Patrick Zaki, Giulio Regeni, Jamal Kashoggi… Quale valore hanno i diritti umani nella politica internazionale?
Sono passati cinque anni e mezzo e la vicenda Regeni resta ancora un macigno nelle relazioni tra Roma e Il Cairo. Ma torniamo con la memoria a quella sera del 3 febbraio del 2016. Siamo al Cairo, numero 15 di via Abdel Rahman Fahmy, Garden City, riva est del Nilo. È lì che si trova la residenza dell’ambasciatore italiano in Egitto. Sono in corso i preparativi per il ricevimento che l’ambasciatore Maurizio Massari offrirà, di lì a poco, in onore della Ministra dello Sviluppo economico, Federica Guidi, a conclusione di una sua missione con imprenditori al seguito. In quel momento nessuno lo sa ma quella sarà l’ultima missione di sistema italiana in terra d’Egitto così come non vi saranno, per i successivi cinque anni e mezzo, visite ufficiali di autorità egiziane in Italia.
È stato lo stesso ambasciatore Massari, attualmente rappresentante italiano alle Nazioni Unite a New York, a ricordare anche recentemente quello che avvenne allora. “La sera di quel giorno, poco prima delle 20 – ha ricostruito Massari – durante lo svolgimento di un ricevimento in residenza in onore del ministro Guidi e della delegazione di imprenditori, la Ministra degli Affari europei del Ministero degli Esteri mi informò ufficiosamente del ritrovamento, poche ore prima in una zona della periferia del Cairo, di un corpo di un giovane corrispondente a quello di Regeni”. La Guidi aveva portato il caso direttamente all’attenzione del Presidente al-Sisi che le aveva garantito il suo interessamento. Dopo le prime frammentarie informazioni, al cellulare di Massari giunse la notizia da una fonte non istituzionale che era stato ritrovato il corpo di Giulio Regeni. Massari, a quel punto, suggerì al Ministro Guidi, che non era ancora giunto in residenza, di “chiedere immediatamente alle autorità egiziane una conferma ufficiale della morte di Giulio Regeni e spiegazioni sulle circostanze del suo decesso”. Massari, non riuscendo da parte sua a ottenere conferme e spiegazioni, suggerì alla Guidi di annullare il ricevimento e interrompere la visita.
Da quel momento in poi la storia è conosciuta in tutti i dettagli: dalle immagini terribili del corpo martoriato del giovane ricercatore nelle quali la madre aveva visto “tutta la brutalità del mondo”, alle 260 pagine di autopsia che da sole rappresentano una condanna senza appello contro ogni forma di tortura e violenza fino ai silenzi inspiegabili della professoressa e tutor dell’Università di Cambridge del giovane friulano, Maha Abdelrahman, che in qualche modo aveva contribuito a spingere il giovane nella fossa dei leoni senza spiegargli tutti i rischi cui stava andando incontro.
Una cosa fu subito chiara: non si poteva trattare di un incidente o di una vicenda privata. I Governi italiani che si sono succeduti nel corso degli anni hanno pubblicamente sostenuto la strada della verità giudiziaria dando un sigillo istituzionale al dolore della famiglia e alla battaglia delle organizzazioni per i diritti umani, prima fra tutti Amnesty International.
Per un anno e mezzo, fino al settembre del 2017, l’ambasciata italiana in Egitto è stata retta solo da un capomissione e non più dall’ambasciatore Massari, richiamato a Roma per segnare la rottura delle relazioni diplomatiche. Un gesto che però, mese dopo mese, si stava sempre più ritorcendo contro gli interessi delle imprese e dei cittadini italiani così come contro gli interessi di molti egiziani che lavoravano e lavorano ancora per aziende italiane a cominciare da quelle del settore energetico (gruppo Eni e Snam). Nel settembre del 2017, non senza una coda di proteste, venne inviato al Cairo il nuovo ambasciatore, Giampaolo Cantini, che fino a poche settimane fa ha retto la sede diplomatica con grande equilibrio seguendo due direttive di fondo: da un lato, non lasciare nulla di intentato per arrivare al pieno accertamento delle responsabilità sulla morte di Regeni e, dall’altro, mantenere aperto il dialogo politico e soprattutto economico con le autorità di un Paese sempre più strategico per la stabilità del Mediterraneo.
Le vicende giudiziarie si sono trascinate in mezzo a mille difficoltà ma si deve proprio al lavoro di Cantini se qualche crepa nel muro di omertà egiziano si è aperta, consentendo di ottenere il fascicolo giudiziario egiziano, come ha riconosciuto lo stesso procuratore capo di Roma Pignatone. Fino alle ultime decisioni (che non sono più nelle mani del Governo) con il Tribunale, che ha respinto la ricostruzione della Procura decidendo per l’impossibilità di celebrare un processo senza la possibilità di notificare gli atti ai quattro appartenenti alle forze di sicurezza egiziane indicati come i responsabili materiali della morte del giovane.
La battaglia per i diritti umani
Un quadro, quello dei diritti umani negati in Egitto, che si è andato arricchendo di nuovi episodi compresa l’incarcerazione del giovane dissidente e studente a Bologna Patrick Zaki, per il quale è in corso una battaglia per il riconoscimento della cittadinanza italiana che lo salverebbe dal carcere egiziano.
Una situazione che la famiglia Regeni e le organizzazioni per i diritti umani non vogliono far cadere nel dimenticatoio. A pochi giorni dalla decisione della Terza Corte d’Assise, che ha annullato il provvedimento di rinvio a giudizio, i genitori del ricercatore italiano sono intervenuti in un’audizione al Parlamento europeo dedicata al caso dell’italiano ucciso. “Chiediamo vicinanza e aiuto con fatti concreti, perché si faccia verità e giustizia per nostro figlio e ciò significherebbe anche aiutare il popolo egiziano”, ha detto Paola Regeni collegandosi da remoto all’Eurocamera. In Egitto “c’è una situazione molto preoccupante per i diritti umani”, hanno detto i genitori di Regeni che hanno presentato un esposto contro il Governo italiano, per la violazione alla legge 185/90, che vieta la vendita di armi ai Paesi che violano i diritti umani.
Il caso si riferisce alla vendita di due fregate Fincantieri all’Egitto (inizialmente previste per la nostra Marina militare) nel quadro di un ammodernamento complessivo della difesa egiziana. Se gli eurodeputati della sottocommissione per i diritti umani hanno affrontato l’allarmante situazione dei diritti umani e della continua repressione della società civile in Egitto, un funzionario del servizio diplomatico europeo responsabile dei Paesi nordafricani, Pelayo Castro, ha dato atto anche all’Egitto di “sviluppi nuovi e importanti” sul piano del rispetto dei diritti e ha giudicato positivo che lo stato di emergenza, in vigore dal 2017, non verrà rinnovato.
Egitto, un partner strategico
Parole che dimostrano come per l’Europa ma ancora di più per l’Italia, azzerare le relazioni con l’Egitto di al-Sisi sarebbe un grave errore. L’Egitto si sta mostrando un grande provider di sicurezza regionale con un rilevante ruolo geopolitico riconosciuto recentemente oltre che dalla Ue anche dal Presidente americano Joe Biden, per il ruolo sempre presente di mediatore tra Hamas e Israele e per la funzione di stabilità esercitata in Libia non più a fianco di un Haftar, ormai ridotto ai minimi termini ma sempre più dialogante con le autorità di Tripoli. Un Paese che può contare su relazioni strettissime con la Francia, con la Germania e anche con Israele.
Nonostante il blackout delle relazioni per un anno e mezzo e poi la pandemia, l’Italia resta per l’Egitto un partner strategico e insostituibile. L’Eni gioca una partita decisiva nell’esplorazione e ricerca. Il grande giacimento di Zohr da 800 miliardi di metri cubi di gas è in grado di soddisfare il fabbisogno nazionale ma il Paese si propone di diventare un grande hub regionale per il gas liquefatto proveniente dal giacimento israeliano Leviathan (600 miliardi di metri cubi di capacità). Il gruppo Snam lavora a progetti nelle rinnovabili e nella transizione energetica così come Saipem e Sts partecipano a gare per trasporti ed economia digitale senza contare tutti i progetti infrastrutturali che l’Egitto sta incoraggiando.
Insomma, occorre decidere come andare avanti: incalzare il Governo del Cairo sulla verità per Regeni ma lasciando aperta la porta del dialogo per le questioni di sicurezza globale e per sviluppare le relazioni commerciali. È un sentiero molto stretto ma è l’unico oggi praticabile. Toccherà ora al nuovo ambasciatore italiano al Cairo, Michele Quaroni, seguire questi dossier. È un diplomatico brillante con tutte le qualità per riuscirci e in più con l’esperienza maturata negli ultimi anni sul piano multilaterale come numero due nella nostra ambasciata presso l’Unione europea.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di novembre/dicembre di eastwest.
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È stato lo stesso ambasciatore Massari, attualmente rappresentante italiano alle Nazioni Unite a New York, a ricordare anche recentemente quello che avvenne allora. “La sera di quel giorno, poco prima delle 20 – ha ricostruito Massari – durante lo svolgimento di un ricevimento in residenza in onore del ministro Guidi e della delegazione di imprenditori, la Ministra degli Affari europei del Ministero degli Esteri mi informò ufficiosamente del ritrovamento, poche ore prima in una zona della periferia del Cairo, di un corpo di un giovane corrispondente a quello di Regeni”. La Guidi aveva portato il caso direttamente all’attenzione del Presidente al-Sisi che le aveva garantito il suo interessamento. Dopo le prime frammentarie informazioni, al cellulare di Massari giunse la notizia da una fonte non istituzionale che era stato ritrovato il corpo di Giulio Regeni. Massari, a quel punto, suggerì al Ministro Guidi, che non era ancora giunto in residenza, di “chiedere immediatamente alle autorità egiziane una conferma ufficiale della morte di Giulio Regeni e spiegazioni sulle circostanze del suo decesso”. Massari, non riuscendo da parte sua a ottenere conferme e spiegazioni, suggerì alla Guidi di annullare il ricevimento e interrompere la visita.