C’è una profonda differenza tra l’idea di esportare la democrazia in un Paese e l’intento di svilupparne le istituzioni, obiettivo che presuppone il rispetto della struttura sociale e i valori culturali di quella società
Questo articolo è il secondo capitolo della serie “L’ultimo volo da Kabul” a cura di Stefano Pontecorvo. Leggi il primo capitolo “Chi è Ashraf Ghani, l’ex Presidente afghano che non ha capito il suo Paese”.
La democrazia non si esporta. Con buona pace di coloro, e non sono pochi, che ancora ci credono e ancora agiscono per arricchire il prossimo dei valori propri e del modo proprio di riorganizzare la società e lo Stato (altrui).
Institution building
Abbiamo oramai un sufficiente bagaglio storico per capire che occorre cambiare strada. L’Afghanistan è stato solo l’ultimo esempio delle cose che possono andare storte e delle conseguenze a cui possono portare gli errori. La Nato in Afghanistan non ha fatto, né poteva fare, institution building in senso proprio, limitandosi da qualche anno ad assistere nella costruzione delle forze di sicurezza afghane (Defence Institution Building, per cui ha tutti gli strumenti). Ma quella costruzione non è stata accompagnata da un’azione internazionale coordinata di ricostruzione della società e del quadro istituzionale che le avrebbero consentito di prosperare. Questa è una delle chiavi di lettura del crollo afghano.
La Nato era entrata nel Paese dopo l’11 settembre per aiutare il maggiore alleato a evitare un altro 11 settembre. L’obiettivo era securitario, la lotta al terrorismo. Successivamente alcuni Stati membri hanno aggiunto altri obiettivi, tra cui l’institution building. Ma la Nato disponeva di un solo strumento, quello militare, inadatto a un’azione di sviluppo istituzionale e rafforzamento delle istituzioni. Con mezzi militari non si perseguono obiettivi strettamente civili. Al massimo si possono accompagnare. Il resto era compito di altri.
Vi è una grande differenza tra tentare di esportare la democrazia in un Paese e svilupparne le istituzioni. La prima suppone l’imposizione di un sistema di valori non necessariamente propri, in tutto o in parte, alla società ricevente; il secondo presuppone il rispetto della struttura sociale e i valori culturali di quella società, che deve essere accompagnata sulla via del consolidamento, della modernizzazione e dell’equità. Un obiettivo complesso, che richiede una serie di azioni coordinate e strumenti intellettuali e operativi adatti. Richiede soprattutto una comprensione della realtà sul terreno e delle condizioni sociali che si vanno a impattare. E richiede un’attenta considerazione dei valori a cui si ispira la società ricevente. Nessuno accetta volentieri imposizioni che vanno contro usi secolari. Già per creare istituzioni solide ci vogliono decenni; i tempi si allungano e i risultati diventano ancora più incerti se la società non è convinta del modello che gli si propone. In particolare, le società più tradizionali.
Cultura e divisioni etniche
Specialmente in una realtà diversificata etnicamente come lo è l’Afghanistan, l’approccio secondo il quale una misura deve andare bene a tutti non può funzionare. Strutture sociali autoctone che reggono da centinaia di anni non possono essere rimpiazzate in pochi lustri da modelli importati e non sentiti propri dalla popolazione. Lo avevano ben capito già i romani, e gli inglesi ai tempi del loro impero, che non si sognarono di sovrapporre la propria cultura a quello dei popoli conquistati, limitandosi a sovrapporre strutture amministrative che tenevano bene in conto i costumi sociali. Non voglio certo sdoganare conquiste imperiali o colonialismo, limitandomi a notare come il rispetto dei costumi e delle prassi locali sono una necessità assoluta per chi ha a cuore l’avanzamento sociale dei Paesi di cui si occupa.
Le divisioni etniche, laddove esistenti come nel caso dell’Afghanistan, rendono il tutto più difficile. Più che uno standard minimo, occorre cercare un minimo comun denominatore e costruire da lì un percorso istituzionale che sia sostenibile. Non si può imporre la democrazia ma è possibile creare le condizioni affinché le istanze di base di ogni popolo – e quello afghano non è un’eccezione – vengano accolte e possano prosperare, come base di istituzioni solide che dovranno regolare e governare la collettività. Una cornice di sicurezza, assistenza tecnica, assistenza alle istanze della società civile, cura verso una stampa libera e obiettiva e soprattutto, la lotta alla corruzione devono essere alla base di ogni sforzo. Cosi come il sostegno a leadership politiche locali che siano l’incarnazione di istituzione sane e rispettate.
C’è una profonda differenza tra l’idea di esportare la democrazia in un Paese e l’intento di svilupparne le istituzioni, obiettivo che presuppone il rispetto della struttura sociale e i valori culturali di quella società