Un rapporto di Freedom House dice che in Europa e in Eurasia stanno crescendo rapidamente gli attacchi alla democrazia. I segnali esistono da tempo…
Una manifestazione antigovernativa nel centro di Budapest, Ungheria, 17 marzo 2013. REUTERS/Bernadett Szabo
Mentre i Governi nazionali si apprestano a presentare i loro Recovery Plan a Bruxelles e gli ultimi Parlamenti nazionali a ratificare quel piano che dovrebbe rilanciare il blocco europeo uscito male dagli anni della Troika, c’è chi si prepara a usare quei fondi per consolidare il proprio potere. Non solo e non tanto in termini di consenso, cosa che sarebbe lecita, ma in termini di controllo del sapere e della sua diffusione.
Bloomberg ci segnala infatti che il Parlamento ungherese ha approvato il trasferimento di una vasta gamma di beni statali per miliardi di dollari (appartamenti, un palazzo, partecipazioni in aziende blue-chip, un produttore di acciaio, uno stadio) a fondazioni quasi private che supervisioneranno sulle università statali e alla cui testa siedono stretti alleati del premier Viktor Orbán.
Dodici eurodeputati tra verdi, socialdemocratici, liberali e della Sinistra hanno scritto una lettera ottenuta e pubblicata da Politico alla Presidente della Commissione Ursula von der Leyen per manifestare la loro preoccupazione: il 20% delle risorse del Recovery Plan ungherese finirebbe proprio in quelle università e “ciò comporterebbe la scomparsa del 20% delle risorse europee in strutture di finanziamento opache (…) con lo scopo di distruggere ulteriormente la libertà accademica in Ungheria”. Sempre su Politico, Piotr Buras, che dirige l’ufficio di Varsavia dell’European Council on Foreign Relations, segnala come anche in Polonia il rischio è quello di uno discrezionale dei fondi europei in un contesto di stretta ulteriore sul potere giudiziario.
Il rapporto di Freedom House
Questa scelta di appropriarsi indirettamente delle risorse europee e utilizzarle per fini politici non è nuova all’Ungheria, che, come anche altri Paesi, sembra avere problemi crescenti con lo stato di diritto. O almeno così ritengono a Bruxelles, che nel budget 2021-27 ha incluso il meccanismo dello stato di diritto nel bilancio in risposta ai comportamenti di Budapest e Varsavia. Dello stesso parere è Freedom House, che nel rapporto pubblicato in questi giorni parla di “attacchi alle istituzioni democratiche che si stanno diffondendo più velocemente che mai in Europa ed Eurasia, e si stanno coalizzando in una sfida alla democrazia stessa”.
Vale la pena di riprenderne qualche passaggio. “Per più di due decenni dopo le transizioni che hanno messo fine alla guerra fredda, i leader e i politici hanno aderito, almeno a parole, al modello democratico. Nell’ultimo decennio, tuttavia, tra l’erosione dell’ordine liberal-democratico e l’ascesa dei poteri autoritari, l’idea della democrazia come punto di arrivo aspirazionale ha iniziato a perdere valore in molte capitali. L’incapacità delle istituzioni esistenti di affrontare le pressanti preoccupazioni della società, la crescente polarizzazione e la crescente disuguaglianza hanno alimentato l’incertezza e la rabbia, e la cattiva gestione della pandemia Covid-19 da parte delle principali democrazie ha fornito ulteriore mangime a chi è interessato a sfruttare la disillusione nei confronti dei tradizionali campioni della governance democratica”.
Le derive autoritarie
È in questo contesto che nascono obbrobri teorici come la democrazia illiberale di Viktor Orbán, con una novità che nel quadriennio trumpiano abbiamo visto in maniera piuttosto evidente: “I politici antidemocratici stanno condividendo pratiche e imparando gli uni dagli altri, accelerando…”. Nel rapporto si prendono in esame i percorsi di 18 Paesi tra Europa dell’est ed Eurasia e si indica come solo in 4 il livello di democrazia sia migliorato, mentre 14 peggiorano.
I segnali li abbiamo da tempo: attacchi ai media e tentativi di delineare un panorama mediatico nel quale le voci indipendenti sono ridotte al silenzio erano una caratteristica dell’Ungheria. Oggi, segnala Freedom House, ci sono imitatori: “In Slovenia, il Primo Ministro Janez Janša – che ha beneficiato di investimenti ungheresi nell’industria dei media – ha elevato gli attacchi verbali ai giornalisti a un nuovo livello. Ma questo processo di apprendimento antidemocratico è più visibile in Polonia, dove l’anno scorso il Governo ha usato un gigante dell’energia di proprietà statale per acquisire quattro quinti dei media regionali del Paese e ha annunciato piani per imporre una tassa sulla pubblicità, che toglierebbe risorse vitali ai media privati già in difficoltà”.
Di nuovo, il tema non è quanto questi Governi utilizzino, ad esempio, un linguaggio truce nei confronti dell’immigrazione o una retorica nazionalista discutibile, ma come stiano cambiando gli assetti istituzionali. Parliamo dell’Europa intesa come Ue, ma è inutile ricordare come in questi anni e mesi, diverse ex repubbliche sovietiche, a cominciare dalla vicina Bielorussia, stiano conoscendo una (ulteriore) stretta autoritaria.
Un rapporto di Freedom House dice che in Europa e in Eurasia stanno crescendo rapidamente gli attacchi alla democrazia. I segnali esistono da tempo…
Mentre i Governi nazionali si apprestano a presentare i loro Recovery Plan a Bruxelles e gli ultimi Parlamenti nazionali a ratificare quel piano che dovrebbe rilanciare il blocco europeo uscito male dagli anni della Troika, c’è chi si prepara a usare quei fondi per consolidare il proprio potere. Non solo e non tanto in termini di consenso, cosa che sarebbe lecita, ma in termini di controllo del sapere e della sua diffusione.
Questo contenuto è riservato agli abbonati
Abbonati per un anno a tutti i contenuti
del sito e all'edizione cartacea + digitale della rivista di
geopolitica