Il ritorno dei Talebani a Kabul sta accelerando la strategia di Pechino nell’area, che prevede un rafforzamento dei rapporti difensivi con partner come Pakistan e Tagikistan
La scorsa settimana, nel pieno della crisi in Afghanistan, è stata trascurata un’altra notizia certo più piccola ma che è in qualche modo collegata a quanto stava avvenendo a Kabul. Mercoledì 18 agosto, infatti, la Cina e il Tagikistan hanno dato il via a due giorni di esercitazioni anti terrorismo. I test si sono svolti a Dushanbe, la capitale tagika, con l’obiettivo di rafforzare la cooperazione in materia difensiva dei due eserciti e la loro prontezza di reazione alle “forze terroristiche che minacciano la regione”, come spiegato dal tabloid di stato in lingua inglese di Pechino, il Global Times.
In una lettera inviata al Ministro degli Affari interni tagiko, Rahimzoda Ramazon Hamro, il Ministro della Pubblica Sicurezza cinese Zhao Kezhi ha ribadito i “legami solidi” e l’alto livello di “fiducia reciproca” tra i due Paesi, interessati a mettere in sicurezza i propri confini e respingere le possibili insorgenze di minoranze etniche (come nel caso della Cina nella regione autonoma dello Xinjiang) e di milizie islamiste (soprattutto per quanto riguarda il Tagikistan). Nel documento ufficiale, Zhao sostiene che “la situazione internazionale sta vivendo cambiamenti drammatici e le prospettive dell’anti terrosimo regionale non sono ottimistiche”. Per questo le esercitazioni erano funzionali a rafforzare le “capacità di combattimento e allo stesso tempo mostrare la determinazione di entrambi gli eserciti a combattere contro i terroristi”.
Non viene citato esplicitamente, ma è chiaro che nei pensieri e tra le pieghe delle parole dell’esponente del Governo cinese ci fosse proprio l’Afghanistan. Se, da una parte, la Cina utilizza il ritiro americano e la presa di potere dei Talebani come un modo per colpire retoricamente gli Stati Uniti e lanciare avvertimenti a Taiwan, dall’altra si cautela e cerca di blindare i propri confini e l’Asia centrale. Cina e Afghanistan condividono un confine di poco più di 70 chilometri ma Pechino teme che senza la presenza americana la sottile lingua di terra del corridoio del Wakhan possa diventare una base per l’insorgenza uigura. Per questo dialoga da tempo coi Talebani, che negli scorsi giorni hanno assegnato a Pechino un “grande ruolo nella ricostruzione” dopo che il Ministero degli Esteri cinese aveva definito gli studenti coranici “più moderati” che in passato.
La cooperazione con il Pakistan e il Tagikistan
E per questo rafforza i rapporti difensivi con i partner dell’area, a partire dal Pakistan e dalle ex repubbliche sovietiche. Tra esse ha un ruolo rilevante il Tagikistan, il quale ha una parte di territorio confinante proprio con il corridoio del Wakhan. Inoltre, il prossimo summit SCO (Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai) si terrà proprio a Dushanbe a settembre. Un’occasione nella quale Pechino vuole utilizzare la propria influenza diplomatica per cementare la stabilità regionale e disegnare il futuro dell’Afghanistan post americano. Allo stesso tempo, le repubbliche centrasiatiche sperano che il canale di comunicazione avviato da tempo da Pechino coi Talebani possa garantire non solo la sicurezza dei loro confini ma anche la possibile integrazione dell’Afghanistan nel programma di commercio regionale e di modernizzazione infrastrutturale. Un programma nel quale la Cina mira all’integrazione di Kabul nello sviluppo del corridoio economico sino-pakistano.
Difficile, se non impossibile, che la Cina si faccia convincere a giocare un ruolo maggiore nelle dinamiche interne afgane, per esempio sotto il profilo difensivo. Pechino agisce con cautela, sapendo che la stabilità interna dell’Afghanistan è in perenne fase di assestamento. Quindi sì a cooperazione economico-commerciale, sì alla spinta per il riconoscimento internazionale del nuovo Governo islamista, no alla dimensione militare-difensiva. Quantomeno non a Kabul e dintorni, molto di più oltre i confini afgani, dove la collaborazione con il Pakistan e i Paesi dell’Asia centrale è ormai avviata da tempo anche sotto quel profilo. L’obiettivo di Pechino è sempre quello: sostenere la stabilità interna dei Paesi nei quali mantiene degli interessi di qualche tipo (soprattutto economici) e garantirsi l’appoggio, o quantomeno il silenzio assenso, sui propri dossier interni. A partire da quello della minoranza uigura dello Xinjiang, sulla quale i Governi delle ex repubbliche sovietiche non sollevano obiezioni da lungo tempo. Con la stessa logica ci si prepara a fare affari coi Talebani, ma senza legare eccessivamente la propria immagine alla loro.
Il ritorno dei Talebani a Kabul sta accelerando la strategia di Pechino nell’area, che prevede un rafforzamento dei rapporti difensivi con partner come Pakistan e Tagikistan