Mario Draghi si muove all’interno di un mandato preciso, quello che gli ha tracciato il Presidente Mattarella, e a esso si atterrà
Mario Draghi è piuttosto unico. Dice di non avere mai pensato di essere il migliore, nemmeno quando era a scuola, a Roma. E infatti non è questo il problema. È che l’uomo ha una sua unicità all’interno dell’establishment italiano: un rigore nella forma che diventa contenuto esso stesso, la competenza sopra la convenienza, la comprensione dei meccanismi del potere da usare per raggiungere obiettivi. E, forse soprattutto, la chiarezza nel leggere la realtà e la lucidità su cosa fare e su come farlo. Si può naturalmente non essere d’accordo con le sue scelte. Ma oggi, di fronte alla chiamata a presidente del Consiglio come “Italian of lastresort”, uomo di ultima istanza, la sua unicità di carattere, nel senso pieno del termine, è evidente a tutti.
“Whatever it Takes”
La frase che pronunciò nel luglio 2012, pochi mesi dopo essere diventato Presidente della Bce, è ormai un’espressione popolarizzata, che si adatta a ogni circostanza. Ma per apprezzarne la potenza e la lucidità di pensiero che l’ha sostenuta quel giorno, a Londra, davanti a una platea di grandi investitori internazionali, va contestualizzata nelle parole dette subito prima e subito dopo. Sui mercati c’era chi dubitava della possibilità dell’euro di superare intatto la crisi del debito ai massimi livelli in quei giorni. La frase che precedette il “Whatever it Takes”, fu “within our mandate”: all’interno del nostro mandato. Non solo – cioè – ci muoveremo per difendere l’euro nel pieno rispetto delle regole ma sappiate che non abbiamo alcun bisogno di chiedere permesso a qualcuno, è già nei nostri poteri. Le parole che seguirono il “Whatever it Takes” furono invece “and believe me, it will be enough”, credetemi, basterà: non illudetevi, voi investitori, di scommettere contro la Bce, ha una potenza di fuoco enorme e la userà.
Anche oggi Draghi si muove all’interno di un mandato preciso, quello che gli ha tracciato il Presidente Mattarella, e a esso si atterrà, assieme alle regole della Costituzione. Non è una formalità: è un metodo che diventa sostanza e sostanza inattaccabile. E, anche oggi, il Presidente del Consiglio un’assicurazione forte, un “credetemi basterà”, deve averla data, forse dettata, ai leader dei partiti che lo devono sostenere. Perché il Mario Draghi che era alla guida della Banca centrale europea è lo stesso Mario Draghi che è alla guida del Governo. Stessa persona e stesso metodo.
Il metodo Draghi
Della biografia di Draghi si è scritto molto nelle ultime settimane. Ci sono alcuni momenti, oltre al discorso di Londra, che però forse aiutano a capire perché Sergio Mattarella ha visto in lui la sola persona capace di prendere sulle spalle l’esecutivo in un passaggio di crisi/opportunità come quello che attraversa l’Italia. A proposito del metodo, qualcosa che i Ministri e i leader di partito faranno bene a tenere in considerazione: un episodio raccontato da egli stesso in un’intervista pubblicata nel gennaio 2015 dal settimanale tedesco Die Zeit. Tornato dagli studi all’Mit di Boston – dove ebbe tra i professori cinque Premi Nobel, Paul Samuelson, Bob Solow, Franco Modigliani, Peter Diamond, Bob Engle – Draghi andò a insegnare all’università di Trento, negli Anni Settanta molto caratterizzata a sinistra. Quando alcuni studenti gli chiesero di tenere esami di gruppo su economia capitalista ed economia marxista, dicendo che uno avrebbe risposto per tutti, accettò a patto che se l’uno rispondente fosse andato male anche gli altri del gruppo sarebbero stati bocciati. Infatti, furono tutti bocciati e dopo poche esperienze del genere gli esami di gruppo con il professor Draghi sparirono.
C’è un metodo anche nella comunicazione del nuovo Presidente del Consiglio, non frequente, molto attenta e precisa. Nelle conferenze stampa mensili di politica monetaria che ha tenuto per otto anni come Presidente della Bce, ha mostrato una capacità di parlare ai mercati e di argomentare rivolto alla politica dei diversi Paesi dell’Unione monetaria eguagliata da pochi altri banchieri centrali. Indispensabile quando una parola può fare muovere i valori di Borsa e i tassi d’interesse. Probabilmente, però, l’importanza della comunicazione corretta Draghi la imparò a sue spese già negli Anni Novanta, da direttore del Tesoro. Nell’estate del 1992, sul Corriere della Sera apparve un articolo nel quale si raccontava dello yacht Britannia sul quale Draghi aveva incontrato un gruppo di investitori internazionali per illustrare i programmi di privatizzazione in Italia. Da allora, la storiella di Draghi uomo dei poteri forti che ha svenduto il patrimonio italiano ha circolato fino ad arrivare ai giorni nostri. E per Draghi è un cruccio ancora adesso: le privatizzazioni furono un grande risultato di quel decennio e una presentazione (seppur su uno yacht) che oggi sarebbe solo normale ha permesso all’ampio partito dei complottisti di costruirci una narrazione negativa. Ora, prudentemente, evita di correre rischi del genere e certo preferirà che nemmeno i suoi ministri li corrano.
Il rapporto con la Merkel
Poi c’è il rapporto con Angela Merkel. Arrivato alla guida della Bce con l’obiettivo di sviluppare una politica monetaria non convenzionale – che poi si concretizzò con i tassi d’interesse a zero e il Quantitative Easing – Draghi incontrò l’opposizione della Bundesbank e di qualche banca centrale dell’Europa del Nord. Nel Consiglio dei Governatori, il dibattito era acceso, soprattutto con il presidente della Bundesbank Jens Weidmann. Poco dopo il discorso di Londra, Draghi propose ai governatori lo strumento che doveva garantire il Whatever it Takes: l’Omt, l’Outright Monetary Transaction, cioè l’acquisto di titoli di Stato di un Paese in crisi dietro la firma di un memorandum di riforma (Troika). Weidmann fu il solo governatore a votare contro e, quando un gruppo in Germania fece ricorso all’Alta Corte contro l’Omt il Presidente della Bundesbank testimoniò contro la decisione della Bce.
Per Draghi quel passaggio fu una specie di tradimento della sua istituzione e lo convinse a costruire una difesa dagli attacchi di Weidmann. Con l’opposizione della Germania, la politica monetaria di super-stimolo non si sarebbe potuta fare e dunque il presidente della Bce dovette convincere Merkel che, probabilmente, tutto il progetto europeo sarebbe crollato senza un’azione monetaria oltremodo espansiva e fuori dagli schemi. Convinta la cancelliera, che a modo suo lo sostenne pubblicamente, dovette tenere a freno l’altro colosso della politica tedesca, Wolfgang Schäuble, in quegli anni ministro delle Finanze. Questo per dire che il Presidente del Consiglio italiano non è solo persona di convinzioni, capace di leggere le necessità del momento: gestisce i rapporti di potere per arrivare all’obiettivo. Dopo quella disputa, che si trascinò per anni, Draghi poté portare la politica monetaria della Bce su ulteriori nuovi territori.
Cosa aspettarci?
Per finire con il metodo Draghi: chi oggi si aspetta un approccio in qualche modo ideologico da Palazzo Chigi – tutto pro mercato o tutto pro-statalista – sbaglia. Nella stessa intervista al direttore di Die Zeit Giovanni di Lorenzo, Draghi spiegò per quale motivo non era sostenibile, come invece credevano alcuni politici ed economisti tedeschi, che lui fosse disinteressato al pericolo d’inflazione. Suo padre morì quando lui aveva 15 anni e sua madre poco dopo. “Quello che ereditammo – raccontò – non era molto ma sufficiente per fare studiare i tre figli. La prima volta che tornai in Italia, nel 1976, trovai che l’equivalente di poche centinaia di euro era tutto quello rimasto della nostra eredità. Ciò perché il giudice del tribunale famigliare aveva istruito il tutore dei miei giovani fratelli a investire il denaro in buoni del Tesoro a tasso fisso. E ciò fece sparire tutto il denaro nell’aria” (in quegli anni l’inflazione italiana era ampiamente in doppia cifra). Nonostante questa esperienza personale, sa che l’inflazione si combatte quando c’è, quando non c’è si fa quel che serve. Il pragmatismo è un’altra caratteristica che fa di Draghi qualcuno di unico: è il contrario dell’opportunismo.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di marzo/aprile di eastwest.
Mario Draghi è piuttosto unico. Dice di non avere mai pensato di essere il migliore, nemmeno quando era a scuola, a Roma. E infatti non è questo il problema. È che l’uomo ha una sua unicità all’interno dell’establishment italiano: un rigore nella forma che diventa contenuto esso stesso, la competenza sopra la convenienza, la comprensione dei meccanismi del potere da usare per raggiungere obiettivi. E, forse soprattutto, la chiarezza nel leggere la realtà e la lucidità su cosa fare e su come farlo. Si può naturalmente non essere d’accordo con le sue scelte. Ma oggi, di fronte alla chiamata a presidente del Consiglio come “Italian of lastresort”, uomo di ultima istanza, la sua unicità di carattere, nel senso pieno del termine, è evidente a tutti.
“Whatever it Takes”
La frase che pronunciò nel luglio 2012, pochi mesi dopo essere diventato Presidente della Bce, è ormai un’espressione popolarizzata, che si adatta a ogni circostanza. Ma per apprezzarne la potenza e la lucidità di pensiero che l’ha sostenuta quel giorno, a Londra, davanti a una platea di grandi investitori internazionali, va contestualizzata nelle parole dette subito prima e subito dopo. Sui mercati c’era chi dubitava della possibilità dell’euro di superare intatto la crisi del debito ai massimi livelli in quei giorni. La frase che precedette il “Whatever it Takes”, fu “within our mandate”: all’interno del nostro mandato. Non solo – cioè – ci muoveremo per difendere l’euro nel pieno rispetto delle regole ma sappiate che non abbiamo alcun bisogno di chiedere permesso a qualcuno, è già nei nostri poteri. Le parole che seguirono il “Whatever it Takes” furono invece “and believe me, it will be enough”, credetemi, basterà: non illudetevi, voi investitori, di scommettere contro la Bce, ha una potenza di fuoco enorme e la userà.
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