Le proteste degli agricoltori, iniziate in Germania, si sono allargate ad altri Paesi europei, rivolte soprattutto contro l’Unione Europea e le sue politiche ambientali che finiscono per aumentare i costi e obbligano sempre più i piccoli agricoltori ad abbandonare la loro attività.
Tutto è cominciato dalla Germania. Poi è arrivato il turno di Paesi Bassi, Romania, Polonia, Irlanda, Spagna e Serbia. Ora, invece, al centro della scena c’è la Francia. Nelle ultime settimane, ognuno di questi Paesi è stato caratterizzato da ampie dimostrazioni da parte degli agricoltori, che hanno protestato occupando piazze e bloccando le strade con trattori e altri mezzi agricoli.
Ognuna delle proteste è avvenuta per ragioni specifiche, spesso legate a politiche nazionali, e ha visto i contadini opporsi ai rispettivi governi. Ma ovunque, e in maniera sempre maggiore man mano che le dimostrazioni sono andate avanti, i manifestanti si sono schierati con forza contro Bruxelles e le sue politiche verdi, chiedendo importanti cambiamenti e diversi passi indietro nelle politiche europee contro il cambiamento climatico.
Ad accendere la miccia è stato appunto il governo tedesco, che a dicembre ha preso la decisione di togliere un sussidio che riduceva fino a quel momento il prezzo del gasolio. La scelta della coalizione guidata da Olaf Scholz – che comprende Socialdemocratici, Verdi e Liberali – è stata dettata dalla necessità di far quadrare i conti pubblici, dopo che una sentenza della Corte costituzionale aveva di fatto tagliato le risorse disponibili e aveva quindi imposto a Berlino di indebitarsi oppure di ridurre le spese.
Ma il taglio del sussidio non è stato accolto favorevolmente dagli agricoltori, anzi: il gasolio è infatti fondamentale per il funzionamento dei trattori e di altri macchinari, e la categoria ha quindi sostenuto che una crescita del suo prezzo avrebbe portato ad un aumento importante dei costi da sostenere. Gli agricoltori si sono perciò riversati a migliaia nelle strade tedesche e anche in alcuni luoghi simbolici, come davanti alla porta di Brandeburgo a Berlino, ed a nulla sono serviti gli inviti al dialogo da parte dell’esecutivo e la decisione che il sussidio verrà progressivamente ridotto e non eliminato come si pensava all’inizio.
Le rivendicazioni degli agricoltori, che inizialmente chiedevano semplicemente al governo di tornare sui propri passi, si sono subito allargate. Non è successo soltanto in Germania, ma anche nel resto del continente. In alcuni stati, il pretesto per scendere in piazza è stato dato da alcune misure approvate di recente, simili a quella tedesca o volte a diminuire le emissioni carboniche generate dall’agricoltura. In altri Paesi, come la Francia, i contadini hanno semplicemente seguito l’esempio dato dai colleghi tedeschi e hanno colto l’occasione per dimostrare contro politiche che sono avversate da anni.
Ovunque, le proteste si sono presto rivolte soprattutto contro l’Unione Europea e le sue politiche ambientali. I contadini hanno lamentato la necessità di aderire a regole sempre più dettagliate per quanto riguarda la produzione. E hanno protestato contro le misure volute da Bruxelles per diminuire le emissioni e l’uso dei pesticidi o per preservare la biodiversità, ma che, a detta dei contadini, finiscono per aumentare i costi e obbligano sempre più i piccoli agricoltori ad abbandonare la loro attività.
In generale, i contadini europei sostengono di essere trascurati da un’Europa più interessata alla creazione di un mercato globale che non a proteggere il proprio settore agricolo, in un momento in cui questo si sente minacciato. Negli ultimi due anni, infatti, questo è stato fortemente colpito dalla crisi ucraina e dal conseguente aumento del costo dell’energia, non compensato dalla crescita dei prezzi dei prodotti alimentari.
Il conflitto ha portato anche alla decisione europea di togliere i dazi dal grano e da altri prodotti ucraini, in modo da supportare Kiev: una decisione criticata dagli agricoltori comunitari, che temono la concorrenza di prodotti meno costosi e coltivati senza la necessità di rispettare le stringenti regole europee. Infine, ad essere avversato è anche il possibile accordo tra Ue e Mercosur, che potrebbe portare ad un maggiore afflusso in Europa anche di beni alimentari prodotti in America Latina.
A livello nazionale, le proteste degli agricoltori stanno già facendo sentire i loro effetti: in Germania il governo sta toccando nuovi picchi di impopolarità, mentre in Francia il nuovo primo ministro Gabriel Attal ha dovuto promettere che Macron spingerà sui suoi alleati perché alcune delle normative europee vengano riviste. Presto, però, gli effetti delle dimostrazioni potrebbero diventare evidenti anche a Bruxelles: in vista delle elezioni europee, è subito iniziata la corsa per accaparrarsi il consenso di chi manifesta, con l’estrema destra in prima linea nel criticare la transizione ecologica e nel cercare un’alleanza con gli agricoltori.
Tutto è cominciato dalla Germania. Poi è arrivato il turno di Paesi Bassi, Romania, Polonia, Irlanda, Spagna e Serbia. Ora, invece, al centro della scena c’è la Francia. Nelle ultime settimane, ognuno di questi Paesi è stato caratterizzato da ampie dimostrazioni da parte degli agricoltori, che hanno protestato occupando piazze e bloccando le strade con trattori e altri mezzi agricoli.
Ognuna delle proteste è avvenuta per ragioni specifiche, spesso legate a politiche nazionali, e ha visto i contadini opporsi ai rispettivi governi. Ma ovunque, e in maniera sempre maggiore man mano che le dimostrazioni sono andate avanti, i manifestanti si sono schierati con forza contro Bruxelles e le sue politiche verdi, chiedendo importanti cambiamenti e diversi passi indietro nelle politiche europee contro il cambiamento climatico.