E anche quella con Pfizer è andata bene, anche se per una quantità minore di dosi”, spiega Rodrigo Yáñez, Sottosegretario cileno alle Relazioni Economiche Internazionali.
Gli accordi con i laboratori cinesi, canadesi estatunitensi sono stati supportati dalla struttura economica aperta al commercio internazionale, grazie agli oltre trenta accordi di libero scambio che legano il Paese andino alle principali economie mondiali.
Vi è poi un elemento interno: il sistema di salute pubblico. Si tratta di una delle poche strutture pubbliche sopravvissute alle privatizzazioni della dittatura militare di Pinochet (1973-1989), presente in maniera omogenea in tutto il Paese, capace di gestire catene di distribuzione complesse come quelle di una campagna vaccinale.
Il vaccino cubano
Sempre sul fronte dei primati, Cuba vanta la prima produzione nazionale di un vaccino in America Latina e nei Caraibi. Il Paese caraibico lavora su quattro tipologie distinte: finora la più avanzata è la Soberana 02, giunta con successo alla terza – e ultima – fase dei test, prima di essere distribuita alla popolazione. Il vaccino Soberana 02 è stato somministrato a 150mila volontari cubani e iraniani e adesso anche il Messico si candida a partecipare alle prove della terza fase.
Se anche questa dovesse andare a buon fine, Cuba punta a produrre 100 milioni di dosi del vaccino entro la fine del 2021, diventando così uno dei primi Paesi a vaccinare l’intera popolazione (11,2 milioni di abitanti). La restante parte sarà esportata o fornita ai turisti, come è stato annunciato da fonti governative. Difatti, turismo e medicina sono le fonti principali di attivo per la bilancia commerciale di Cuba, che nel 2020 aveva inviato personale medico in molti Paesi, compresa l’Italia, per supportare la lotta al Covid-19.
Il risultato, se confermato, è la riprova dei successi scientifici dell’isola caraibica. Un apparente paradosso per un Paese dove spesso mancano prodotti di prima necessità, ma che si posiziona all’avanguardia mondiale per la ricerca nel settore delle biotecnologie farmaceutiche: “Non è un miracolo: ci sono un notevole sviluppo scientifico a Cuba e 30 anni di esperienza nella produzione di vaccini”, afferma José Moya, rappresentante a Cuba dell’Organizzazione panamericana della sanità (OPS/OMS), ricordando che l’isola è stata il primo Paese a sviluppare un vaccino contro il meningococco e a produrne uno contro l’epatite B, poi diffuso in America Latina e Africa.
Il Brasile tra emergenza e negazione
Il Brasile è tornato a essere il focolaio mondiale della pandemia da Covid-19, con 250mila morti e terzo al mondo per numero di casi (10,55 milioni), dietro a Stati Uniti (28,6 milioni) e India (11,1 milioni). Mentre si diffondono le nuove varianti, il sistema sanitario è alla deriva: a Manaus si muore per mancanza di bombole di ossigeno; nello Stato di San Paolo si registrano cento nuovi ricoveri giornalieri in terapia intensiva, il che porterebbe al collasso il sistema, sia pubblico sia privato, nei prossimi 20 giorni, secondo le stime del Governo Doria; a Brasilia il governatore, Ibaneis Rocha, ha decretato il lockdown a partire da domenica scorsa. “Nella prima ondata, le regioni metropolitane sono state le prime vittime. Poi, le città medie e piccole. C’era una gerarchia. Adesso, sta accadendo tutto nello stesso momento”, spiega il medico Christovam Icict. La mancanza di letti di terapia intensiva porta i governatori ad adottare nuove misure restrittive o a rafforzare quelle già applicate. Ciò alimenta il malcontento della popolazione (che è anche scesa in piazza per protestare), supportata dal Presidente Jair Bolsonaro, il quale continua a negare la pericolosità del virus: “Quando chiudi i negozi e ti costringono di nuovo a rimanere a casa, arriva la disoccupazione di massa con conseguenze disastrose per il Paese”, ha scritto pochi giorni fa su Twitter.
Vaccino: “affare di famiglia” in Ecuador e Perù
Il virus ha colpito duramente anche i Paesi andini, come Ecuador e Perù, dove non sono mancate vicende di nepotismo e corruzione. Sia a Lima che a Quito, gli esponenti dei rispettivi Governi – che condividono i ritardi nella campagna vaccinale e una gestione quantomeno maldestra dell’emergenza – sono passati agli onori delle cronache per aver beneficiato del vaccino ben prima del personale sanitario e delle categorie considerate a rischio: è il caso sia dell’ex Presidente peruviano Martín Vizcarra, sia del Ministro della Sanità dell’Ecuador, Juan Carlos Zevallos, che ha lasciato il suo incarico travolto dalle polemiche.
L’asse Buenos Aires-Città del Messico
Argentina e Messico, accomunate da Governi di tendenza progressista, ad agosto dello scorso anno hanno siglato un accordo di cooperazione per la produzione e diffusione del vaccino in tutta la regione. L’accordo prevede la fornitura del vaccino AstraZeneca, grazie anche alla collaborazione con l’Università di Oxford. Il gigante farmaceutico ha rinunciato agli utili delle vendite del vaccino per un anno e i costi di produzione sono andati a carico della fondazione del magnate messicano Carlos Slim, che ha posto come condizione la produzione del siero in territorio latinoamericano. La fabbricazione avviene nel laboratorio argentino mAbxience(con una capacità di produzione di 18 milioni di dosi al mese), il liquido viene poi travasato nelle fiale del laboratorio messicano Liomont, nel municipio di Ocoyoacac, vicino alla capitale.
Ma la catena di produzione è in ritardo a causa di un boom di domanda e di un’offerta che non riesce a tenere il passo dell’emergenza; mancano soluzioni saline, siringhe, boccette.
L’asse Messico-Argentina per una produzione di vaccino Made in Latin America è certamente una buona notizia per lo scenario regionale, caratterizzato da oltre 20 milioni di contagi e circa 650mila morti, con le campagne vaccinali che viaggiano a velocità molto diverse. Un’ultima speranza è riposta sul piano Covax dell’Oms, che distribuirà circa 337 milioni di dosi ai Paesi di reddito medio-basso: tra queste 10 milioni al Brasile, 885mila all’Ecuador e altrettante ad Haiti.
Il Covid continua a colpire l’America Latina, che conta quasi un quarto dei morti a livello mondiale. Ma i Paesi si stanno attrezzando per reagire…
Il Cile è stato il più veloce ed efficace nella vaccinazione della popolazione: con 18 vaccinati ogni cento persone è il primo Paese in America Latina e il quinto a livello mondiale, davanti all’Italia (7.2) e superiore anche alla media europea (7.5). La chiave del successo di Santiago è un mix di lungimiranza politica, accordi commerciali con laboratori sparsi in mezzo mondo e un sistema sanitario solido.
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