L’ultima volta che il Paese ha aggiornato la propria strategia securitaria era il 2013. Oggi la nuova realtà impone il rafforzamento delle capacità missilistiche di difesa
Mercoledì il Primo Ministro del Giappone, Fumio Kishida, ha tenuto il suo primo Consiglio sulla sicurezza nazionale: si tratta di una riunione con il capo di gabinetto e con i Ministri di Esteri, Difesa, Finanze e Sicurezza economica, durante la quale si è discusso della revisione della strategia securitaria giapponese e del suo adeguamento alle nuove realtà.
Cosa pensava il Giappone otto anni fa
L’ultima volta che il Giappone ha aggiornato la propria strategia di sicurezza era il 2013, otto anni fa: tantissimo, considerata la velocità di evoluzione del contesto regionale e globale. Nel documento del 2013 si parlava sì dell’ascesa della Cina, ma ai tempi Tokyo pensava che Pechino avrebbe imboccato la strada della cooperazione con la comunità internazionale, mentre invece ha puntato sull’affermazione dei propri interessi con metodi assertivi.
Le tensioni sono forti soprattutto tra la Cina e gli Stati Uniti: riguardano la competizione per il primato mondiale e trovano spesso uno sfogo concreto nel mar Cinese meridionale e nei pressi di Taiwan, andando a minacciare gli interessi giapponesi. Ad esempio lo stretto di Luzon, a sud dell’isola rivendicata da Pechino, è fondamentale per l’approvvigionamento energetico di Tokyo e per la difesa delle isole Senkaku.
Nella riunione tra Kishida e i suoi Ministri sono state esaminate le Linee guida del programma di difesa nazionale (l’insieme delle priorità della difesa giapponese per il prossimo decennio) e anche il Programma di difesa di medio termine (un piano di spesa quinquennale relativo alla dotazione di equipaggiamenti militari vari).
Azioni e previsioni
Ci si aspetta che la revisione della strategia di sicurezza definisca dei percorsi per il rafforzamento delle capacità missilistiche di difesa giapponesi e che individui nuovi settori economici da tenere sotto osservazione speciale.
Tokyo ha già iniziato a muoversi in questi sensi. Ha detto per esempio di voler stazionare truppe e missili antinave e antiaereo sull’isola di Ishigaki, a trecento chilometri circa da Taiwan, all’interno di un più ampio rafforzamento delle capacità di deterrenza militare. Sul versante della sicurezza economica, poi, ha inserito l’industria delle terre rare e dei metalli critici nella lista dei settori strategici soggetti a restrizioni agli investimenti stranieri. Entrambe le decisioni sono motivate dal timore della potenza cinese.
Più problematico per il Giappone, vista la sua costituzione pacifista, sarà dotarsi di capacità di attacco delle postazioni nemiche, che potrebbero però rientrare nell’ambito della deterrenza se giustificate – per esempio – con la necessità di impedire il lancio di un missile.
Alla base di questa revisione strategica ci sarà il bilancio destinato alla difesa, che dovrebbe aumentare fino a superare il 2% del prodotto interno lordo. Storicamente, il Giappone ha mantenuto il proprio budget della difesa entro l’1% del Pil: uno dei rapporti più bassi al mondo e solo una piccola parte della spesa della Cina.
L’elaborazione delle Linee guida del programma di difesa e del Programma di difesa di medio termine dovrebbe venire ultimata entro la fine del 2022. Probabilmente il processo conoscerà un’accelerazione dopo le elezioni del 31 ottobre: il Parlamento è stato sciolto proprio ieri.
La linea di Kishida
Nel primo discorso di presentazione della sua linea politica, Kishida ha detto di voler “promuovere fortemente un Indo-Pacifico libero e aperto”, segnalando così la sua adesione alla visione degli Stati Uniti per l’Asia, alternativa a quella cinese. Ha sottolineato che l’alleanza con Washington sarà “alla base” delle scelte in politica estera e securitaria e che il Giappone collaborerà con gli alleati del Quad (il dialogo informale sulla sicurezza di cui fanno parte anche America, Australia e India).
Allo stesso tempo, Kishida ha specificato che continuerà a ricercare una relazione stabile con la Cina, alla quale – nonostante le tensioni politiche – il Giappone è legata da importanti rapporti commerciali. Sarà, almeno a giudicare dalle dichiarazioni, una relazione fatta di cooperazione sulle sfide comuni ma anche di contestazione in caso di divergenze. Anche sotto Kishida, dunque, Tokyo cercherà di rapportarsi a Pechino in maniera duplice: da un lato la competizione strategica, dall’altro il mantenimento degli scambi commerciali. Come d’altro canto cerca di fare – ma è sempre più difficile – l’Australia, che ha firmato un patto militare anti-cinese con gli Stati Uniti e il Regno Unito ma dice di rimanere aperta agli investimenti provenienti dalla Repubblica popolare.
A proposito di sottomarini a propulsione nucleare, uno dei punti principali dell’accordo AUKUS, Kishida pensa che non rappresentino una priorità per il Giappone. Il Paese dispone di mezzi a gasolio: non sono in grado di percorrere le stesse distanze e alla stessa velocità, ma Kishida ritiene che siano adeguati alle necessità delle forze militari nipponiche, che operano principalmente nelle vicinanze della costa. Il problema della Marina giapponese, del resto, non sta tanto nei sottomarini in suo possesso ma nelle difficoltà di reclutamento di giovani soldati.
L’ultima volta che il Paese ha aggiornato la propria strategia securitaria era il 2013. Oggi la nuova realtà impone il rafforzamento delle capacità missilistiche di difesa