Il Paese è sull’orlo di un baratro finanziario ed economico, secondo l’ex capo della Banca Mondiale per il Medio Oriente. Non esiste più la classe media, e solo i ricchi riescono a vivere bene. I paesi del Golfo sono i principali creditori dell’Egitto, detenendo il 25,1% del debito estero del Paese
È una crisi economica molto grave quella che sta affrontando l’Egitto. In un Paese che fa del turismo una delle sue principali fonti di reddito e che tuttavia ancora non si è ripreso del tutto dalle perdite dovute agli anni di chiusura totale a causa della pandemia e che quindi deve per forza fare ricorso al debito estero, la sterlina egiziana è stata svalutata tre volte solo nell’ultimo anno, perdendo metà del suo valore a gennaio, quando l’inflazione ha raggiunto un livello record, superiore al 40%.
Ad aggravare la situazione anche la carenza di dollari americani e un arretramento nelle importazioni che ha determinato carenze di approvvigionamento sul mercato. Secondo molti analisti tutti i segnali indicano che si tratta di una crisi profonda e destinata a durare a lungo, forse anche anni, tanto più che i paesi del Golfo, pur amici dell’Egitto, non sembrano più disposti a fornire aiuti senza la garanzia di riforme sostanziali. La conseguenza più immediata e scontata della crisi, sarà il rapido aumento della povertà, con milioni di persone in più che dovrebbero scendere al di sotto della soglia di povertà.
Una situazione simile si era già verificata qualche anno fa. Tra il 2015 e il 2018, dopo la svalutazione del 2016, i tassi di povertà erano aumentati dal 27,8% al 32,5%, ovvero circa cinque milioni in più di persone scesero al di sotto della soglia di povertà.
Lo stesso presidente Al Sisi sembra aver preso coscienza della gravità della situazione tanto che in un discorso dello scorso 23 gennaio ha ammesso pubblicamente che trenta milioni di egiziani vivono attualmente sotto la soglia di povertà e stanno affrontando una “tremenda lotta quotidiana”. Secondo quanto ha dichiarato Rabah Arezki, ex capo della Banca Mondiale per il Medio Oriente “ il paese è “sull’orlo di un baratro finanziario ed economico”. Nelle scorse settimane, un reportage della BBC Arabic, ha messo in risalto come nel Paese ormai non esista più la classe media, e come solo i ricchi riescano a vivere bene. Molti cittadini, intervistati, hanno raccontato di aver dovuto rinunciare alla carne e al pollo, divenuti troppo cari. Il governo ha replicato di ovviare al problema mangiando le zampe di gallina, considerate molto proteiche, scatenando le ire del popolo sui social network.
La situazione sembra persino destinata a peggiorare; in primo luogo perché non ci sono afflussi di capitali in progetti di mega-infrastrutture, che potrebbero agire per mitigare parzialmente l’effetto della svalutazione monetaria, in secondo luogo perché secondo gli indicatori, la sterlina egiziana continuerà a svalutarsi, con conseguenze sempre peggiori sul costo della vita.
Le riserve di valuta estera sono scese a 34,352 miliardi di dollari alla fine di febbraio, la maggior parte costituite da depositi del Golfo per un valore di circa 28 miliardi di dollari, pari a circa l’82% delle riserve totali della Banca centrale d’Egitto. Il paese sta registrando una rapida crescita del debito estero a causa del numero dei prestiti accesi durante il governo del presidente Abdel Fattah Al-Sisi. L’importo dovuto era di 162,9 miliardi di dollari entro la fine del 2022, rispetto ai 145,529 miliardi alla fine del 2021, registrando una crescita del 12% secondo i dati del governo. Dati i prestiti che il governo egiziano ha contratto durante il primo trimestre di quest’anno, il debito estero dell’Egitto potrebbe raggiungere presto la soglia dei 180 miliardi di dollari.
Secondo un rapporto della banca HSBC, il programma di rimborso dell’Egitto è “difficile” da rispettare, con miliardi dovuti a diverse istituzioni finanziarie internazionali, tra cui il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale e i paesi del Golfo. L’Egitto dovrebbe rimborsare 9,33 miliardi di dollari nella prima metà di quest’anno e 8,32 miliardi di dollari nella seconda metà: un totale di 17,65 miliardi di dollari nel 2023. Nel 2025, l’Egitto dovrebbe rimborsare 9,3 miliardi di dollari nella prima metà dell’anno e 5,8 miliardi di dollari nella seconda, rispetto ai 6,6 miliardi di dollari della prima metà del 2026 e ai 10,2 miliardi di dollari della seconda metà dello stesso anno. Il governo egiziano afferma di aver rimborsato capitale e interessi per un valore di 25,2 miliardi di dollari nel periodo da luglio 2020 a settembre 2021. Secondo i dati della Banca Centrale d’Egitto, pubblicati dall’agenzia di stampa ufficiale egiziana, MENA, nel 2022 ha rimborsato circa 24 miliardi di dollari.
I paesi del Golfo sono i principali creditori dell’Egitto, detenendo il 25,1% del debito estero del paese. I dati della Banca Centrale Egiziana evidenziano che il Fondo Monetario Internazionale (FMI) possiede circa il 15%. I depositi del Golfo provenienti da Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Kuwait e Qatar dominano le riserve valutarie totali dell’Egitto, pari a 27,961 miliardi di dollari, ovvero circa l’81,4% delle riserve di cassa totali del paese. Quello degli Emirati Arabi Uniti è il più grande dei depositi del Golfo, valutato in circa 10,661 miliardi di dollari, seguito dal deposito saudita (10,3 miliardi di dollari). Secondo i dati ufficiali del governo, il deposito kuwaitiano ammonta invece a 4 miliardi di dollari e quello del Qatar 3 miliardi di dollari.
L’Egitto, tra l’altro, è considerato tra i paesi più deboli in grado di ripagare i propri debiti. Secondo Moody’s, il rischio di non riuscire a far fronte ai propri impegni per l’Egitto è di circa il 43%. Per gli analisti ed esperti, l’unica via per uscire, gradatamente, dalla crisi, potrebbe essere quella di interrompere o ridurre i prestiti esteri e di utilizzare invece i prestiti ottenuti per finanziare progetti che generano valuta estera e progetti che soddisfano le esigenze del mercato interno, riducendo così i costi di importazione. Inoltre, potrebbero essere avviate trattative con i paesi del Golfo per iniettare liquidità in nuovi progetti e attività in alternativa all’indebitamento estero.