Cuba: il sistema sanitario nazionale garantisce cura e prevenzione alla popolazione. Una potenza scientifica al servizio di emergenze e calamità mondiali
Cuba: il sistema sanitario nazionale garantisce cura e prevenzione alla popolazione. Una potenza scientifica al servizio di emergenze e calamità mondiali
Lo sbarco a Crema di 35 medici e 17 infermieri cubani ha fatto grande scalpore in Italia, ma in realtà non è una grande notizia. I medici cubani, infatti, stanno attualmente operando in 31 Stati al mondo. Per la prima volta, però, vengono inviati ad affrontare un’emergenza in un Paese europeo. L’impegno internazionalista cubano in campo sanitario ha radici che risalgono all’alba della rivoluzione socialista del 1959.
L’impegno internazionalista cubano nelle emergenze sanitarie
Il Paese caraibico all’epoca aveva 6000 medici, quasi tutti concentrati a L’Avana. Con la rivoluzione metà di loro abbandonò Cuba, dove si aprì una profonda crisi sanitaria. Fu il comandante e medico Ernesto Che Guevara a porre le basi di un sistema sanitario nazionale che, per la prima volta, avrebbe dovuto coprire i bisogni dei poveri e delle aree rurali. Per il Che, il ruolo della medicina sociale era quello di “non pensare al profitto, ma di tenere in conto soltanto il benessere del singolo individuo in rapporto a quello dell’intera collettività”, in un approccio che comprendeva anche la scuola, l’alimentazione e il lavoro.
Nel 2014, quel sistema sanitario nato dalle ceneri della dittatura di Batista era il terzo al mondo nel rapporto medici-popolazione. Un grande traguardo, che appare un’impresa titanica considerando che la sanità cubana da sempre ha dovuto fare i conti con la scarsità di medicine e di apparecchiature per via dell’embargo statunitense e della povertà del Paese. Proprio per questo il sistema sanitario ha concentrato buona parte delle risorse sulla prevenzione, creando una rete di medici di base che copre l’intera popolazione. Non si tratta di medici chiamati solo a scrivere ricette e dirottare i pazienti verso cure specialistiche. Sono medici che hanno anche un ruolo di presidio sociale, riguardante per esempio le vaccinazioni, l’assistenza alle gravidanze e agli anziani, e in senso più esteso anche le emergenze. Questa rete di medici di base è connessa alle 452 piccole e grandi strutture ospedaliere dell’isola. Uno dei grandi risultati del sistema cubano, certificato da Unicef nel 2016, è l’essere riuscito a ridurre la mortalità infantile sotto i 5 morti ogni 1000 nati, portando il Paese nel gruppo delle prime 40 nazioni del mondo.
La ricerca accademica
Il sistema sanitario cubano è supportato da una rete di ricercatori e da un’industria locale del farmaco di altissimo livello. Nel 1985 a Cuba è stato inventato il primo e unico vaccino contro la meningite B e sono stati ultimati nuovi trattamenti per combattere l’epatite B, il diabete, la psoriasi; inoltre si è perfezionato un vaccino contro il cancro ai polmoni attualmente in sperimentazione negli Stati Uniti. Cuba è stata il primo Paese al mondo a eliminare la trasmissione dell’HIV per via materno-infantile. La sanità è davvero una priorità per lo Stato, che vi impegna l’11% del Pil contro l’8,8% dell’Italia.
Questi traguardi, insieme alla formazione a ciclo continuo di un vero e proprio esercito di medici e paramedici, hanno consentito a Cuba di disporre di una risorsa impensabile in passato: l’assistenza sanitaria internazionale. Un po’ come atto di solidarietà (per esempio ad Haiti), un po’ a pagamento (come ora in Cile), o ancora in cambio di petrolio (in Venezuela), i medici cubani impegnati all’estero rendono al Paese circa 8 miliardi di dollari all’anno. Ma è anche un’opportunità unica per i medici, che anziché guadagnare 50 dollari, se sono impegnati all’estero ne guadagnano 1000, e ciò contribuisce a indirizzare molti giovani verso la professione medica. Questa realtà unica al mondo si fonda sul “Contingente internazionale di medici specializzati in situazioni di catastrofe e gravi epidemie”, meglio noto come “Brigada Medica Henry Reeve” (un newyorchese che diede la vita combattendo per l’indipendenza di Cuba).
La Brigata Reeve fu istituita nel 2005 per assistere l’Angola e oggi è formata da migliaia di professionisti che si sono contraddistinti per il loro lavoro sul campo, portando assistenza dopo i terremoti che hanno colpito Pakistan, Cile e Haiti, e combattendo l’ebola in Congo e Sierra Leone. Ne fanno parte medici specializzati in diversi campi: chirurghi, epidemiologi, gastroenterologi, cardiologi, ma anche psichiatri e pediatri.
Il caso di Haiti
Tra Haiti e Cuba ci sono appena 85 chilometri di mare, ma la distanza tra i sistemi sanitari dei due Paesi è incommensurabile. Quando, nel 2010, i medici cubani si precipitarono a portare aiuto nell’emergenza umanitaria seguita al terremoto trovarono una sanità locale disastrata. Erano crollati due terzi dei già pochi ospedali presenti. Sull’isola si contavano appena 900 medici e 3000 infermiere, che all’80% operavano nelle città; oltre 125 comuni non avevano alcun tipo di struttura sanitaria. Ad Haiti, inoltre, il 45% della popolazione non aveva accesso all’acqua potabile e l’83% era privo di copertura sanitaria. Sono dati da tenere presenti quando si fanno paragoni con la realtà cubana: il contesto regionale nel quale Cuba ha sviluppato uno dei migliori sistemi sanitari al mondo è lo stesso in cui si trovano Haiti e la Repubblica Dominicana, che con Haiti condivide l’isola di Hispaniola, e che pur essendo più ricca dispone appena di 15.000 medici e 8000 posti letto ospedalieri per 11 milioni di abitanti. L’assistenza medica cubana ad Haiti è stata gratuita ed è continuata anche durante l’ondata di colera; tuttora garantisce almeno il controllo delle epidemie.
Il sistema sanitario odierno
Ovviamente anche a Cuba, nel mondo della sanità, non è tutto oro quel che luccica. Oggi, secondo le critiche, il sistema è diviso in tre: la medicina d’avanguardia per stranieri, che pagano in valuta le cure specialistiche nelle cliniche dell’Avana; quella per i cubani, sempre di buon livello, ma con strutture scadenti e con pochi mezzi materiali; e infine la medicina da esportazione, specializzata in emergenze. Altre note dolenti riguardano la formazione dei medici, in passato fiore all’occhiello, ma che ora tenderebbe a essere più veloce e approssimativa.
Si tratta di critiche sicuramente centrate, ma che nulla tolgono al ruolo essenziale che l’assistenza cubana svolge in molti Paesi. Cuba è riuscita in un’operazione mai tentata da nessuno: investire massicciamente a favore della salute dei cittadini praticamente senza oneri per lo Stato, perché lo stesso sistema sanitario genera risorse: con gli stranieri che si fanno curare a Cuba, e con le missioni internazionali. In un mondo sempre più destrutturato, dove anche in Europa, culla dell’assistenza medica per tutti, i processi di privatizzazione portano a ridurre la capacità di risposta alle emergenze, ecco che Cuba ha da vendere un prodotto prezioso: soprattutto perché nel frattempo le pandemie si moltiplicano, in un contesto globale in cui il rapporto tra uomo e natura è sempre più squilibrato.
La Protezione Civile cubana
La chiave del successo cubano nella risposta all’emergenza è stata la militarizzazione della sanità, nel senso della definizione precisa dei ruoli per fare fronte alle emergenze. A Cuba non soltanto ogni cittadino ha a disposizione un medico di base, ma in casi di emergenza, come ad esempio i frequenti uragani, esiste una rete capillare di paramedici che visitano i pazienti e portano a domicilio aiuti e alimenti: un servizio drammaticamente assente nella crisi pandemica che sta esplodendo in Europa. Si tratta dello stesso sistema della Protezione Civile cubana. Che ha pochissimi mezzi, ma basa la sua forza sull’organizzazione e sull’assegnazione di un ruolo specifico a ciascuno. Lo stesso uragano che ad Haiti uccide migliaia di persone, a Cuba provoca pochi morti, e di solito sono persone con precedenti problemi di salute.
Da Cuba, sotto questo aspetto, c’è molto da imparare. O meglio, da ricordare: perché prima ancora della disponibilità di mezzi tecnici moderni e di risorse economiche vengono l’organizzazione, la prevenzione e il saper cosa fare in caso di emergenza. A Cuba la sanità suona come un’orchestra, e malgrado le stonature di questi ultimi anni e l’ulteriore giro di vite imposto da Donald Trump sull’infinito embargo, le cose continuano a funzionare. Ecco perché c’era poco da stupirsi dell’arrivo dei medici cubani a Crema.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di giugno/luglio di eastwest.
Lo sbarco a Crema di 35 medici e 17 infermieri cubani ha fatto grande scalpore in Italia, ma in realtà non è una grande notizia. I medici cubani, infatti, stanno attualmente operando in 31 Stati al mondo. Per la prima volta, però, vengono inviati ad affrontare un’emergenza in un Paese europeo. L’impegno internazionalista cubano in campo sanitario ha radici che risalgono all’alba della rivoluzione socialista del 1959.
L’impegno internazionalista cubano nelle emergenze sanitarie
Il Paese caraibico all’epoca aveva 6000 medici, quasi tutti concentrati a L’Avana. Con la rivoluzione metà di loro abbandonò Cuba, dove si aprì una profonda crisi sanitaria. Fu il comandante e medico Ernesto Che Guevara a porre le basi di un sistema sanitario nazionale che, per la prima volta, avrebbe dovuto coprire i bisogni dei poveri e delle aree rurali. Per il Che, il ruolo della medicina sociale era quello di “non pensare al profitto, ma di tenere in conto soltanto il benessere del singolo individuo in rapporto a quello dell’intera collettività”, in un approccio che comprendeva anche la scuola, l’alimentazione e il lavoro.
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